Il mondo che stava preparando quello odierno: potrebbe essere uno dei modi per leggere in controluce Underground. Ovvero un eroe del nostro tempo, il romanzo di Vladimir Makanin non conosciutissimo scrittore russo che ora Guanda riporta in libreria con la traduzione di Sergio Rapetti.
Il libro racconta gli anni successivi alla fine del comunismo sovietico nei quali un capitalismo banditesco s’impossessa del Paese. A esso resistono gli ultimi dropout, marginali che nessun mondo oppressivo può governare.
Perché Makanin (1937-2017), autore di una decina di romanzi, aveva conosciuto anche quelli di Stalin e i successivi, fino a Gorbaciov, per finire nell’adrenalinica corsa all’arricchimento che fa impazzire la Russia di fine secolo e la porta nelle mani di Putin. In controluce si diceva, perché in primo piano abbiamo le vicende di Petrovič, un bomi, ossia un uomo senza casa che nulla ha da spartire con la criminale marea di faccendieri e boss di varia risma che infestano Mosca.
Petrovič è un non-scrittore, non nel senso (musicale) che fu di Brian Eno, ma perché rinuncia all’idea di scrivere: l’essere underground in lui è condizione così assoluta, altra rispetto al nuovo (dis)ordine russo in apparenza democratico, da persuaderlo alla rinuncia, scioperare persino al cospetto del talento, limitandosi a fare da guardia nelle case pur nella conservazione interiore di una premessa mai eludibile per un narratore: ascoltare le storie altrui, per esempio, penetrandone i più reconditi, indicibili segreti, uomini e donne.

Ascolta meravigliosamente Petrovič, lo cercano per questo, perché in fondo lui è uno scrittore, li capisce – conosce segreti inconfessabili delle coppie, uomini e donne legati fra loro che separatamente si servono di lui per “sfogare la chiacchiera” salvo trattarlo da “fallito e mangiapane a ufo” quando non ne hanno più bisogno.
La sua opposizione al potere si manifesta dunque con una sorta di obiezione di coscienza al delirio feroce di una società che sta virando verso il clima di quella odierna. La sua pigrizia, il suo oblomovismo è per cosi dire critico, fattispecie differente rispetto all’incarnazione stereotipa della passività dell’uomo russo aduso ad accettare le nequizie del potere come un destino inscalfibile.
Detto ciò, queste sono soltanto osservazioni a margine per intendere il contesto – laddove il testo è assai vivo, divertente anche nel dramma. Ché poi, pur dicendolo con ironia, il nostro a volte si stanca dei cortei di disperati che gli vanno “a rovesciare il proprio ciarpame esistenziale”. Se in Occidente avrebbero fatto la fortuna degli psichiatri, nella Russia postcomunista devono al momento accontentarsi di tipi com lui.
Petrovič gli è necessario, e lo è “proprio e precisamente in qualità di fallito”. Perché intimamente lo disprezzano, in un paese che aveva eletto Stachanov a eroe, questo bizzarro benché gentile bevitore di vodka si limita a fare la guardia alle case altrui, si arrangia con poco e pare trattare con leggerezza le miserie e gli affanni altrui, professionali o coniugali che siano. Non per mancanza di empatia, anzi, se può aiuta tutti, specie quelli malmessi come lui, ma ciò che agli altri appare tragedia per lui si risolve in filosofica commedia. Non gli interessa il denaro, non gli cale il successo, non gli piace la sua nuova Russia insomma. Ma capire, entrare in quella che era l’anima russa non smette di farlo.
Cammina per i corridoi e sente “attraverso le porte l’odore robusto che si spande, che stilla dai fragranti metri questi quadri abitativi”. Sogni e suggestioni, per esempio, che provengono dalle stanze delle donne – supponendone i segreti, come a possederle.
Secondo inimitabile tradizione della grande letteratura russa, lo scandaglio delle altrui esistenze è maniacalmente esatto, agguerrito, instancabile – tale la scrittura, che in 600 pagine mostra un’assoluta tenuta, capace di verificare nell’osservazione costante di intravedere “il volto sfaccettato dal mondo”.
Uno scioperato in minore, lo diremmo, tutt’altro che fragoroso, generoso nell’aiutare chi può. Questa Russia che noi occidentali crediamo liberata dal giogo del comunismo appare come un Paese che nel disarmo trova la ricchezza spietata di pochi e l’errare senza ragione o scopo dei molti – chi più chi meno stremanti, gli occhi vuoti, sbandati in una terra di nessuno.
Barlumi di gioia e piacere si danno nelle frequentazioni di Petrovič nel modo balzano, sregolato cui ci ha abituato la migliore letteratura russa, come nel triangolo fra il protagonista, un’infermiera, e il di lei marito, camionista intontito di fatica, incerto se rassegnarsi a vederla lasciare nel proprio letto assieme all’altro oppure massacrarlo.
Dal sottosuolo russo dei samizdat, come nota nella breve introduzione Emmanuel Carrère, si spandeva l’odore dei fiori letterari migliori.
Michele Lupo
Vladimir Makanin
Underground
Ovvero un eroe del nostro tempo
Traduzione di Sergio Rapetti
Prefazione di Emmanuel Carrère
Guanda
2025, 640 pagine
24 €