• Passa al contenuto principale
  • Passa alla barra laterale primaria
  • Passa al piè di pagina

Alibi Online

La cultura viaggia in rete

  • Luoghi
    • Italia
    • Europa
    • Mondo
    • A letto con ALIBI
  • Mostre
    • Arte
    • Fotografia
    • Storia
  • Spettacoli
    • Teatro & Cinema
    • Musica & Danza
  • Biblioteca
  • Interviste
  • Egitti
Voi siete qui: Biblioteca » “La valle oscura” di Anna Wiener è un vero inferno

15 Novembre 2020 Scritto da Saul Stucchi

“La valle oscura” di Anna Wiener è un vero inferno

L’editoriale “L’ALIBI della domenica” è dedicato questa settimana al libro “La valle oscura” di Anna Wiener.

Nell’editoriale di due settimane fa (1° novembre 2020) ho accennato a “Steve Jobs non abita più qui” di Michele Masneri, edito da Adelphi. Oggi voglio invece parlare di un altro libro pubblicato da Adelphi: “La valle oscura” di Anna Wiener, tradotto da Milena Zemira Ciccimarra per la collana “Fabula”.

Michele Masneri Steve Jobs non abita più qui

I due testi hanno in comune il tema, ovvero Silicon Valley, ma lo affrontano da punti di vista e con stili di scrittura differenti. Il primo è il frutto dei reportage di un giornalista italiano, dunque lo sguardo sulla Valle è quello di un osservatore esterno. Il secondo è invece la testimonianza diretta di una professionista americana del settore “tech” e il suo lo sguardo di una “insider”. Consiglio caldamente la lettura di entrambi, possibilmente a poca distanza l’uno dall’altro, come fossero i pannelli di un dittico o i capitoli di un’unica storia. Sono infatti numerosi gli spunti che s’intrecciano, le situazioni, gli ambienti e i personaggi che hanno in comune.

“La valle oscura” finisce là dove inizia “Steve Jobs non abita più qui”, con la vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali del 2016. “È il 9 novembre 2016, Trump inopinatamente ha conquistato l’America, la California la prende come un’offesa personale, o un malanno stagionale: tutti cercano o offrono qualcosa di caldo”, si legge all’inizio del secondo.

“Per mesi, dopo le elezioni, amici e colleghi non se la passarono bene. Mal di stomaco, insonnia, astrologia. Bevevano troppo. Cominciarono a svapare con moderazione. Parteciparono a bagni di suono meditativi e presero in considerazione il microdosaggio per prevenire la depressione incombente o recuperare la produttività persa”, si legge invece alla fine del primo.

Anna Wiener, La valle oscura (Adelphi)

Nelle quasi 300 pagine precedenti la Wiener mette a nudo le responsabilità del settore “tech” nella creazione di un mondo a parte, virtuale, che ha pesanti ricadute in quello reale, non ultima la vittoria di Trump nelle precedenti elezioni (e forse, ancor di più – è una nostra personale considerazione – il suo incredibile risultato in queste).

Aspetti inquietanti

Se il titolo della traduzione italiana allude probabilmente alla Divina Commedia, quello originale – “Uncanny valley. A memoir” – pone l’accento su un aspetto solitamente trascurato di Silicon Valley, il suo lato “inquietante”. E nel prendere appunti per questa recensione mi sono ritrovato più volte ad annotare una frase o un periodo segnalandoli appunto con l’aggettivo “inquietante”. Inquietante, per esempio, apprendere che i dipendenti della startup in cui lavorava la Wiener si chiamavano per username, anche quando parlavano di persona.

Inquietante leggere che “i quotidiani più autorevoli avevano corrispondenti che seguivano esclusivamente il colosso dei motori di ricerca, come si trattasse di un governo straniero, un nuovo tipo di nazione”. Inquietante scoprire che la città ideale per cui si stanno raccogliendo i soldi degli investitori non sarà la Città del Sole di Campanella né assomiglierà all’isola Utopia di Tommaso Moro. Sarà invece una brutta copia della metropoli cinese Shenzhen, “epifenomeno di capitalismo autoritario”, con orari di lavoro “996” (ovvero dalle 9 alle 21 per sei giorni alla settimana).

Inquietante comprendere gli usi e gli abusi dei nostri dati consentiti dalla “modalità Dio” a chi sta dietro i pannelli di gestione dei software che usiamo (dati che noi utenti, con allegra e miope incoscienza, affidiamo a queste società private). Inquietante constatare che l’unica scelta che abbiamo sia tra l’essere sorvegliati e il sorvegliare, l’essere dentro o fuori la macchina e l’impero. Inquietante leggere che per alcuni il corpo sia una piattaforma e che le sue funzioni possano essere migliorate da capsule di nootropi. And so on…

East Coast vs West Coast

Le tappe della carriera professionale della Wiener vedono una progressiva crescita dello stipendio e parallelamente un suo sprofondare nella valle oscura californiana. Girone dopo girone aumenta la consapevolezza della protagonista che vede riflessi nei colleghi gli effetti dei demoni che la stanno tormentando. Certo, alcune insicurezze devono far parte del suo carattere: il senso di esclusione, quello di inadeguatezza, la fragilità di fronte alla manipolazione emotiva… Queste debolezze se le era portate in California da New York, dove svolgeva un lavoro nell’editoria che non arriva a idealizzare nemmeno a posteriori.

Lungo tutto il libro corrono i confronti tra le due estremità del Paese: East Coast versus West Coast. Stili di vita diversi, con due diverse gentrificazioni e addirittura due capitalismi differenti. E anche se le fantasie di ritorno alla terra accomunavano i suoi amici dell’Est a quelli dell’Ovest, a dividerli erano il ruolo della controcultura e l’aspetto utopistico di questi sogni. Diverse anche le culture intellettuali. L’elenco che descrive quella della Silicon Valley potrebbe essere cantato sulle note di “Nuntereggae più” di Rino Gaetano: “C’erano economisti e razionalisti; altruisti efficaci, accelerazionisti, neoprimitivisti, millenaristi, oggettivisti, survivalisti, archeofuturisti, monarchici, futarchici. Neoreazionari, fautori delle città galleggianti (e anche qui posso rimandare al libro di Masneri, ndr), biohacker, estropianisti, bayesani, hayekiani”.

Anna Wiener è passata da una “startup di ebook” a una di analisi dati, da una “startup open source” a un “forum pesantemente moderato”, realtà raccontante dal di dentro senza filtri, ma senza mai che lei ne citi il nome. Le menziona con perifrasi. Così parla del “grande negozio online”, del “social network che tutti odiano”, del “conglomerato di Seattle dalla querela facile”, in una sorta di gioco con il lettore. Non nomina nemmeno il “filosofo sloveno responsabile di aver rilanciato il marxismo in un certo sottogruppo della mia (per “sua”, ndr) generazione”.

L’economia della sorveglianza

Di pagina in pagina l’autrice porta alla luce diversi problemi. Se il più evidente, il motore che muove la storia, è lo sviluppo incontrollato del turbocapitalismo delle imprese tech e i danni dell’economia della sorveglianza, il secondo che le sta molto a cuore riguarda la condizione delle donne sul posto di lavoro, indipendentemente dal fatto che esso sia fisico o virtuale. Le allusioni, i commenti da caserma, i comportamenti volgari e sessisti, infatti, travalicano le mura degli edifici per diffondersi urbi et orbi nel web, nelle chat, nei forum online.

E la soluzione non è certo assumere “quote rosa” in posizioni di secondo piano come stanno facendo le società colpite dagli scandali e dalle denunce, prima e dopo il movimento MeToo. “Mi consideravo una femminista, ma il mio lavoro mi aveva messa in una posizione di incessante e professionalizzata deferenza verso l’ego maschile”. Appena sfiorati sono i problemi del “digital divide”, del razzismo e dell’inclusione delle minoranze.

Se già non li conosce, il lettore imparerà alcuni termini del gergo del settore, come pivottare e brogrammer, ma s’imbatterà anche nelle diavolerie gastronomiche di moda in California, mecca della cucina fusion: dalla dukkah alla soba e al tonkatsu, ma c’è posto anche per le olive di Castelvetrano.

Startup di adulti-bambini

L’autrice si è mossa per anni tra adulti–bambini “devoti alla causa”, professionisti affetti da dipendenza dal lavoro che cercano di disintossicarsi uscendo da aziende che sembrano sette religiose. Ambienti in cui ciascuno lavora alla propria mitologia personale, drogato dalla filosofia del successo che si diffonde come verbo salvifico con perle ripetute come mantra del tipo “chiedi perdono, non il permesso”.

“Gli annunci di lavoro erano un ottimo modo per farsi un’idea del divertimento secondo un ufficio Risorse Umane, e del perfetto equilibrio tra lavoro e vita privata secondo un ventitreenne. A volte dimenticavo che non stavo facendo domanda di iscrizione a un campo estivo”. Le feste aziendali che descrive mi ricordano le festicciole a cui portavo mio figlio quando andava alle elementari. Confesso che leggendo molti episodi tra il triste e l’imbarazzante mi è riaffiorato alla memoria il grandissimo senso di sollievo che ho provato un giorno nel varcare il cancello della scuola, andandomene mentre una festa di fine anno era ancora in pieno svolgimento.

Come è uscita la Wiener dalla “valle oscura”? Verrebbe da dire con i vecchi strumenti dell’analisi economica. “Perché sembrava così tabù, chiesi, trattare il lavoro come faceva la maggior parte della gente, come uno scambio di tempo e fatica contro moneta? Perché dovevamo fingere che fosse tutto così divertente?”. E una sessantina di pagine più avanti: “Dire che si faceva un lavoro per soldi era un po’ come urlare la parola di sicurezza in un rapporto sadomaso”.

Ma ne è uscita anche grazie alla scrittura. Adesso collabora con il New Yorker, per cui scrive di cultura tech. No, niente recensioni: “Oh […], quello non è un lavoro”.

Saul Stucchi

Anna Wiener
La valle oscura
Traduzione di Milena Zemira Ciccimarra
Adelphi
Collana Fabula, 361
2020, 309 pagine
19 €


Articoli Correlati

Tweet
Pin
Share
0 Condivisioni

Archiviato in:Biblioteca

Barra laterale primaria




San Girolamo nello studio


Articoli recenti

  • Due nuove opere per le collezioni del Palazzo Ducale di Mantova
  • “I me ciamava per nome: 44.787” per il Giorno della Memoria
  • Curiosità su “L’ultima corsa per Woodstock” di Colin Dexter
  • L’Ospite Inatteso si presenta di martedì al Diocesano di Milano
  • Il 13 febbraio riaprirà la Galleria dell’Accademia di Firenze

Footer

Informazioni

  • Chi siamo
  • Contatti
  • Informativa privacy & Cookie

La rivista online

ALIBI Online è una rivista digitale di turismo culturale, diretta dal giornalista Saul Stucchi. Si occupa di mostre d'arte, storia e archeologia, di cinema e teatro, di libri di narrativa e di saggistica, di viaggi in Italia e in Europa (con particolare attenzione alle capitali come Parigi, Madrid e Londra). Propone approfondimenti sulla cultura e la società attraverso interviste a scrittori, giornalisti, artisti e curatori di esposizioni.

Copyright © 2021 · ALIBI Online - Testata giornalistica registrata al Tribunale di Milano; reg. n° 213 8 maggio 2009
Direttore Responsabile Saul Stucchi

Utilizziamo i cookie per essere sicuri che tu possa avere la migliore esperienza sul nostro sito. Se continui ad utilizzare questo sito noi assumiamo che tu ne sia felice.OkLeggi di più