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Voi siete qui: Biblioteca » Da Einaudi “Tra animali e piante” di Andrej Platonov

5 Giugno 2025

Da Einaudi “Tra animali e piante” di Andrej Platonov

Tra animali e piante è il titolo della raccolta di racconti scritti negli anni Trenta da quel superbo scrittore che si chiamava Andrej Platonov, ancora non sufficientemente noto come altri della compagine che ha fatto grande la letteratura russa fra il secondo Ottocento e il primo Novecento.

La scelta editoriale (collana Letture di Einaudi) limita i pochi testi selezionati a un periodo preciso dell’attività platonoviana, contrassegnato – in apparenza – da un tono e una cifra stilistica più controllati rispetto a opere quali i romanzi Lo sterro o Cevengur (quest’ultimo nella stessa collana).

Per meglio intendere l’assunto si potrebbe forse cominciare dalla fine, dal racconto posto non casualmente in appendice, A buon pro, che licenzia la prima fase dell’opera dello scrittore, in cui la critica all’assetto staliniano del paese è esibita attraverso uno spirito sferzante, tanto sottile quanto spietato.

Nella storia, man mano che dal centro urbano il narratore (ingenuo non sai se più per posa che per reale condizione psicologica, sebbene l’autore ci tenga a farci credere che l’opzione giusta sia la seconda) si sposta verso le semidesertiche periferie dell’Unione Sovietica, cresce l’imbarazzo di trovarsi di fronte popolazioni di contadini adusi a millenarie fatiche, modalità del vivere ancestrali, sottoposte ora a una programmazione ideologica che pretende di mutarne nel profondo l’esistenza.

“Questo pellegrino nella terra dei kolchoz” scopre il teatro grottesco agito dai furori eroici di chi mette tutto l’impegno possibile per aderire all’ipostasi farneticante dell’uomo nuovo, positivo, volenteroso, ottimista e, dall’altro lato, la resistenza dei discendenti di un “popolo errante che non credeva di avere un futuro in quel territorio”.

L’assurdo della violenza – anche antropologica – del cambiamento forzato è detto dall’atteggiato candore del contadino-protagonista che dice a sé stesso, per convincersene: “l’autentico proletario deve avere nella sua composizione acido solforico per incendiare tutta la carogna capitalista che occupa la terra”.

Ora, si dà il caso che Platonov stesso – uno scrittore che definirei malincomico – non si considerasse un anticomunista ma dopo i primi entusiasmi ebbe facilmente modo di vederne all’opera le storture, la violenza, l’assurdità della prassi. Negli atteggiamenti pubblici ma soprattutto nell’opera – com’è necessario – lo scrittore si muove dunque in un territorio mentale ambiguo (disposizione che di base rafforza una scrittura); si dà anche il caso che Stalin fosse un criminale, ma non uno sprovveduto.

Koba il terribile (abbiamo già dimenticato Martin Amis?) intese benissimo il gioco dello scrittore e andò su tutte le furie. Lo appellò come “buffone, spirito di patata”, definì la sua come “una lingua astrusa” e non risparmiò momenti di terrore alla redazione della rivista che lo aveva pubblicato. Platonov pagò con l’ostracismo e la censura (una costante dell’epoca) – a conoscere le prigioni siberiane fu il figlio quindicenne.

Nei racconti qui presenti, cercò di essere meno duro e diretto, accentuando in compenso certo tono apparentemente svagato, al limite di un frizzante elegiaco, che estraneo non gli era mai stato. La natura nei suoi aspetti estremi, gli animali, i sentimenti primari, ingenui o brutali dei vecchi contadini, galleggiano in un paesaggio russo arcaico smosso, e confuso, dalle spinte che arrivano dalla rivoluzione.

Ciò non vuole dire che Platonov si pieghi ai diktat di una lingua piana e banalmente illustrativa: lo scarto che destruttura la dizione, ossia la visione, è sempre in agguato. La frase pare scritta per esser letta in filigrana; e rovesciata di senso.

Ora, l’impresa di sopravvivere al totalitarismo non era solo affare di uno scrittore. Se prendiamo il racconto eponimo, Tra animali e piante (ottima traduzione e cura complessiva del volume a opera di Ornella Discacciati), Platonov mostra come la fabbricazione di una forma mentis tesa a produrre, ottenere riconoscimenti, successo, riempirsene se non le tasche l’ego e l’approvazione dei famigliari e dei vicini, non è una stortura del capitalismo più di quanto non lo sia stata del socialismo reale.

Il povero Ivan Alexeevič, cacciatore per svago poco convinto, impiegato nelle ferrovie sovietiche, vorrebbe lasciare il modesto villaggio in cui vive, avvicinarsi a quello che immagina – come dargli torto – un mondo più vivace (un cinema, dei libri da leggere, un’estetica urbana) e un lavoro più soddisfacente.

La famiglia tutta, per prime le donne che lo circondano, madre e moglie, tendono a farlo sentire un povero inetto (topos della grande letteratura russa), e il padre lo invita a fare qualche sciocchezza, pur rischiosa, per guadagnarsi la fama (all’epoca da quelle parti assai ambita) di eroe del cambiamento.

Una vita che avrebbe potuto essere più semplice viene triturata così da pensieri inquieti messi in moto proprio dalla grottesca, dispotica mitologia del lavoro, dell’efficienza che lascia per strada chi non ce la fa, chi si permette di dubitare della missione.

Ottenuto finalmente un piccolo avanzamento di carriera, gli occorrerà un incidente il cui esito malincomico lasciamo scoprire al lettore. Che se non conosce l’opera di Platonov potrebbe provvedere iniziando proprio da questi racconti.

Michele Lupo

Andrej Platonov
Tra animali e piante
A cura di Ornella Discacciati
Einaudi
Collana Letture
2025, pagine XXXVIII – 458
23 €

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