Nel piccolo viaggio che stiamo facendo nel mondo affascinante delle neuroscienze – in particolare marcando da presso la fatidica domanda “che cos’è la coscienza”- , ci imbattiamo questa volta in quella che sembra la teoria da molti ritenuta più adeguata a rispondervi: la IIT, Teoria dell’Informazione Integrata.
Il suo artefice è il neurofisiologo Giulio Tononi ma il libro in esame è “Sentirsi vivi”, firmato da Christof Koch e tradotto da Angelica Kaufmann per Raffaello Cortina Editore. Koch è un caso non comunissimo di scienziato che assume totalmente il punto di vista di un collega, il cuore stesso del suo approccio teorico – Giorgio Vallortigara, per esempio, di cui abbiamo scritto recentemente, non ne è per nulla persuaso.

Ma sostenendo che le dimensioni del cervello non hanno alcun rapporto con la coscienza, Vallortigara potrebbe essere d’accordo con Koch per il quale nemmeno il numero dei neuroni appare significativo – il cervelletto, per esempio ne contiene l’80% circa, ma non ha nulla da fare con la coscienza. Che secondo la IIT va concepita piuttosto come una superba organizzazione dei neuroni, un reticolo che contiene una quantità di informazione integrata sintetizzata nella lettera greca Φ.
“La coscienza è esperienza – scrive Koch – la realtà vissuta. È sentirsi vivi. È la sola porzione di eternità che mi spetta. Senza esperienza sarei uno zombie, non riconoscerei me stesso.” Koch rivendica per il suo punto di vista un certo grado di romanticismo: non è analizzando la materia delle cellule che si raggiunge e definisce un’ipotetica sede della coscienza.
Essa “viene prima della fisica”; è il risultato piuttosto di un lavoro in sinergia di diversi sistemi, correlazioni neurali che integrandosi fra loro possono determinare un’esperienza – negata ai computer più sofisticati, perché il loro regno si limita al fare, non all’essere: sistemi che non possono “sentire”. “Non vi sarà un’Anima 2.0 a piede libero nel Cloud” (come invece tendono a credere nella Silicon Valley).
Sapore, dolore, desiderio, sono tutti “stati soggettivi” scrive Koch, legati all’esperienza. Ogni esperienza si compone di proprietà imprescindibili: esiste di per sé, è strutturata, informativa (“una composizione di differenze fenomeniche specifiche”) e appunto, integrata (“irriducibile alle sue componenti indipendenti”), dunque unitaria, olistica. E non di certo riservata agli umani; racconta Koch quanto sia stato importante l’incontro con il Dalai Lama; sottolinea la differenza fra il buddismo e le tradizioni occidentali in materia.
Come avviene ormai sempre più spesso, sembra inevitabile nelle neuroscienze allargare il discorso alle altre specie. A livello genomico o sinaptico esistono differenze quantitative ma non qualitative “tra il cervello dei topi, cani, scimmie e persone”.
La discussione resta aperta e noi possiamo darne solo qualche traccia orientativa: “Le api hanno capacità decisionali collettive che, nella loro efficienza, fanno vergognare qualsiasi consiglio di facoltà accademico”, scrive ancora Koch. “Ma le api pare non riescano a risolvere i problemi di inferenza transitiva”, direbbe Vallortigara, “non perché siano limitate le loro capacità di ragionamento, ma per il modo in cui è organizzata la loro memoria”.
La discussione è aperta ma è bene che il lettore non la confonda con un affaire fra specialisti: man mano che ne sapremo di più, probabilmente cambierà il nostro rapporto col resto del vivente.
Michele Lupo
Christof Koch
Sentirsi vivi. La natura soggettiva della coscienza
Raffaello Cortina Editore
Collana Scienza e idee 328
2021, 326 pagine
25 €