Gallia est omnis divisa in partes tres, quarum unam incolunt Belgae, aliam Aquitani, tertiam qui ipsorum lingua Celtae, nostra Galli appellantur. È il celeberrimo inizio del “De bello gallico” ovvero La guerra gallica di Giulio Cesare.
La prima pagina è dedicata alla descrizione geografica delle tre Gallie, abitate rispettivamente da Belgi, Aquitani e Galli (Celti). I più tosti sono i Belgi perché sono i più lontani dalla civiltà della Provincia (quella che poi sarebbe diventata la Provenza) e confinano con i Germani, con cui sono sempre in guerra. Lo stesso vale per gli Elvezi.

De bello gallico: La congiura degli Elvezi
Orgetorige è il primo personaggio menzionato. È il più ricco e nobile degli Elvezi, nonché motore della congiura finalizzata a far emigrare in massa gli Elvezi perché conquistino tutta la Gallia. Nel loro piccolo territorio, infatti, si sentono soffocare. Impiegano un paio di anni a prepararsi per l’impresa, sotto la guida di Orgetorige che coinvolge il sequano Castico e l’eduo Dumnorige. Il piano viene però scoperto e Orgetorige muore in circostanze sospette.
Gli Elvezi tuttavia non abbandonano il piano e fanno terra bruciata in patria per costringersi a non tornare indietro. Hanno davanti a loro solo due vie: passare dal paese dei Sequani o attraverso la Provincia. La prima via è stretta e pericolosa, breve e molto più agevole la seconda. Così optano per quest’ultima, fidando di poter persuadere gli Allobrogi a farli passare o di costringerli con la forza.
Il giorno fissato per la partenza è il 28 marzo del 58 a.C., anno del consolato di Lucio Pisone (padre di Calpurnia, terza e ultima moglie di Cesare che aveva sposato l’anno precedente, quello del suo primo consolato) e di Aulo Gabinio.
Ecco che compare Cesare. Appena saputa l’intenzione degli Elvezi, Cesare lascia Roma e a tappe forzate arriva a Ginevra (Genava) e ordina di raccogliere truppe perché fino a quel momento la Gallia Ulteriore (cioè quella al di là delle Alpi) ospitava una sola legione. Gli Elvezi gli mandano messi per comunicargli l’intenzione di attraversare pacificamente la Provincia. Cesare è contrario, ma prende tempo in attesa che arrivino le truppe richieste.
Le legioni di Cesare
Intanto fa costruire una muraglia dal lago Lemano fino al monte Giura. Quando tornano gli ambasciatori, nega il passaggio della Provincia. Gli Elvezi provano a passare il Rodano, ma vengono ricacciati. Allora decidono di percorrere la seconda strada e mandano ambasciatori all’eduo Dumnorige perché faccia da intermediario con i Sequani per il passaggio nel loro territorio.
Cesare, saputa la cosa, torna in Italia e vi raduna cinque legioni con cui ripassa nella Gallia Ulteriore. Alcuni popoli celtici cercano di sbarrargli la strada, me vengono sconfitti. Nel frattempo gli Elvezi saccheggiano il territorio degli Edui che mandano ambasciatori a Cesare per chiederne l’aiuto. Lo stesso fanno Ambarri e Allobrogi.
Con una mossa fulminea Cesare attacca gli Elvezi mentre attraversano la Saona (Arar), nel cantone dei Tigurini che nella generazione precedente avevano sconfitto l’esercito di Lucio Cassio. Vendetta è fatta.
Cesare fa gettare un ponte sulla Saona e vi fa passare l’esercito. Gli Elvezi provano sgomento per la celerità dell’operazione e gli mandano ambasciatori per parlamentare. Li guida Divicone che ricorda a Cesare la sconfitta del passato e pretende il via libera. Cesare risponde a tono: la sconfitta fu dovuta al fatto che i Romani non si aspettavano un atto ostile da parte degli Elvezi, a cui non avevano fatto nulla di male. Adesso invece sono preparati e non permetteranno ad altre azioni violente. Se però gli Elvezi daranno ostaggi e ripagheranno i danni del loro passaggio, avranno la pace. Divicone risponde picche.
La prima battaglia
Per due settimane i due eserciti procedono a poca distanza l’uno dall’altro, con le retroguardie nemiche che rintuzzano gli attacchi delle avanguardie romane. Cesare sollecita agli Edui il frumento che gli hanno promesso, ma questi rimandano continuamente (da notare l’espressione: “Conferri, comportari, adesse dicere”).
Cesare ne convoca i capi e si lamenta con loro. Gli risponde Lisco, vergobreto degli Edui, ovvero colui che ricopriva la carica più alta. Ci sono quelli che spingono a sabotare i Romani, con la motivazione che è meglio essere soggetti ad altri Galli piuttosto che ai Romani. Rimasto solo con lui, lo fa parlare con più franchezza.
L’ostacolo è Dumnorige, uomo potente e ricco che ambisce a diventare re. Il problema di Cesare è che non vuole offendere il di lui fratello Diviziaco, fedele e leale con i Romani. Questi lo supplica di non essere troppo severo. Cesare convoca Dumnorige e lo ammonisce, alla presenza del fratello, di non perseverare nell’ostilità per i Romani.
Cesare decide di abbandonare l’inseguimento degli Elvezi e di dirigersi a Bibracte, la principale città degli Edui.
Prima battaglia, molto dura. I Romani riescono a impadronirsi del campo e dei bagagli dei nemici. Catturano anche la figlia di Orgetorige e un figlio di lei. Gli Elvezi proseguono la spedizione e giungono nel paese dei Lingoni, mentre i Romani si fermano tre giorni per curare i feriti e seppellire i morti.
Cesare fa sapere ai Lingoni che se aiuteranno gli Elvezi, saranno considerati nemici come loro. A causa della mancanza di viveri gli Elvezi trattano la resa, mentre una parte cerca la fuga. Cesare chiede la consegna degli ostaggi e il ritorno dei fuggiaschi. Cesare accetta la resa e ordina loro di ricostruire quanto hanno distrutto e di tornare nel loro territorio.
Il concilio generale dei Galli
Conclusa la guerra contro gli Elvezi, ambasciatori da quasi tutta la Gallia chiedono a Cesare il permesso di organizzare un concilio generale dei Galli. Ottenutolo, tengono questo concilio e poi tornano da Cesare per aggiornarlo. Diviziaco spiega che ci sono due fazioni, una guidata dagli Edui e l’altra dagli Arverni. Questi sono riusciti a prevalere grazie all’aiuto di mercenari germanici che però ora sono passati in massa in Gallia con pretese sempre maggiori. Li guida il re Ariovisto. La presenza dei Germani sta costando più cara agli Arverni vittoriosi che agli Edui sconfitti.
Diviziaco chiede a Cesare che si opponga a un ulteriore passaggio dei Germani al di qua del Reno. I più impauriti e silenziosi sono i Sequani che hanno accolto i Germani di Ariovisto nel proprio territorio e ne temono la ritorsione.
Cesare decide di porre un freno all’espansionismo dei Germani: ne va della sicurezza della Provincia e di Roma stessa. Manda ambasciatori ad Ariovisto per concordare un incontro a metà strada. Il re germanico risponde che non ne vede la necessità né il motivo, visto che occupa la Gallia per diritto di guerra.
A sua volta Cesare gli fa sapere la serie di richieste: se non verranno accolte, sarà costretto a intervenire a difesa degli Edui. Ariovisto non si impressiona, anzi risponde per le rime: i Germani adottano con i popoli vinti la stessa politica dei Romani. Se Cesare vuole attaccarli, lo faccia pure, a suo rischio e pericolo.
I Romani hanno paura
Cesare si muove a tappe forzate verso Ariovisto, preoccupato per l’approssimarsi al Reno di altre popolazioni germaniche. Ariovisto si appresta a conquistare Besançon (Vesontio), la città più grande dei Sequani, ma Cesare vi arriva per primo e la occupa, ponendovi un presidio. I soldati romani sono turbati per le voci sulla forza bruta dei Germani, tanto che nell’accampamento molti predispongono il proprio testamento (testamenta obsignabantur).
Anche i più esperti nutrono timori, tanto che Cesare convoca il consiglio di guerra nel quale rampogna i centurioni, ricordando le imprese vittoriose dei Romani contro i Cimbri e i Teutoni. Li informa che quella stessa notte l’esercito si metterà in marcia. Se non dovessero seguirlo, andrà avanti con la sola Decima Legione, sulla fedeltà della quale non ha alcun dubbio. Questo discorso rincuora i centurioni e ne cambia l’atteggiamento.
Cesare incontra Ariovisto
Dopo una settimana di marcia l’esercito romano arriva a poca distanza da quello di Ariovisto che manda messi a Cesare per accettare l’incontro prima rifiutato. Cesare ci va scortato da legionari della Decima montati a cavallo.
Ricorda ad Ariovisto i benefici avuti da lui e dal Senato, nonché l’amicizia con gli Edui e poi gli rinnova le richieste già presentate. Da parte sua Ariovisto ribadisce le proprie ragioni: quella parte di Gallia è sua, come l’altra è dei Romani. Inoltre dice apertamente a Cesare che se lo uccidesse, farebbe cosa grata a molti nobili romani e ne otterrebbe il favore.
Cesare ribatte che la Gallia deve rimanere libera perché così la vuole il Senato di Roma (evidentemente – va notato – su questo punto aveva ragione Ariovisto, come dimostrerà la conquista della Gallia). Poi il colloquio si interrompe perché alcuni cavalieri di Ariovisto scagliano sassi e frecce contro i Romani.
Ariovisto chiede un nuovo colloquio e Cesare gli manda Caio Valerio Procillo e Marco Mezio. Il re germanico non la prende mette e li fa mettere in catene, poi si muove per superare la posizione di Cesare e tagliargli la via di rifornimento. Come in una partita a scacchi, Cesare attua la sua contromossa, facendo porre un secondo campo fortificato in cui lascia due legioni, mentre le altre quattro tornano in quello principale.
La sconfitta di Ariovisto
Lo scontro che segue non è risolutivo, ma Ariovisto continua a non accettare la battaglia campale. L’indomani, finalmente, avviene la battaglia campale il cui risultato sta a lungo in bilico, finché i Romani non riescono a prevalere, mettendo in fuga i Germani che cercano di ripassare il Reno.
Tra i pochi che ci riescono c’è Ariovisto, mentre le due mogli restano uccise, così come una delle due figlie, mentre l’altra viene catturata. Cesare è felice d’imbattersi in Valerio Procillo che viene strappato ai nemici in fuga. Anche Marco Mezio si salva.
Il primo libro si chiude con l’affidamento a Labieno dell’esercito condotto negli accampamenti invernali tra i Sequani, mentre Cesare si reca in Gallia Citeriore per occuparsi dell’amministrazione della giustizia.
Saul Stucchi
Nella foto il cosiddetto “Cesare verde“, busto di Gaio Giulio Cesare in basanite, conservato all’Altes Museum di Berlino.