Anno 54 a.C.
Il quinto libro della Guerra gallica di Giulio Cesare si apre con l’allestimento di una nuova flotta per la Britannia, con gli accorgimenti maturati con l’esperienza della precedente spedizione. Cesare si sposta nell’Illirico, dove sistema le cose e poi torna in Gallia, soddisfatto nel vedere l’ottimo lavoro compiuto: sono state predisposte circa 600 navi, più 28 del modello “sottile”. Parte per il territorio dei Treveri che avevano rifiutato di partecipare all’assemblea.
La seconda spedizione in Britannia
Induziomaro e Cingetorige si contendono il primato tra i Treveri. Il secondo si presenta subito da Cesare per ribadirgli la sua fedeltà, mentre il primo temporeggia e cede soltanto perché teme di rimanere isolato. Cesare convoca i capi dei Treveri e li fa riconciliare con Cingetorige, a cui accorda la sua preferenza, provocando il risentimento di Induziomaro.

La spedizione è pronta per salpare per la Britannia, ma i venti contrari ne impediscono la partenza per una ventina di giorni. Cesare vuole portare con sé l’eduo Dumnorige perché sa che scalpita per dominare sulla Gallia. Costui resiste in ogni modo e quando la spedizione finalmente sta per partire fugge dal campo con i suoi cavalieri con l’idea di tornare in patria. Cesare lo fa inseguire, con l’ordine di ucciderlo se dovesse opporre resistenza. Così infatti avviene: piuttosto che tornare da Cesare, Dumnorige si fa uccidere dai cavalieri romani.
Cesare lascia Labieno con tre legioni in Gallia, mentre lui parte per la Britannia con le altre cinque legioni. Partiti al tramonto, vi approdano verso mezzogiorno. Questa volta non trova i nemici ad attenderlo, perché questi hanno visto il gran numero di imbarcazioni e si sono nascosti più all’interno.
Cesare si mette subito in marcia verso il nemico e fa costruire l’accampamento dopo una schermaglia con la cavalleria dei Britanni. Durante la notte, però, una tempesta ha danneggiato numerose imbarcazioni. Cesare cambia piano: fa tirare in secco le navi, riunendole nell’accampamento e scrive a Labieno di realizzarne di nuove.
Cesare contro Cassivellauno
I Britanni hanno affidato la gestione della guerra a Cassivellauno che domina su un territorio al di là del Tamigi (Tamesis). Segue una parentesi etnografica e geografica sulla Britannia, abitata all’interno dagli indigeni e sulla costa da popolazioni giunte dal Belgio.
Tra le annotazioni Cesare segnala che questi popoli non mangiano lepri, né galline né oche e che qui le notti sono più brevi che nel continente: l’hanno calcolato con i loro orologi ad acqua. Per quanto riguarda i rapporti familiari, le donne sono in comune “in dieci o dodici”, specialmente tra parenti…
Scontri tra la cavalleria britannica e i legionari occupati nei lavori di fortificazione e poi con quelli usciti a foraggiare. Cesare conduce l’esercito al Tamigi, verso il territorio di Cassivellauno. La cavalleria romana passa il fiume a guado, sotto gli occhi dei nemici che si ritirano, dandosi alla fuga.
Nel frattempo i Trinovanti mandano ambasciatori a Cesare con la promessa di sottometterglisi, ma gli rimandino Mandubracio che era venuto a lui in Gallia. Costui è figlio del precedente re, ucciso da Cassivellauno. Cesare lo concede.
Ha successo l’assalto dei Romani al luogo fortificato in cui si è rifugiato Cassivellauno che vede crollare tutto il suo piano di resistenza ed è costretto a chiedere la resa. Cesare gli impone la consegna di ostaggi e poi riporta l’esercito nel continente con due viaggi, visto il gran numero di prigionieri che li accompagnano. Lo scagliona in diversi luoghi della Gallia a causa della scarsità di grano dovuta alla siccità. Lui stesso rimane in Gallia.
La rivolta di Ambiorige
Il re dei Carnuti Tasgezio, messo sul trono da Cesare, viene ucciso a tradimento. Cesare manda Lucio Planco a scoprire i colpevoli. Intanto scoppia la rivolta di Ambiorige e Catovulco che attaccano un campo romano, ma ne vengono respinti.
Allora Ambiorige chiede di parlamentare e avutone il permesso scarica la colpa sul proprio popolo che ha su di lui tanto potere quanto lui su di esso. Sollecita Titurio a condurre la sua legione a uno degli accampamenti più vicini, per evitare di essere assaltata dai nemici in forze.
Nel consiglio di guerra che viene convocato si discute se fidarsi o meno di questo avvertimento di Ambiorige. Cotta è per il no, mentre Titurio è favorevole a spostarsi. Alla fine, dopo lunghe discussioni, Cotta cede e prevale il parere di Titurio. La partenza viene annunciata per l’alba.
Strage di Romani
In effetti, poco dopo la partenza, i legionari vengono attaccati dai nemici mentre si trovano in una posizione debole. Titurio perde la testa. Al contrario Cotta, che aveva previsto il pericolo di un attacco a tradimento, si comporta valorosamente. Le cose si mettono male per i Romani. Ambiorige gestisce al meglio la posizione di vantaggio, ordinando di retrocedere quando una coorte si muove all’attacco e di tornare a colpire quando l’esercito si riunisce a cerchio.
Titurio manda un interprete ad Ambiorige per chiedere che risparmi la vita ai legionari. Il capo gallo risponde che Titurio ha la sua parola d’onore di aver salva la vita, mentre per gli altri cercherà di ottenerlo dalla sua gente. La risposta viene riferita a Cotta che si rifiuta di arrendersi.
Sabino con i suoi tribuni e centurioni si reca da Ambiorige e a suo ordine depone le armi. Dopo una lunga discussione protratta apposta, Titurio e i suoi vengono uccisi, mentre Cotta muore combattendo, insieme alla maggior parte dei soldati.
I pochi superstiti si rifugiano nel campo. Qui, non avendo speranza di salvezza, arrivata la notte si uccidono a vicenda piuttosto che finire in mano ai nemici. Solo alcuni scampati giungono ai quartieri invernali di Labieno per informarlo della strage.
La resistenza di Quinto Cicerone
Ambiorige vuole sfruttare la vittoria e chiama a raccolta altre popolazioni galliche, incitandole ad attaccare il campo di Quinto Cicerone, fratello dell’oratore. Si ripete lo schema dell’azione precedente, con la strenua resistenza da parte dei Romani e l’invito a parlamentare.
Ma Cicerone tiene testa e rifiuta di accettare la proposta di Ambiorige. Con l’aiuto tecnico di alcuni prigionieri i Nervii si preparano all’assedio, con tanto di vallo, fossato e macchine da guerra.
Nel settimo giorno di assedio i Galli iniziano a scagliare dardi incandescenti che incendiano i tetti delle baracche dell’accampamento. La pressione dei nemici si sempre più pesante, ma i legionari riescono a resistere. Qui Cesare inserisce l’episodio dell’aristeia – impresa eroica – di Tito Pullone e Lucio Voreno, da sempre in gara per dimostrare chi dei due sia il più valoroso. Si salvano a vicenda durante la sortita che fanno, con pari ardore, tanto che di nuovo è impossibile stabilire chi sia il migliore.
I messi che Cicerone manda a Cesare vengono intercettati e torturati. Allora Cicerone invia il nervio Verticone e costui riesce a raggiungere Cesare e a informarlo dell’assedio. Cesare si muove immediatamente e fa venire le due legioni di Marco Crasso e di Caio Fabio, mentre Labieno ritiene più prudente non spostare la sua, considerata la vicinanza di forze nemiche.
Cesare arriva in tempo
A tappe forzate Cesare arriva nel paese dei Nervii e consegna a un Gallo un messaggio scritto in greco per Cicerone. Il Gallo si avvicina il più possibile al campo e poi scaglia il giavellotto con la lettera nascosta nella correggia. Nell’accampamento però nessuno si accorge del lancio. Solo al terzo giorno un soldato vede il giavellotto e porta a Cicerone il messaggio, proprio mentre si stanno avvicinando le legioni di Cesare.
Cicerone manda a sua volta un messaggio per dire a Cesare che i nemici si stanno dirigendo contro di lui. Cesare rallenta la marcia e fa allestire il campo. Inscena una serie di finzioni per far credere ai nemici di aver paura, in modo da spingerli in una posizione sfavorevole. Poi li attacca di sorpresa e li sbaraglia, costringendoli alla resa.
Raggiunge il campo di Cicerone e constata la drammatica situazione: solo un decimo dei soldati ancora vivi non ha ferite.
La testa di Induziomaro
Cesare decide di passare l’inverno in Gallia per tenere sotto controllo la situazione e intervenire nel caso di sollevazioni. Per tutta la stagione i Treveri e Induziomaro mandano messi ai Germani per sollecitarli a oltrepassare il Reno, ma non riescono a convincerli.
Cresce però la fama di Induziomaro come capo della resistenza ai Romani. Costui indice un consiglio armato dei Galli nel quale fa condannare Cingetorige, suo genero e avversario, nonché alleato di Cesare. Poi provoca Labieno, asserragliato nel suo campo ben fortificato.
Questi fa credere di aver timore dei Galli, ma poi all’improvviso ordina una sortita che mette in fuga i nemici e ottiene la testa di Induziomaro, sulla quale aveva posto una ricca taglia. Cesare può così godere un po’ di pace in Gallia (e qui al lettore tornano alla mente le parole che dirà il generale caledone Calgaco, riportate nell’Agricola di Tacito: “Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant”, Dove fanno il deserto, lo chiamano pace.
Saul Stucchi