Anno 51 a.C.
Con l’ottavo libro si chiude la “Guerra gallica” di Giulio Cesare. Ha un incipit curioso, molto diverso da quello dei libri precedenti. Si apre infatti con le parole che Aulo Irzio rivolge a Lucio Cornelio Balbo per spiegargli il motivo con cui ha composto questo libro utilizzando gli appunti dello stesso Cesare. Ne loda lo stile ed elogia la rapidità con cui Cesare scriveva i suoi Commentarii.

Cesare contro i Bellovaci
Dopo questa premessa, riprende il racconto degli eventi. Cesare lascia Bibracte e si dirige verso il paese dei Biturigi, sorprendendoli con la rapidità della mossa. Dopo quaranta giorni di campagna, ritorna a Bibracte. Qui riceve le lamentele dei Biturigi contro i Carnuti e subito si muove contro questi ultimi, ponendo l’accampamento a Cenabo. Lascia qui Trebonio e, allarmato dai Remi, si dirige contro i Bellovaci intenzionati a penetrare nel territorio dei Suessioni.
Arrivato sul posto, Cesare viene a conoscere i piani dei nemici, decisi a dare battaglia contro un esercito di tre legioni (se invece le forze romane fossero più numerose, si limiterebbero a disturbarle con imboscate). Cesare ha con sé quattro legioni: la Settima, l’Ottava e la Nona, composte da legionari esperti e di provato valore. A loro si aggiunge la Undicesima, formata da truppe meno sperimentate, ma desiderose di farsi valere.
Cesare le dispone in modo che ai nemici sembrino soltanto tre, per convincerli ad accettare la battaglia. Arrivato sul posto, pone l’accampamento di fronte a quello nemico, circondandolo di imponenti difese per far credere di aver timore. Poi chiede rinforzi a Trebonio. Durante una delle scaramucce quotidiane i Galli riescono a uccidere il capo dei Remi, l’anziano Vertisco, alleato di Cesare.
I Bellovaci vengono a sapere dell’imminente arrivo dei rinforzi di Trebonio. Temendo un assedio come quello di Alesia, fanno uscire tutti quelli non in grado di combattere e con loro i bagagli. Con uno stratagemma i Galli cambiano posizione, arroccandosi in una ancora più forte e si preparano a tendere un’imboscata ai Romani. Cesare però viene a conoscenza del piano e prende le sue contromisure.
Quando avviene l’attacco, i legionari non sono colti di sorpresa e reagiscono con professionalità. La battaglia è a lungo incerta, finché non prevalgono i Romani che finiscono col massacrare i nemici. Correo muore combattendo. I Bellovaci mandano messi a Cesare per offrire la resa e gli ostaggi. L’unico a mantenere l’ostilità è Commio. Labieno tenta di farlo fuori con un attentato a tradimento, ma l’incaricato riesce soltanto a ferirlo alla testa.
Drappete e Lucterio
Cesare ridispone le legioni in tutta la Gallia per soffocare gli ultimi focolai di resistenza. Segue la descrizione della campagna di Caio Fabio contro i Carnuti – rapida e risolutiva – e poi quella di Caio Caninio contro Drappete e Lucterio, rifugiatisi presso i Cadurci.
Costoro, per non rimanere assediati come i Galli ad Alesia, escono a raccogliere frumento, lasciando un presidio nella fortezza. Ma i Romani riescono prima a sconfiggere le truppe di Lucterio, che fugge, e poi quelle di Drappete che viene catturato. Caninio può così dedicarsi all’assedio della fortezza.
Il racconto degli eventi torna a focalizzarsi su Cesare che, arrivato tra i Carnuti che avevano dato avvio alla guerra, “contro la propria natura” manda al supplizio Gutruato, promotore della ribellione. Costui è fustigato con le verghe fino allo svenimento e poi decapitato.
Cesare raggiunge poi Caninio a Uselloduno e subito si mette all’opera per prendere la città per sete. Studiata la situazione, fa costruire una torre per bersagliare da lì gli assediati che scendono a rifornirsi d’acqua all’unica fonte a loro rimasta. Come estremo tentativo di resistenza scagliano contro i Romani delle botti incendiarie che però non costringono i legionari a interrompere l’assedio. Vinti dalla sete, gli assediati alla fine si arrendono. Cesare vuole dare una lezione a tutti i ribelli: fa tagliare le mani a chi ha portato le armi, ma non li uccide, proprio perché siano di monito agli altri.
Drappete si lascia morire di fame, mentre Lucterio viene consegnato in catene a Cesare dall’arverno Epasnacto. Cesare si reca in Aquitania, unica parte della Gallia in cui non era ancora stato. Qui le popolazioni gli si sottomettono subito e lui può tornare a Narbona e dislocare le legioni nelle varie parti della Gallia. Infine raggiunge il Belgio per svernare a Nemetocenna (l’odierna Arras).
Il trionfale ritorno in Italia
Non si dà per vinto l’atrebate Commio, contro il quale Antonio manda il prefetto della cavalleria Caio Voluseno Quadrato. Dopo vari scontri di cavalleria favorevoli ai Romani, Voluseno viene assalito e ferito dallo stesso Commio che poi chiede e ottiene il perdono di Antonio, con l’assicurazione di non dover più comparire di fronte a un romano.
A questo punto Irzio inserisce una breve avvertenza per il lettore: non dedicherà un intero commentario all’anno seguente, come invece aveva fatto Cesare per ciascuno degli anni precedenti. La motivazione è semplice: non sono successe in Gallia imprese degne di nota.
Cesare torna in Italia a marce forzate per sostenere la candidatura di Marco Antonio alla carica di augure. Irzio riferisce delle “incredibili manifestazioni di onore e di amore” con cui municipi e colonie accolgono Cesare al suo rientro.
Poi l’attenzione si sposta sulle manovre del senato e di Pompeo per contrastare il prestigio di Cesare. La “Guerra gallica” si chiude con un’annotazione carica di funesti presagi: Cesare, consapevole delle macchinazioni ordite contro di lui, è deciso a sopportare tutto finché gli rimanga qualche speranza “di comporre il tutto in via legale, anziché fare la guerra”.
Sappiamo tutti come sia andata a finire. Prossimamente racconteremo i tre libri del “De bello civili”, la “Guerra civile”.
Saul Stucchi
La campagna finale di Cesare del 51 a.C., e la definitiva sottomissione dell’intera Gallia (da Wikipedia)