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Voi siete qui: Teatro & Cinema » Recensione di “Venere in pelliccia” di Roman Polanski

22 Aprile 2023

Recensione di “Venere in pelliccia” di Roman Polanski

Il film Venere in pelliccia di Roman Polanski (2013) si chiude con la citazione “Dio lo ha castigato e lo ha messo nelle mani di una donna”, dal Libro di Giuditta (16, 7) dell’Antico Testamento.

In realtà, come si evince dal titolo (ma vedi anche nota), il “buon” Thomas dovrebbe essere la vittima della sua padrona Vanda, ma la grandezza del film (e prima ancora della omonima pièce teatrale di David Ives) sta tutta nel gioco sottile di continuo scambio dei ruoli tra i due.

In più, dal momento che siamo a una audizione per la parte della protagonista, assistiamo anche a un ulteriore scambio tra “uomo/attore” e “donna/attrice”. Chiaramente, metacinema [vedi le mie recensioni di Hellzapoppin’ e di Schiava d’amore] o – se preferite – metateatro.

– “In un attimo lei ha fatto di me quello che sono.”
– “La vita fa di noi quello che siamo in un momento imprevedibile.”

Uno screenshot del film "Venere in pelliccia" di Roman Polanski

Dopo tanto tempo, torno a raccontare la trama del film.

Ma sto barando, perché la trama è tutta nelle poche righe che ho già scritto. Vanda si presenta in teatro per ottenere la parte e il regista (Thomas) la esamina. Tutto qui, senza nessun altro attore in scena, senza che la telecamera mai esca dal palcoscenico ove si sta provando.

Soltanto sui titoli di testa, una camera-car in piano sequenza, ci porta attraverso un viale alberato fin dentro il teatro. Da questo momento, si manifesta la grande maestria di Polanski: nella prima parte del film, più vivace e dinamica, la macchina da presa insegue i due personaggi per cercare di carpirne l’anima, mentre nella seconda, quando cominciano a essere più chiari i caratteri, la regia utilizza inquadrature più fredde, raffinate e sofisticate.

Contributi fondamentali arrivano dalla fotografia (Pawel Edelman) molto naturale che rende al meglio l’ambiente di un teatro; dal montaggio (Hervé de Luze e Margot Meynier) e dal mixage audio.

Mi fermo qui con il film, perché mi preme parlare di Roman Polanski, sia riguardo alla sua vita, sia per quanto ha fatto nel campo cinematografico.

Voglio tenere separate le due cose e per farlo, mi riallaccio a un episodio accaduto durante il 76° Festival di Venezia (2019).

La Presidente della Giuria è l’argentina Lucretia Martel, regista molto attiva nel campo dei diritti femminili. Costei, trovandosi davanti il film J’accuse (in italiano L’ufficiale e la spia) di Roman Polanski dichiara che non può separare l’uomo dall’opera. Viene interpellato anche il direttore della Mostra, Alberto Barbera, che – al contrario – sostiene che “è fondamentale distinguere l’uomo dall’artista”.

Questa è una polemica che si trascina da centinaia di anni e che sta riaccendendosi ancor più negli ultimi tempi, a causa del movimento Me Too [*].

Senza portare troppo in là il discorso, basterebbe citare alcuni grandi nomi della storia dell’arte (Caravaggio o Cellini su tutti) per comprendere che l’opera è una cosa, l’autore un’altra. E, per completezza d’informazione, quando il film di Polanski viene proiettato in Laguna, viene acclamato dal pubblico e dai critici: qualche giorno dopo, la stessa Martel annuncerà che J’accuse ha ottenuto il Leone d’argento gran Premio della Giuria.

Questo sproloquio (che però potrebbe essere usato anche con altri registi) per spiegare il motivo per cui dirò separatamente di Polanski e delle sue pellicole.

La vita

La vita privata è piuttosto movimentata. Nasce a Parigi nel 1933 da uno scultore e pittore polacco e da una casalinga russa. Nel 1936 la famiglia Polanski si trasferisce a Cracovia (Polonia) a causa del crescente clima antisemita in Francia. Quando poi i nazisti entrano nella città, i genitori di Roman vengono deportati nei campi di concentramento di Auschwitz e di Mauthausen. Roman riesce a fuggire dal ghetto di Cracovia ed evita così la sorte dei suoi. Al termine della guerra studia recitazione, teatro e regia nella scuola di cinema di Łódź: qui si diploma nel 1959.

La sua attività nel campo della Settima Arte si realizza, lasciata la Polonia, in Francia, in Gran Bretagna e negli USA, prima del ritorno in Francia.

La vita privata, allora. A parte le traversie che ho citato nel periodo infantile, vorrei soffermarmi almeno su due aspetti: la seconda moglie (Sharon Tate) e le accuse di molestie del 1977.

Il 9 agosto del 1969, mentre il regista si trova a Londra, la setta guidata da Charles Manson fa irruzione in una villa nei pressi di Los Angeles, ove Sharon Tate (all’ottavo mese di gravidanza) in compagnia di altri amici sta trascorrendo la serata. Cinque, tra cui Sharon, sono brutalmente uccisi. Naturalmente Roman rimane profondamente sconvolto dall’accaduto. [Vedi anche nota]

Più complessa la vicenda legata a Samantha Geimer. Siamo a Los Angeles, nella villa di Jack Nicholson, e Polanski è accusato di violenza sessuale con l’ausilio di sostanze stupefacenti. La particolare gravità della vicenda risiede nel fatto che la ragazza all’epoca avesse 13 anni e undici mesi. Il regista viene condannato ma poco prima della sentenza fugge a Londra e a Parigi per evitare l’estradizione.

Non mi dilungo troppo: aggiungo solo che, dal 1975, essendo cittadino francese non può essere estradato negli USA e che in diverse occasioni, fuori dai confini francesi, ha corso il rischio di cadere nelle mani dell’Interpol. Per chiudere, posso aggiungere che – secondo le sue stesse parole – nel corso degli anni, sono state almeno cinque le donne che lo hanno accusato di violenza sessuale.

La carriera

Poco spazio per dire dei suoi lavori. Mi contenterò di ricordare come in sessanta anni e più di carriera, abbia esplorato diversi generi cinematografi e spesso con ottimi risultati e di pubblico e di critica. Nel 1968 firma Rosemary’s Baby (un thriller con venature horror); dopo il massacro di Bel Air, un Macbeth (1971) che mi colpì molto, perché cupo e pieno di sangue; Che? (1972, commedia grottesca) e il grande successo al botteghino: Chinatown (1974, noir).

E poi L’inquilino del terzo piano (1976, thriller tendente all’horror); Pirati (1986, diciamo, storico); Frantic (1988, thriller); Il pianista (2002, uno dei migliori lavori sull’invasione della Polonia da parte delle truppe tedesche), per arrivare a Carnage( 2011), film teatrale, proprio come quello che sto commentando.

L’ultima opera, finora, è L’ufficiale e la spia (2019) che citavo qualche riga sopra.

Polanski ha vinto l’Orso d’oro a Berlino (1966) per Cul-de-sac e ha ricevuto il Leone d’oro alla carriera a Venezia nel 1993. Con Il pianista ha conquistato la Palma d’oro a Cannes e un Oscar per la regia.

Note e osservazioni

Il romanzo Venere in pelliccia del 1870 è diventato celebre grazie alle speculazioni dello psicologo tedesco Richard von Krafft-Ebing, il quale per primo nelle sue opere utilizza termini che poi entreranno nel linguaggio comune, come sadismo (provare piacere nell’infliggere sofferenze al partner) e masochismo (provare piacere se si è sottomessi). [Altro sull’argomento nella mia recensione a Matrix].

– “Ti ho fatto male?”
– “Sì, deliziosamente male”
(citazione dal film di Polanski)

Una nota curiosa rimanda all’ultimo film di Quentin Tarantino, C’era una volta a… Hollywood. Il regista americano ha una vera passione per la riscrittura della Storia – era già successo con Bastardi senza gloria – e in questa pellicola si immagina la serata in cui trovò la morte Sharon Tate con un diverso (e positivo) epilogo.

Tra le tante cose che Polanski ha fatto, nel 1996 ha curato la regia del videoclip de Gli angeli di Vasco Rossi.

Roman, oltre che regista è anche attore, pur in film non diretti da lui (uno per tutti: Una pura formalità di Giuseppe Tornatore). Curioso che l’attore scelto per Venere in pelliccia (Mathieu Amalric) sia quasi identico fisicamente, ma soprattutto riprenda abbastanza fedelmente le stesse ambigue situazioni (trucco, abiti femminili) di Polanski quando era l’interprete del “suo” Inquilino del terzo piano.

[*] Il Me Too è un movimento di denuncia per molestie e abusi sessuali che prende il nome dall’hashtag diffusosi in modo virale nel 2017 dopo le accuse rivolte al produttore cinematografico H. Weinstein da numerose attrici di Hollywood (fonte: Enciclopedia Treccani on line).

L S D

Venere in pelliccia

  • Regia: Roman Polanski
  • Soggetto: David Ives
  • Sceneggiatura: David Ives, Roman Polanski
  • Interpreti: Emmanuelle Seigner, Mathieu Amalric
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