Quando Billy Wilder (insieme con il suo fido sceneggiatore I.A.L. Diamond) propose la storia di “A qualcuno piace caldo” al produttore suo amico David O. Selznick, quest’ultimo non era per nulla convinto. Si trattava di una storia che prendeva l’avvio da un massacro e la caratteristica del racconto era il singolare modo di trattare argomenti e situazioni sostanzialmente drammatiche e pesanti con toni leggeri ed ilari.
Un colpo al moralismo
A tutto questo va aggiunto che nel 1958 (la pellicola fu girata dal 4 agosto al 6 novembre) si era sotto il famigerato codice Hays. Il “Production Code” (comunemente citato con il nome del suo creatore, Will H. Hays, appunto), in vigore dal 1934 al 1967, imponeva una serie di norme di carattere morale riguardo la produzione del cinema negli USA. La performance en travesti di Tony Curtis e Jack Lemmon, gli abiti mozzafiato cuciti su misura per Marilyn e l’orchestrina formata da giovani suonatrici avvenenti, rappresentavano pesanti colpi inferti al moralismo del codice.
Il film rappresenta il miglior esempio di quella che è stata definita “sophisticated comedy”, ovvero un tipo di cinema brillante, divertente, garbato e piacevole.
Partendo da un soggetto interessante, con una solida sceneggiatura (era talmente precisa che gli attori non avevano spazi per improvvisare), la qualità migliore di “A qualcuno piace caldo” (ma anche di quasi tutti i film di Billy Wilder) risiede, però, nel ritmo. Non è la lunghezza o la brevità che fanno da misura, ma è solo una questione di tempi (e se questa lezione la imparassero anche molti cineasti contemporanei…). Ne scaturisce così un meccanismo perfetto che non presenta mai momenti di noia o ripetitivi.
Billy Wilder e Marilyn Monroe
Il film fu girato interamente in bianco e nero. Billy Wilder rinunciò all’idea di realizzarlo a colori (anche se l’avrebbe preferito), perché, all’epoca, la tecnica non era ancora stata messa a punto come lui desiderava.
[codice-adsense-float]Di Wilder basti dire che, nato nel 1906 in Austria, lasciò l’Europa all’ascesa di Hitler. In circa cinquant’anni di carriera ha diretto oltre venticinque pellicole e scritto settantacinque sceneggiature. Ritiratosi dalle scene, è morto nel 2002 per una polmonite, tre mesi prima del suo novantaseiesimo compleanno.
Si è cimentato in diversi generi (noir, drammatici, commedie e film di guerra). Nominato per il premio Oscar 21 volte in diverse categorie, ottiene il riconoscimento in sei occasioni, tra le quali per il film “L’appartamento” nel 1960. È stato omaggiato su un francobollo degli Stati Uniti nel maggio 2012.
Qualcosa riguardo a Marilyn Monroe. Sulla sua vita e sui problemi che l’hanno accompagnata è stato scritto di tutto e di più. Da un punto di vista meramente artistico, prima ancora di diventare un’icona, la prova che offre in “A qualcuno piace caldo” rappresenta probabilmente il suo punto più alto. Un sapiente mix di erotismo e ingenuità che non ha mai più realizzato.
Davvero, quando in una qualsiasi scena del film fa la sua apparizione, è come se una “nuova” luce si aggiunga a quelle del set. Dice Wilder:
Era così incantevole. Era difficile lavorare con lei ma, in un modo o nell’altro, quello che ne usciva fuori sullo schermo era stupefacente, emetteva radiosità.
Lo stesso regista aggiunge che era l’attrice più misteriosa da lui diretta, capace di un lunghissimo piano sequenza in un solo ciak (quello in cui sulla spiaggia conosce Curtis finto miliardario) e di incartarsi 53 volte, quando doveva aprire un cassetto e dire una sola battuta (“Where’s the bourbon?”). Nel 1962 la Monroe e Lemmon furono scritturati per “Irma la dolce”, ma l’attrice morì prima dell’inizio delle riprese e la sua parte andò a Shirley MacLaine.
Note e curiosità
Innumeri sono gli aneddoti che hanno accompagnato la pellicola durante la fase della lavorazione (e anche prima). Ad esempio, per il ruolo di Daphne, che poi è andato a Jack Lemmon, il regista avrebbe voluto Frank Sinatra, ma erano stati considerati anche Danny Kaye, Anthony Perkins e Jerry Lewis. Quest’ultimo rifiutò perché non gli andava di travestirsi da donna. Quando, però, Jack Lemmon ebbe una nomination all’Oscar per il ruolo che Lewis aveva rifiutato, Lemmon prese l’abitudine di mandargli una scatola di cioccolatini ogni anno, per ringraziarlo di non aver accettato la parte.
Per tornare al Codice Hays, quando il film uscì nelle sale, lo stato del Kansas si rifiutò di proiettarlo, sostenendo che il travestitismo era “troppo disturbante per il Kansas”.
Chiudo con un omaggio nostrano: forse non tutti sanno che Roberto Benigni chiamò “Johnny Stecchino” il suo film, in omaggio a un gangster che si vede in apertura.
PS: c’è un motivo in più, se ho scelto questo film. Senza dilungarmi, dirò solo che riguarda il gruppo con il quale “faccio teatro”. Spero che quelli di loro che avranno occasione di leggermi, possano esserne contenti e “sorriderne”.
L S D *
* Quando Marilyn ebbe la fortuna di conoscermi, pronunciò una delle sue battute più celebri: “Soltanto i più forti fanno i conti con la solitudine. Gli altri la riempiono con chiunque”.
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