Anno 52 a.C.
Il settimo libro della Guerra gallica di Giulio Cesare si apre con la notizia della morte di Clodio e con i disordini che ne sono seguiti a Roma. La Gallia è in subbuglio e i capi intendono approfittare della situazione per riconquistare la libertà. I Carnuti si impegnano a dare avvio alla ribellione e le altre popolazioni promettono di partecipare alla sollevazione sancendolo con un giuramento.
L’ascesa di Vercingetorige
Nel giorno stabilito i Carnuti uccidono i cittadini romani che si trovano a Cenabo per ragioni di commercio. La notizia si diffonde immediatamente. L’arverno Vercingetorige viene cacciato da Gergovia dai capi contrari alla sollevazione, ma raccoglie con facilità un numero sempre crescente di adesioni al suo progetto di combattere per la comune libertà.

Riesce a espellere i capi da cui è stato appena cacciato e viene acclamato re. Manda ambasciatori alle altre popolazioni, chiede e ottiene ostaggi, organizza la cavalleria e stabilisce una disciplina ferrea: chi esita viene punito severamente perché la sua punizione sia di monito per gli altri.
Si dirige contro i Biturigi che chiedono aiuto agli Edui. Questi accorrono, ma poi tornano indietro e i Biturigi fanno lega con gli Arverni. Intanto Cesare parte dall’Italia e si dirige verso Narbona e poi penetra nel territorio degli Arverni, nonostante la neve alta. Ordina ai cavalieri di far scorrerie per diffondere il terrore nella regione. Intanto lascia il comando a Bruto il giovane (il futuro cesaricida) e si reca a tappe forzate a Vienne.
Vercingetorige assedia Gorgobina, città fortificata dei Boi. A sua volta Cesare pone l’assedio a Vellaunoduno, città fortificata dei Senoni, e la prende in due giorni, lasciando poi la faccenda a Trebonio mentre egli si dirige a Cenabo. Vi arriva in due giorni, sul far della notte e quindi rimanda all’indomani l’assedio.
Gli abitanti approfittano delle tenebre per tentare la fuga, ma Cesare l’aveva previsto e ordina l’assalto e il saccheggio. Poi si sposta nel territorio dei Biturigi. Vercingetorige viene a saperlo e si muove contro Cesare, intento ad accettare la resa di Novioduno. I Germani di Cesare respingono e sconfiggono la cavalleria dei Galli. Novioduno si arrende definitivamente, mentre Cesare si muove verso Avarico, la città fortificata più importante dei Biturigi.
L’assedio di Avarico
Vercingetorige chiama a consiglio i suoi ed espone il cambio di strategia: bisogna tagliare i rifornimenti dei Romani facendo terra bruciata e anteporre il bene comune a quello privato, altrimenti finiranno tutti schiavi dei Romani. La proposta è approvata all’unanimità e i Biturigi e altre popolazioni danno alle fiamme le proprie città.
I Biturigi supplicano però che venga risparmiata Avarico, forse la città più bella della Gallia, la cui posizione la rende facile da difendere. Vercingetorige è favorevole a darle fuoco, ma poi cede alle preghiere dei Biturigi.
Cesare inizia le operazioni d’assedio ad Avarico. Boi ed Edui danno meno frumento di quello che serve all’esercito che comincia a sentirne il bisogno, senza però mai lamentarsi. Tanto è vero che quando Cesare propone ai legionari di togliere l’assedio se le condizioni sono troppo dure, questi rifiutano, confermando la volontà di portare avanti l’impresa sopportando con onore le fatiche e i disagi.
I due eserciti si trovano vicinissimi, ma Cesare trattiene il suo dallo scontro e lo riporta al campo. Vercingetorige viene accusato dai suoi di preferire avere il comando sulla Gallia dalle mani di Cesare che per decisione dei Galli. Si difende con orgoglio, dicendosi pronto a dimettersi se credono di essergli creditori di un lui piuttosto che debitori a lui della loro salvezza. Viene approvato da tutti e confermato nel ruolo di capo supremo.
Cesare apre una parentesi per descrivere le contromisure messe in atto dagli assediati per rendere inefficaci le opere dei legionari e poi descrive la tecnica di costruzione delle mura in Gallia.
I Galli pensano di fuggire da Avarico, ma le grida delle loro donne li trattengono. Cesare approfitta della pioggia a dirotto per ordinare l’assalto alla città che viene presa, con la strage di quasi tutta la popolazione, donne, vecchi e bambini compresi. Dei quarantamila che vi erano asserragliati solo gli ottocento che erano usciti dalla fortezza scampano al massacro, raggiungendo Vercingetorige. Quest’ultimo non si abbatte per la notizia del disastro, ma anzi rincuora i suoi e li sollecita a rinforzare gli accampamenti, contrariamente all’abitudine dei Galli.
La macchinazione di Litivacco
I capi degli Edui si presentano da Cesare perché dirima una contesa tra Convictolitave e Coto su chi debba essere il magistrato supremo per quell’anno (carica che tra loro conferisce poteri equivalenti a quelli di un re). Cesare si reca nel loro paese, convoca il senato e i due contendenti. Saputo che l’elezione di Coto è avvenuta contro le usanze degli Edui, riconosce a Convictolitave il diritto a ricoprire la magistratura. Poi divide l’esercito. Affida quattro legioni a Labieno perché le conduca contro i Senoni e i Parisii. Le altre sei le guida lui stesso contro gli Arverni.
Vercingetorige viene a saperlo e fa tagliare i ponti sul fiume Allier. Cesare però riesce a ricostruirne uno e a far passare le legioni e raggiunge Gergovia. Intanto Convictolitave, corrotto dagli Arverni, convince alcuni giovani Edui a fare lega con gli altri Galli contro i Romani.
Affida diecimila uomini a Litivacco perché li conduca da Cesare, ma prima di arrivarvi costui fa loro credere che i Romani abbiano ucciso i capi della popolazione. Loro ci credono e uccidono i cittadini romani che si erano uniti a loro. Sempre con false accuse Litivacco fa sollevare tutto il paese degli Edui.
Eporedorice avvisa Cesare della macchinazione di Litivacco contro i Romani. La reazione di Cesare è immediata. Lascia al campo due legioni e con le altre quattro raggiunge il contingente eduo. Fa avanzare Eporedorice e Viridomaro in modo che gli Edui constatino che sono ancora vivi. Gli Edui comprendono allora di essere stati ingannati e chiedono perdono a Cesare, mentre Litivacco si rifugia a Gergovia. Cesare viene informato che l’accampamento affidato a Fabio è sotto attacco dei nemici e allora torna alla base.
Gli Edui tramano contro i Romani perché hanno compreso che ormai non c’è più una via di ritorno. Cesare l’ha però intuito, tuttavia riceve i loro ambasciatori confermando loro che la sua benevolenza verso gli Edui non è mutata. Ma ha in mente un piano e lo mette subito in atto per conquistare un secondo colle che darebbe ai Romani un vantaggio tattico importantissimo.
Duro colpo per i Romani
In modo piuttosto confuso i legionari assaltano la città fortificata, provocando il panico soprattutto tra le donne dei Galli che supplicano i Romani di non ripetere la strage indiscriminata di Avarico. Quando però arrivano i cavalieri galli, le donne rivolgono a loro le preghiere per la propria salvezza. I rinforzi danno vigore ai Galli che hanno il sopravvento: i Romani perdono quel giorno poco meno di 700 soldati.
Il giorno successivo Cesare convoca i legionari e li rimprovera per l’avventatezza con cui hanno assaltato la città fortificata da una posizione sfavorevole. Vercingetorige non accetta lo scontro in campo aperto, così Cesare fa ricostruire il ponte sul fiume Allier e lo passa con l’esercito.
Eporedorige e Viridomaro, nonostante Cesare abbia ricordato loro le sue benemerenze nei confronti degli Edui, aderiscono alla ribellione di Litivacco. Novioduno, dove Cesare aveva raccolto tutti gli ostaggi della Gallia, il frumento, l’erario e buona parte dei bagagli, viene data alle fiamme, mentre gli Edui si trasferiscono nella loro capitale, Bibracte.
Venutolo a sapere Cesare raggiunge a tappe forzate la Loira, la supera presso un guado e si dirige verso i Senoni. Nel frattempo Labieno muove contro Lutezia con quattro legioni, lasciando ad Agedinco i rinforzi arrivati dall’Italia, a guardia delle salmerie. I nemici si raccolgono affidando il comando all’anziano Camulogeno.
Ai Romani viene impedito il passaggio della Senna, così Labieno cambia tattica e si sposta su Metiosedo, conquistandola. I Galli danno fuoco a Lutezia e ne tagliano i ponti. Labieno decide di ricondurre l’esercito ad Agedinco. Avviene poi lo scontro con le forze di Camulogeno che vengono sconfitte. Lo stesso capo muore sul campo. Il comandante romano ritorna ad Agedinco e da lì raggiunge Cesare.
A Bibracte viene indetto il concilio di tutta la Gallia che conferma il comando supremo a Vercingetorige, provocando risentimento negli Edui che rimpiangono l’amicizia di Cesare.
Vercingetorige ad Alesia
Non potendo ricevere rinforzi dalla Provincia e dall’Italia, Cesare li chiede e ottiene dalle popolazioni germaniche che si era fatte amiche. Nello scontro con la cavalleria dei Galli i Romani hanno la meglio, facendo strage dei nemici. Tra i prigionieri c’è anche Eporedorige.
Vercingetorige ripiega su Alesia e Cesare lo segue. Accampatosi davanti alla città, ordina subito la costruzione di un vallo tutto attorno. Altro scontro di cavalleria favorevole ai Romani, grazie al supporto dei Germani. Prima che la circonvallazione romana sia ultimata, Vercingetorige ordina la partenza a tutta la cavalleria e prende disposizioni per l’attesa dei rinforzi. Alla prima circonvallazione Cesare fa seguire una seconda, alle spalle dei Romani, contro i rinforzi nemici.
I Galli raccolgono le forze da tutte le popolazioni, secondo le rispettive possibilità. Partecipano anche quelle che avevano ricevuto benefici da Cesare. Il totale è di 8 mila cavalieri e circa 250 mila fanti. Il comando viene affidato a Commio, Viridomaro, Eporedorige e Vercassivellauno.
Ad Alesia, intanto, finisce il frumento e si tiene il consiglio per stabilire il da farsi. Qualcuno propone di arrendersi, altri di fare una sortita. Accorato discorso di Critognato che invita alla resistenza fino all’estremo del cannibalismo. Si decide di resistere a oltranza, fino alle estreme conseguenze, compreso lo scenario immaginato da Critognato. Gli inabili alla guerra vengono fatti uscire dalla città. Lo stesso è imposto ai Mandubii, proprio quelli a cui appartiene Alesia.
L’assedio di Alesia
Arrivano i rinforzi e la loro vista desta la speranza negli assediati. Si combatte duramente da mezzogiorno fin quasi al tramonto tra le due cavallerie, sotto gli occhi di tutti, come fosse una prova sportiva. L’intervento della cavalleria dei Germani è risolutivo per assicurare la vittoria ai Romani.
Dopo un giorno di pausa, i Galli arrivati come rinforzo assaltano il vallo esterno, mentre Vercingetorige ordina un attacco a quello interno. I Romani sono però preparati. I sistemi di difesa indeboliscono gli attacchi, infliggendo grandi perdite ai nemici. Anche il tentativo di Vercingetorige fallisce: quando si accorge che i rinforzi sono ritornati sulle loro posizioni, ordina ai suoi di rientrare nella fortezza.
I Galli cambiano strategia. Decidono di assaltare l’accampamento romano posto sul colle a settentrione. Affidano per la missione 60 mila uomini a Vercassivellauno che li conduce di notte fino nei pressi del campo romano. Il giorno dopo riprende lo scontro. I Galli sono consapevoli che se riusciranno a sfondare, non ci sarà salvezza per i Romani. Questi invece sanno che se resisteranno, avranno infine la meglio.
Il punto di massima pressione è presso le difese del colle settentrionale. I Galli falliscono il tentativo di sfondamento, grazie all’abile regia di Cesare che con la sua presenza infonde coraggio ai legionari. I cavalieri mettono in fuga i nemici e ne fanno strage, mentre Vercassivellauno è catturato vivo. Quelli di Alesia assistono alla sconfitta dei rinforzi e abbattuti, rientrano nella fortezza. I superstiti tornano nei loro paesi di provenienza.
Il giorno dopo Vercingetorige convoca il consiglio. Per placare i Romani propone ai suoi che lo uccidano o lo consegnino a Cesare. La resa impone la consegna dei capi e delle armi. Cesare distribuisce un prigioniero a testa ai legionari, come preda di guerra, poi parte per il paese degli Edui (dove svernerà a Bibracte) e prende disposizioni per le legioni, affidandole a vari luogotenenti.
Saul Stucchi
Statua di Vercingetorige ad Alesia (da Wikipedia)