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Voi siete qui: Teatro & Cinema » Alla Futa “Il processo” di ArchivioZeta: siamo tutti imputati

15 Agosto 2025

Alla Futa “Il processo” di ArchivioZeta: siamo tutti imputati

“Non era facile scendere dalla Montagna incantata di Thomas Mann”, ha riconosciuto Gianluca Guidotti l’altra sera alla fine della applauditissima recita de Il processo. Primo dibattimento, tratto dal romanzo di Franz Kafka, in scena fino a domenica 17 agosto al Cimitero Futa Pass. Se non avete prenotato per tempo, lasciate ogne speranza: le ultime repliche sono sold out ormai da giorni.

È questo il primo segnale che il cambio di scenario è avvenuto con successo. Personalmente credo che, per certi aspetti, noi che abbiamo molto amato la versione di Zauberberg presentataci da ArchivioZeta in tre puntate successive tra il 2022 e il 2024 e poi in un’unica maratona al Teatro Arena del Sole di Bologna a marzo di quest’anno non scenderemo “mai” dalla Montagna incantata (o Magica che dir si voglia): continueremo ad abitarla, come ospiti di passaggio che diventano fissi. Senza peraltro abbandonare la speranza di rivederla a teatro, in qualche sala in giro per l’Italia.

Così come non è più possibile leggere o rileggere il romanzo di Mann senza pensare ai suoi personaggi nell’interpretazione degli attori della compagnia bolognese, lo stesso avviene – vi avviso – per Il processo di Kafka. Lo spettacolo alla Futa rappresenta dunque un crinale tra un prima e un dopo.

Io, per esempio, ho letto poco più di metà del romanzo prima di salire in Appennino. Mi ero fatto delle idee su Josef K. e sugli altri personaggi con cui il protagonista viene in contatto, a cominciare dall’estraneo che una mattina – nel giorno del suo trentesimo compleanno – bussa alla sua porta per dichiararlo in arresto. E pensavo a come sarebbero state assegnate le parti. Qualcosa ho indovinato (Diana Dardi nei panni della signorina Bürstner!), altro mi ha invece colto di sorpresa.

Devo purtroppo rivelare che il personaggio di K. (pronunciato Ka alla tedesca, lo spiegherà alla fine lo stesso Guidotti) è interpretato a rotazione da Pouria Jashn Tirgan, Giuseppe Losacco, Mattia Bartoletti Stella (che subentra brillantemente a Giacomo Tamburini, l’Hans Castorp della Montagna incantata) e Andrea Maffetti.

Lo spoiler è necessario per segnalare uno dei pilastri su cui poggia questo allestimento: Josef K. è ciascuno di noi, perché siamo tutti imputati e da un momento all’altro possiamo ricevere una sgradita visita che cambierà per sempre il corso della nostra vita. E uno dei tanti paradossi di cui è intessuto Der Prozess – sembra anzi che ogni pagina sia un paradosso – è che “il tribunale non vuole nulla da te”. Figurarsi se volesse qualcosa!

Ad accogliere gli spettatori c’è Enrica Sangiovanni come dea della giustizia bendata, mentre è vestito come un boia medievale Gianluca Guidotti che fornisce una preziosa cornice temporale e psicologica al dramma sul punto di iniziare. Lo fa citando un appunto che Kafka segna sul suo diario alla data del 2 agosto 1914: «oggi la Germania ha dichiarato guerra alla Russia. Nel pomeriggio scuola di nuoto». Lo scrittore aveva appena iniziato Il processo e si congedava da uniformi e bandiere.

Significativamente quello delle uniformi è uno dei motivi che potremmo definire secondari (ma fino a un certo punto) del Processo. Josef chiede infatti d’identificarsi alle persone che vengono ad arrestarlo. Chi non ignori quanto sta avvenendo dall’altra parte dell’oceano con forze mascherate e in abiti civili che arrestano e portano via su furgoni senza scritte persone accusate di essere immigrati irregolari ha ben chiara la situazione e può farsi un’idea dell’angoscia che prende il malcapitato.

Tante sono le parole chiave attorno a cui ruota Il processo che – lo ricordiamo – è un romanzo non finito, anche se provvisto di un capitolo intitolato “Fine”. Ne indico solo qualcuna, tra le più evidenti: giustizia, legge, tribunale, corruzione (e in che rapporti stia questa con le prime tre si gioca gran parte della riflessione dell’autore e, credo, anche del lettore), senso e sua ricerca, colpa e responsabilità…

Queste parole – temi sono state studiate da Guidotti e Sangiovanni nel profondo e, immagino, assai articolato lavoro di scandaglio del testo e di “riscrittura” drammaturgica, la cui restituzione al pubblico della Futa avviene giusto a cent’anni dalla pubblicazione del romanzo. Che avvenne postuma – Kafka era morto nel giugno dell’anno prima – grazie all’amico Max Brod che non rispettò le volontà dell’autore che aveva chiesto di distruggere tutto quanto aveva scritto.

Una parentesi: il giorno dopo aver assistito alla recita al Cimitero Militare Germanico sono stato al Labirinto della Masone di Fontanellato per visitare la mostra di Luigi Serafini. Tra i libri pubblicati da Franco Maria Ricci c’è un volume, curato da Borges, che raccoglie alcuni racconti di Kafka. Nell’introduzione lo scrittore argentino è piuttosto tranchant: Kafka, al pari di Virgilio, non voleva affatto la distruzione della sua opera, sostenendo – con cognizione di causa, viene da notare – che l’autore che davvero la voglia non affida certamente il compito a un altro, tantomeno a un amico.

Consiglio di leggere per intero la breve introduzione, anticipandovi che magari non concorderete con tutti i giudizi espressi da Borges. Una sua considerazione però la voglio citare qui: «La più indiscutibile virtù di Kafka è l’invenzione di situazioni insostenibili».

Che quella raccontata nel Processo sia insostenibile lo si capisce fin dalle prime battute e il proseguire della vicenda non fa altro che renderla più surreale e – non vedevo l’ora di dirlo, perdonatemi! – kafkiana.

Guidotti e Sangiovanni fanno dei luoghi del Cimitero le tappe di un labirinto (altro termine fondamentale nel vocabolario dell’autore praghese) i cui corridoi si stringono progressivamente, facendo sentire al protagonista e a noi spettatori – coimputati il venir meno dell’aria. Josef K. sembra abitare una casa dei morti sin dall’inizio e noi lo seguiamo nel suo peregrinare in posti e situazioni sempre più assurdi, mentre il linguaggio, invece di creare ponti e facilitare la comunicazione, produce incomprensioni. Sfalsa i piani tra i personaggi e K., in quello che sembra sempre un dialogo tra sordi.

Come sempre sono geniali nella loro apparente semplicità le trovate sceniche che punteggiano lo spettacolo, come le scatole “magiche” che fanno da tamburi e macchine da scrivere. Grande rilievo hanno le Mani della Giustizia, che indicano e accusano, e insieme rimandano al mondo ebraico da cui proviene Kafka (ricordano infatti il puntatore Yad con cui si legge la Torah, per evitare che il dito tocchi il testo sacro).

E come sempre i movimenti sono coreografati nel minimo dettaglio (memorabile lo sketch delle fotografie della signorina Bürstner che prendono vita come nei cartoni animati) ed eseguiti con un ritmo che non mostra mai un momento di stanca.

Ci sarebbe ancora tanto da dire – e su cui riflettere, anche in vista del secondo dibattimento dell’anno prossimo, per esempio il particolare delle strette di mano chieste e solo raramente ottenute da K. – ma qui rimane spazio solo per segnalare un paio di cose.

La grande K gialla cucita sulla giacca nera di Josef è – mi pare – un simbolo che richiama la stella di David con cui gli ebrei avrebbero dovuto identificarsi di lì a qualche anno dalla morte di Kafka, ma anche la lettera scarlatta e il segno di Caino (il significato dell’adesivo consegnato alla biglietteria lo spiegherà Guidotti al termine della recita).

Il senso di claustrofobia che già si avverte nella corte del Cimitero si amplifica nella sala interna, soprattutto quando viene chiuso il cancello e gli spettatori si sentono davvero imprigionati mentre assistono alla bella perorazione di K. (“Io non cerco il successo oratorio”, ricorda la celebre orazione di Marco Antonio al funerale di Cesare nel dramma shakespeariano).

In quella sala, con le vetrate che danno sull’Appennino su cui a quell’ora tramonta il sole, ho notato per la prima volta la citazione in tedesco del versetto 5,4 del Vangelo di Matteo: «Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati».

Trovandomi con la schiena a sfiorare le lapidi su cui sono trascritti i nomi dei caduti – oltre trentamila – mi sono accorto che almeno cinque Josef K. riposano al Cimitero della Futa…

Saul Stucchi
Foto di Franco Guardascione

Il processo
Primo dibattimento

da Franz Kafka
drammaturgia e regia Gianluca Guidotti ed Enrica Sangiovanni
con Mattia Bartoletti Stella, Diana Dardi, Gianluca Guidotti, Pouria Jashn Tirgan, Giuseppe Losacco, Andrea Maffetti, Enrica Sangiovanni
consulenza musicale Patrizio Barontini
scenografia, costumi, oggetti Gianluca Guidotti ed Enrica Sangiovanni

Informazioni sullo spettacolo

Dove

Cimitero Futa Pass
Via San Jacopo a Castro 59/A, Passo Futa, Firenzuola (FI)

Quando

Dal 1° al 17 agosto 2025

Orari e prezzi

Orari: ore 18.00

Biglietti: intero 25 €; ridotto 15 €

Maggiori informazioni

Sito web ufficiale:

www.archiviozeta.eu

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