“Dev’essere una storia un po’ triste”, ha detto al compagno una signora accomodandosi nella poltroncina della fila alle mie spalle, al Teatro Fontana di Milano, ieri sera. Purtroppo le previsioni meteo avevano imposto lo spostamento dello spettacolo dai chiostri alla sala. Beh, “triste” è un aggettivo un poco debole per definire questo capitolo de “I promessi sposi” di cui Stefano Braschi e Nicolò Valandro hanno tratto una intensa riduzione drammaturgica.
“La storia della colonna infame” sarà in scena anche questa sera, sempre alle 20.30. Se siete a Milano, non perdetevelo, anche se non state rileggendo il capolavoro di Manzoni come sto facendo io. Dall’inizio dell’estate, infatti, leggo dieci pagine al giorno dell’edizione finale del romanzo, quella del 1840, pubblicata da Mondadori nella collana “I Meridiani”. È d’uopo un’avvertenza per chi voglia seguire il mio esempio: occorre una vista d’aquila perché i caratteri sono molto piccoli per rispettare l’impaginazione originale, comprensiva delle belle illustrazioni di Francesco Gonin.
Scrive Salvatore Silvano Nigro nel capitolo “Uno, due, tre romanzi” del suo libro “Una spia tra le righe” pubblicato recentemente da Sellerio: “Due novità contraddistinguono l’edizione riveduta e definitiva: il romanzo fa ora corpo unico con l’inedita Storia della Colonna Infame (la parola «Fine» è posta dall’autore dopo l’aggiunta inedita, così resa inseparabile dal resto: come ultimo capitolo del romanzo), ed è illustrato da Gonin e da un’équipe di incisori che si attengono scrupolosamente alla “sceneggiatura” predisposta dallo stesso Manzoni”.
Dai forni alla colonna
Nelle dieci pagine de “I promessi sposi” che ho letto ieri (da 231 a 240) viene raccontato l’arrivo di Renzo a Milano. Il giovane trova la città sconvolta dai tumulti di San Martino.
A ben vedere diversi sono i punti di contatto tra l’episodio dell’assalto ai forni e la storia della colonna infame. In entrambi i casi si tratta di un’emergenza gestita in malo modo dalle autorità preposte, con risultati tragici. Anche le masse non brillano per virtù, per usare un eufemismo (insieme a Tacito, Manzoni è il maestro delle descrizioni dei comportamenti ondivaghi delle folle).
Quello che stiamo vivendo da più di un anno e mezzo – mutatis mutandis, ma nemmeno troppo – dimostra che non abbiamo fatto tesoro delle lezioni della storia. Ci barcameniamo tra caccia agli untori e comportamenti irresponsabili, invochiamo pene severissime per gli altri (disposti anche a chiudere un occhio su sistemi prossimi alla tortura) riservando ampie deroghe per noi stessi.
No: non è una storia “triste”. Quella della colonna infame è una vicenda tragica e il racconto che ne fa Manzoni svela i meccanismi non soltanto di un modus operandi (di ieri come di oggi), ma anche di un modus cogitandi, un modo di pensare che non arretra di fronte a nulla, tanto meno davanti alla mancanza di prove. La realtà viene invece distorta e piegata, quanto distorti e piegati (e piagati) sono i corpi dei poveri imputati.
Un giudizio memorabile
Ma torniamo nella sala del Teatro Fontana. Sul sipario di legno viene proiettato un video che mostra i bacilli Yersinia pestis, i batteri agenti eziologici della “peste” (la trasmissione all’uomo avviene attraverso le pulci). Braschi dà subito la parola al Manzoni, partendo dall’incipit dell’introduzione alla “Storia della colonna infame”:
Ai giudici che, in Milano, nel 1630, condannarono a supplizi atrocissimi alcuni accusati d’aver propagata la peste con certi ritrovati sciocchi non men che orribili, parve d’aver fatto una cosa talmente degna di memoria, che, nella sentenza medesima, dopo aver decretata, in aggiunta de’ supplizi, la demolizion della casa d’uno di quegli sventurati, decretaron di più, che in quello spazio s’innalzasse una colonna, la quale dovesse chiamarsi infame, con un’iscrizione che tramandasse ai posteri la notizia dell’attentato e della pena. E in ciò non s’ingannarono: quel giudizio fu veramente memorabile”.
Poi accompagna il pubblico nella rievocazione delle indagini e del processo istruito contro gli accusati di propagare la peste, ungendo i muri della città. La sua lettura scenica è molto sobria, in sintonia con il testo del Manzoni. La drammaticità sta nella vicenda, nella sua assurdità. Solo nei passaggi più intensi Braschi accentua un poco il tono, ma per sottolineare, non per esasperare.
A Nicolò Valandro sono riservati un paio di inserti didascalici che servono per fornire informazioni di carattere storico e scientifico agli spettatori e per dare loro – in qualche modo – un po’ di respiro. L’atmosfera del testo è infatti soffocante, tipica di un processo alle streghe (e il riferimento è tutt’altro che casuale).
Infelici e sventurati
Mentre scorrono scene del cartone animato “Tom & Jerry” in cui il gatto ne subisce di ogni genere, veniamo informati sulle procedure più diffuse di tortura nel corso dei secoli. Sentiamo parlare dello stigma diaboli (il marchio del diavolo) che i torturatori cercavano con tanta sollecitudine sul corpo delle loro vittime. Ci viene ricordato che il 10 dicembre 1984 l’Assemblea generale dell’ONU adottò la Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti (CAT).
Infelici e sventurati Guglielmo Piazza e Gian Giacomo Mora (avete notato che sono gli stessi aggettivi con cui il Manzoni descrive la Monaca di Monza?), capri espiatori di una pestilenza di cui si ignorava tanto la causa quanto i modi di trasmissione e soprattutto la cura.
Uscendo dal teatro ho ripensato alla copertina della “Storia della Colonna Infame” pubblicata da Sellerio nella collana “La memoria”, con una nota di Leonardo Sciascia. Vi campeggia un dettaglio del “Cristo alla colonna” di Diego Velázquez, conservato alla National Gallery di Londra. Non soltanto perché fa pensare a tutti i tormenti patiti dagli imputati, ma anche perché allude all’Innocente per antonomasia. E dà i brividi pensare che gli inquisitori ricorressero alla tortura in Suo nome.
Saul Stucchi
La foto di Stefano Braschi è di Sonia Santagostino
Storia della Colonna infame
di Alessandro ManzoniLettura scenica di Stefano Braschi
Riduzione drammaturgica di Stefano Braschi e Nicolò Valandro
Informazioni sullo spettacolo
Dove
Teatro FontanaVia Antonio Boltraffio 21, Milano
Quando
Dal 13 al 15 luglio 2021La recita del 13 è stata annullata per il maltempo
Orari e prezzi
Orari: ore 20.30Durata: 55 minuti senza intervallo
Biglietti: Biglietti: intero 21 €; ridotti 17/15/10 €
Prevendita e prenotazione: 1 €