“L’ALIBI della domenica” è dedicato questa settimana a un libro che racconta di un quadro che racconta di un’epoca. Poi detta “bella”.
Vi capita mai di aver voglia di ricominciare subito un libro di cui avete appena letto l’ultima pagina? A me sì, anche se non frequentemente. Sta succedendo con “L’uomo con la vestaglia rossa” di Julian Barnes, pubblicato da Einaudi con la traduzione di Daniela Fargione. Per un paio di motivi almeno. Il primo è che mi è piaciuto molto, il secondo è la considerazione che una rilettura permetterebbe di comprendere meglio i dettagli dei numerosi personaggi che vi sono menzionati.

Il libro è infatti ricchissimo di aneddoti, episodi, pettegolezzi e storie, a cominciare da quelli riguardanti il protagonista del ritratto che dà il là al libro, ovvero il professor Samuel-Jean Pozzi, ginecologo francese di fama mondiale (1846 – 1918), immortalato – è caso di dire – da John Singer Sargent nel 1881 in un dipinto a olio su tela intitolato “Dottor Pozzi a casa”. L’anno dopo l’opera fu esposta alla Royal Academy di Londra: era la prima volta per il pittore statunitense (ma nato a Firenze – agli Uffizi c’è un suo autoritratto – e morto nella capitale inglese).
Il quadro, del quale sulla copertina Einaudi è ripresa soltanto una sezione che si focalizza sulle mani del protagonista – è conservato al Museo Hammer di Los Angeles, a cui è pervenuto come dono della Armand Hammer Foundation. Alla morte del dottor Pozzi il ritratto passò alla moglie Thérèse (dalla quale era separato ormai da tanti anni) e poi al figlio Jean che lo conservò fino alla propria morte, avvenuta nel 1967.

“L’uomo con la vestaglia rossa” (“a pensarci bene, si intuisce un che di dogale in quella vestaglia rossa nella quale Sargent l’aveva ritratto”) è – tra le tante altre cose – una raccolta di storie di donne gravitanti attorno al bellissimo e bravissimo dottor Pozzi: la moglie e la figlia Catherine, le numerose (?) amanti, tra cui Emma Fischoff. È anche un delizioso album di dandy: dal conte Robert de Montesquieu a Oscar Wilde, al quale Barnes (che non sembra apprezzarlo granché) non fa alcuno sconto.
Emblematici sono i giudizi severi sull’atteggiamento tenuto da Wilde nel processo intentatogli per sodomia: “forse immaginandosi in Francia, intraprese la sua battaglia a suon di arguzie e sfrontatezza contro Edward Carson, avvocato della Corona, scoprendo però che in un tribunale inglese, e di fronte a una giuria inglese, non gli avrebbero portato niente di buono”. (Rimando alla recensione dello spettacolo “Atti osceni. I tre processi di Oscar Wilde” di Moisés Kaufman).
Peccato che mi sia perso le occasioni più recenti (per quanto ne sappia) nelle quali il quadro è stato esposto in Europa: la mostra “Sargent: Portraits of Artists and Friends” alla National Portrait Gallery di Londra (febbraio – maggio del 2015: è in questa circostanza che Barnes si è imbattuto per la prima volta nel dipinto e nell’uomo che vi è ritratto), e quella intitolata “High Society”, organizzata dal Rijksmuseum di Amsterdam (marzo – giugno 2018).
Tra un aneddoto e l’altro, citando da romanzi e da articoli di giornale, Barnes rievoca il caso Dreyfus, lo scoppio della prima guerra mondiale, i progressi della scienza medica e della chirurgia, gli artisti della “Belle Époque” (Boldini, Carolus-Duran, Degas…). Ha modo di affrontare e di dire la sua sul rapporto di odio e amore tra Francesi e Inglesi (più che Britannici).
E poi racconta di duelli e di pallottole esplose con maggiore o minore intenzione di uccidere. Una colpì, per esempio, di striscio il dottor Adrien Proust, padre di Marcel. A proposito: che fine ha fatto il proiettile che ha ucciso Puškin? Davvero faceva parte della collezione di curiosità di Montesquieu, morto a Mentone nel 1921 (il prossimo 11 dicembre farà giusto un secolo)? E dove e come è andata perduta la gamba amputata di Sarah Bernhardt? A proposito: era la destra o la sinistra?
Anche la collezione del dottor Pozzi, comprendente antichità e opere d’arte, fu dispersa, battuta all’asta a Parigi un anno dopo la sua morte. Qualcosa è finito al Louvre: è il caso di una statuetta in calcare che raffigura Zeus Ammone con testa di ariete seduto su un trono con poggiapiedi, affiancato da sfingi che indossano un copricapo egittizante. Rinvenuta a Cnido, è datata al periodo Cipro – arcaico II (575 – 550 a.C.). A donarla al museo fu il figlio Jean nel 1919 (il Louvre possiede una buona parte della collezione archeologica di quest’ultimo, diplomatico e collezionista d’arte).
Cercando in rete ho scoperto che la settimana prossima andrà all’asta una delle monete del dottor Pozzi, un tetradramma di Akragas (Agrigento) datato tra il 460 circa e il 450/446 a.C. Riporta sul dritto un’aquila con le ali chiuse e sul rovescio un granchio, simboli della città siciliana. Il valore stimato è di 10 mila euro. In un catalogo online ho trovato altre monete a lui appartenute, vendute a cifre decisamente più contenute.
A chiusura de “L’uomo con la vestaglia rossa” c’è una nota dell’autore – due pagine di numero – che vale quasi quanto il resto del libro. Ne cito soltanto qualche riga, in cui Barnes riassume come in un veloce schizzo letterario la vita di Samuel-Jean Pozzi “che era razionale, scientifico, progressista, internazionale e costantemente avido di novità; che salutava ogni giorno nuovo con entusiasmo e curiosità; che riempì la vita di medicina, arte, libri, viaggi, società, politica e più sesso possibile (malgrado tutto ciò che non ci è dato sapere)”.
Una vita che merita di essere letta e riletta. Ma soprattutto vissuta, non siete d’accordo?
Saul Stucchi
Didascalia:
John Singer Sargent
Dr Pozzi at home, 1881
The Armand Hammer Collection, Gift of the Armand Hammer Foundation
Hammer Museum, Los Angeles
Il libro:
Julian Barnes
L’uomo con la vestaglia rossa
Traduzione di Daniela Fargione
Einaudi
Collana Supercoralli
2020, pagine 296
22 €