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Voi siete qui: Biblioteca » Un ricordo di Stefano Malatesta, giornalista e scrittore

16 Agosto 2020 Scritto da Saul Stucchi

Un ricordo di Stefano Malatesta, giornalista e scrittore

L’editoriale “L’ALIBI della domenica” è dedicato questa settimana al ricordo di Stefano Malatesta, scomparso il 14 agosto.

Colle Palatino, culla di Roma e dell’impero. A pochi passi dall’ingresso dell’Antiquarium giacciono a terra alcune colonne dalle profonde scanalature. Abbellivano la Domus Flavia, residenza dell’imperatore Domiziano. Su una di esse ero seduto una decina di anni fa, non solo per prendermi una pausa durante la visita dell’area archeologica, ma anche – e soprattutto – per stare in contatto diretto con quello splendido marmo.

Dal museo uscì una signora accompagnata da un ragazzino. Quando mi passarono accanto, la sentii dire al figlio: “è marmo giallo antico“. “Sì. È quello che i Romani chiamavano marmor numidicum“, confermai senza essere interpellato, prima di aggiungere con un sorriso “sono seduto qui apposta”. Lei mi guardò e disse: “anche mio marito ha la passione dei marmi antichi”.

In realtà non si tratta di una passione: è una malattia. A me l’ha trasmessa Stefano Malatesta con i suoi articoli e reportage pubblicati per decenni nelle pagine culturali de La Repubblica. Per la maggior parte conservo ancora quei ritagli, insieme a quelli di Beniamino Placido, Ettore Mo (sul Corriere della Sera) e monsignor Ravasi (sul Domenicale de Il Sole 24 Ore). Devo a loro – e a poche altre firme – la mia formazione culturale, più che ai libri e ai professori delle scuole dell’obbligo e dell’università.

Stefano Malatesta (foto di Elisabetta Catalano)

Malatesta è morto il 14 agosto, dopo una lunga malattia. Aveva compiuto 80 anni lo scorso 5 aprile. Queste righe vogliono essere un affettuoso ricordo e un sentito ringraziamento per tutto quello che il giornalista e scrittore mi ha dato.

È “colpa” sua se quando passo dalle parti di Piazza di Spagna, percorro un tratto di via dei Condotti soltanto per fermarmi qualche istante davanti a una celebre gioielleria. Non guardo nemmeno quello che è esposto nelle vetrine. Mi limito a sfiorare le cornici delle porte in marmo africano, chiamato volgarmente così per il suo colore nero, anche se in realtà veniva da Teos in Asia Minore (odierna Turchia).

Allo stesso modo ogni volta che visito il Museo del Louvre di Parigi mi soffermo con particolare piacere nella Sala del Maneggio ad ammirare le statue romane delle collezioni Albani, Borghese, Richelieu e Mazzarino. La mia preferita è quella di un prigioniero barbaro seduto. Non mi piace per le sue qualità artistiche, non è infatti un capolavoro, ma per il materiale con cui è realizzata: breccia verde o, più poeticamente, hecatontalithos, la “pietra dalle centro pietre”. Aspetto sempre che il custode della sala giri la testa per controllare altri visitatori e con un misto di piacere, vergogna e complicità, faccio una carezza al piede del prigioniero.

Il Grande Mare di Sabbia

Uno dei capitoli de “Il Grande Mare di Sabbia. Storie del deserto”, edito da Neri Pozza, è dedicato proprio ai marmi antichi. S’intitola “Il monte di porfido riflette bagliori rossastri” e si apre con questa descrizione:

Mentre sto scrivendo seduto alla mia scrivania, se mi giro verso il lato destro dello studio posso vedere un tavolinetto con una base in ottone incertamente neoclassica, su cui poggia un piano di marmo antico, ingombro di una serie di pietre tagliate e levigate dell’uomo in tempi preistorici, tra cui due meravigliose teste di ascia trovate nel Deserto Libico”.

Stefano Malatesta, Il Grande Mare di Sabbia

Una di quelle pietre Malatesta me la regalò quando lo invitai alla biblioteca di Mezzago a parlare proprio del Grande Mare di Sabbia. Era il 2002. L’anno seguente feci “incorniciare” d’oro la pietra per trasformarla in un ciondolo, la misi in un astuccio e la portai con me a Parigi. Con un volo low cost raggiunsi quella che allora era la mia ragazza, senza dirle niente. Lei era nella capitale francese per una convention aziendale.

Saul Stucchi con Stefano Malatesta a Mezzago

Quando me la feci passare al telefono dall’addetto della reception del suo hotel lei era convinta che le stessi parlando dall’Italia. Una volta in camera, estrassi il cofanetto e, rigorosamente in ginocchio, glielo porsi ponendole la fatidica domanda (condenso la storia per ovvie ragioni).

Il cammello battriano

In generosità Malatesta ha stracciato tutti gli altri scrittori, giornalisti e artisti che ho ospitato o intervistato in vent’anni (se dicessi di “carriera”, ne millanterei una che in effetti non ho…).

Quella pietra preistorica non fu l’unico regalo che ci fece Stefano. Sulla libreria del soggiorno fanno ancora bella mostra di sé sette soldatini da lui acquistati nel “mercato dei ladri” di quella che allora era ancora Bombay.

Dopo aver riposato nel nostro letto prima dell’incontro in biblioteca, ricambiò l’ospitalità invitandoci a casa sua, a Trastevere. Ci preparò il pranzo facendoci scoprire il piacere della burrata con il pane di Lariano, pregando noi (allora) giovincelli provinciali delle brume settentrionali di non confonderlo con quello che si fa sul lago di Como… Il tutto, come sempre con lui, era condito da aneddoti, racconti e ricordi.

Chi ha amato i suoi articoli e i suoi libri (da “Il cammello battriano” che poi ha dato nome a una collana da lui creata e diretta per Neri Pozza, fino a “La vanità della cavalleria” e “Quando Roma era un paradiso”, quest’ultimo pubblicato da Skira), ha conosciuto le sue passioni e sicuramente si è fatto contagiare da molte di esse.

Ne cito solo alcune: la Sicilia (dove Stefano aveva acquistato un baglio che era il suo buen retiro) e Piero Guccione, la Via della Seta e il Grande Gioco, la storia del vero Paziente Inglese, Ella Maillart e Lawrence d’Arabia, gli Ussari e Churchill a Gallipoli (e se pensate alla Puglia, potete anche smettere di leggere qui).

Malatesta_1

Negli anni avevo incontrato Malatesta in altre occasioni: nel 2007 alla sua mostra “Femmine e Paesaggi” alla Galleria Nova di Roma (non ho alcun dubbio su chi si indirizzassero le sue preferenze); nel 2009 alla Borsa Internazionale del Turismo di Milano quando ricevette il Premio Neos, l’Associazione dei Giornalisti di viaggio; nel 2011 al Festival della Letteratura di Mantova, quando dialogò con Giuseppe Cederna nell’incontro “Grandi viaggiatori o grandi bugiardi? La bugia nei racconti di viaggio”; nel 2016 alla presentazione milanese di “Quando Roma era un paradiso” in Galleria Sozzani.

Non gli ho mai confessato che ho iniziato a scrivere sedotto dai suoi articoli e che sognavo, un giorno, di prendere il suo posto. Ma quel tipo di giornalismo culturale (che per me coincide con il giornalismo culturale tout court) è morto da un pezzo, prima di Malatesta.

Buon viaggio, Stefano.

Saul Stucchi

  • Il ritratto di Stefano Malatesta è della fotografa Elisabetta Catalano, scomparsa nel 2015.
  • La foto di Malatesta alla Biblioteca di Mezzago è di Andrea Rota Nodari.
  • La foto di Malatesta con Cederna è di Saul Stucchi.

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