Forma Foto ospita fino al prossimo 21 giugno la mostra Questa è la guerra! Robert Capa al lavoro, abbinata alla retrospettiva dedicata a Gerda Taro. L’allestimento divide il lavoro dei due fotografi, ma sarebbe davvero arduo distinguere la mano (o l’occhio, dovremmo dire) dell’uno da quello dell’altra, tale era la simbiosi con la quale i due lavoravano.
Entrambi morirono tragicamente “sul lavoro”, ma Capa, quando saltò su una mina in Indocina (nel 1954), era già stato consacrato da tempo come uno dei più importanti fotografi del Novecento. La Taro invece morì poco prima di compiere ventisette anni nel 1937, investita accidentalmente da un carrarmato repubblicano.
La retrospettiva che Forma le dedica ha l’obiettivo (perfettamente centrato) di rivalutarne il ruolo, mostrando al pubblico la qualità delle sue fotografie. Gerda si merita di essere ricordata non solo per essere stata la compagna di Capa, ma appunto per il valore, inscindibilmente etico ed estetico, del suo lavoro. Insieme i due fotografi arrivarono in Spagna agli inizi d’agosto del 1936 e in un primo tempo firmarono insieme i reportage che realizzavano. Progressivamente Gerda acquistò sempre maggiore coscienza della sua specificità professionale e volle firmare in autonomia i propri foto-reportage.
Le sue prime immagini in mostra raffigurano miliziani repubblicani sorridenti, in posa sotto il sole, probabilmente a Barcellona: è l’agosto del 1936. Un’altra foto immortala tre giovani uomini affacciati a una finestra dell’hotel Colon, quartier generale del Partito Socialista Unificato della Catalogna. Ecco poi il celebre Comandante Carlos, al secolo Vittorio Vidali, capo del 5° reggimento che difendeva Madrid, sentimentalmente legato a Tina Modotti.
L’atmosfera è quella che conosciamo grazie ai libri di Hemingway, più recentemente ravvivata dal film di Ken Loach Terra e libertà. Anche dietro le barricate per le strade di Barcellona ancora si sorride. Persino i volti degli orfani di guerra, seduti in cerchio per giocare a palla, non esprimono tristezza o paura.
Un’immagine scattata sul fronte di Cordoba il 5 settembre del 1936 raffigura sulla sinistra il miliziano che di lì a poco Capa avrebbe immortalato nella più celebre fotografia della Guerra Civile, divenuta presto icona di tutte le vittime di tutte le guerre.
Nel 1937 la situazione cambia, peggiorando drammaticamente. Gerda immortala le sofferenze dei profughi di Malaga giunti ad Almeria in condizioni disastrose. Sul fronte di Segovia documenta lo scempio degli edifici sventrati dalle bombe, i soldati morti o gravemente feriti. Un’immagine del luglio ’37 raffigura due soldati repubblicani davanti a un muro sul quale sono tracciati slogan e simboli fascisti (il giogo e le frecce). È la prima testimonianza, anche se indiretta, del nemico: le foto della Taro, come quelle di Capa, immortalano il punto di vista dei difensori della Repubblica, aggredita e infine soffocata nel sangue dalle forze franchiste. Torcono lo stomaco le immagini particolarmente crude delle vittime causate da un’incursione aerea, i cui cadaveri appaiono ricomposti all’obitorio di Valencia (maggio 1937). Il sangue rappreso sul marmo denuncia la barbarie della guerra.
Ma ci sono anche gli intellettuali, fotografati durante il Congresso Internazionale degli Scrittori o sul fronte di Guadalajara (indicativa la foto che mostra in primo piano tre intellettuali occhialuti, alle cui spalle si scorgono tre miliziani repubblicani: pare l’esemplificazione visiva del divario tra “intellighenzia” e “popolo”).
Per quanto riguarda la mostra su Capa va segnalato per prima cosa l’elevato numero di foto esposte: quasi trecento. Le più celebri, note anche al grande pubblico, si ritrovano con piacere, mentre quelle meno conosciute suscitano la particolare curiosità che si prova di fronte agli “inediti” di un grande maestro. Tutte esprimono un’eccezionale potenza espressiva abbinata però a una sorta di delicato pudore, segno del rispetto del fotografo per i soggetti inquadrati e della sua compassione per le loro tragedie. Alcune frasi estrapolate dai suoi appunti confermano questo sentimento di viva partecipazione. Il suo non era solo un lavoro!
Protagonista della mostra è senza dubbio la fotografia Morte di un miliziano lealista, scattata, come già ricordato, il 5 settembre del 1936. L’avrebbe realizzata Goya, se al posto dei pennelli avesse avuto a disposizione una macchina fotografica: identiche sono le emozioni e le convinzioni che li spingono a denunciare i disastri della guerra, identici gli esiti che hanno pochi paragoni nella storia dell’arte.
Gli organizzatori espongono la sequenza più probabile degli scatti effettuati da Capa, confrontandoli con quelli della Taro.
Seguendo il percorso espositivo ci si sofferma spesso di fronte a un’immagine ormai “storica”, indipendentemente dal teatro di guerra in cui è stata scattata: la Cina invasa dai Giapponesi, la spiaggia di Omaha in Normandia, Lipsia al momento della capitolazione. Riferendosi alle foto dello sbarco alleato in Normandia, il settimanale Life le definì “leggermente fuori fuoco”, adducendo al tremito del fotografo al momento dello scatto la non ottimale messa a fuoco. Invece si è scoperto solo recentemente che fu l’errore di un tecnico in fase di sviluppo a causare quell’effetto che ha però contribuito a esaltare la drammaticità delle foto. Come diceva Capa, non esistono foto belle e foto brutte, ma solo foto prese da vicino o da lontano.
Saul Stucchi
Questa è la guerra!
Robert Capa al lavoro
Gerda Taro
Dal 28 marzo al 21 giugno 2009
FORMA Centro Internazionale di Fotografia
Piazza Tito Lucrezio Caro 1
Milano
Orari: tutti i giorni 11.00-21.00; giovedì e venerdì 11.00-23.00. Chiuso il lunedì
Biglietto: intero 7,50 €; ridotto 6.00 €
Informazioni: tel. 02.58118067
Didascalie:
Ritratto di Gerda Taro e Robert Capa, Parigi, 1935
© Fred Stein/International Center of Photography
Gerda Taro
Miliziana repubblicana si esercita sulla spiaggia
Barcellona, agosto 1936
©Gerda Taro/International Center of Photography
Robert Capa
Morte di un miliziano lealista
Cerro Muriano, fronte di Cordoba, Spagna, 5 settembre 1936
©Cornell Capa/International Center of Photography