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Voi siete qui: Teatro & Cinema » “Nosferatu, il principe della notte” di Werner Herzog

4 Ottobre 2025

“Nosferatu, il principe della notte” di Werner Herzog

Pensavo di tornare su un film dell’orrore ma, allo stesso tempo, era mia intenzione parlare di Werner Herzog. Ho unito le due cose: Nosferatu, il principe della notte (1979). Dal momento che, nelle mie ultime recensioni, ho lasciato poco spazio al regista, rimedio con il maestro tedesco.

Werner appartiene a quel gruppo di cineasti che portano un vento nuovo nella Germania degli anni Sessanta e Settanta. Di molti di loro ho già parlato (Rainer Werner Fassbinder, Wim Wenders, Volker Schöndorff). In particolare, trattando de Il tamburo di latta ho raccontato del “Neuer Deutsche Film”, citando Herzog come uno dei più rappresentativi.

Tuttavia, parlare di Herzog è una prova impegnativa, perché il cineasta tedesco è difficile da etichettare e bulimico nella sua produzione. Come se non bastasse, il suo lavoro nel cinema procede in accordo con la sua vita reale, per cui diverse sue pellicole “esagerate” rappresentano una sfida personale che Werner pone alla natura o alle difficoltà di qualsiasi tipo.

Il regista

Werner Herzog (nome d’arte di Werner Stipetić) nasce a Monaco di Baviera nel 1942 e, oltre che regista, è anche sceneggiatore, produttore e attore.

Comincia molto giovane (14 anni) a interessarsi di cinema e nel 1962 realizza il suo primo cortometraggio (Ercole). L’anno successivo fonda una sua casa di produzione, molto modesta, e si dedica alla sceneggiatura. Con il contributo del German Film Institute, realizza il suo primo lungometraggio (Segni di vita, 1967). A partire da questo periodo comincia la sua attività di regista.

“Sentivo che era meglio girare un film che frequentare una scuola di cinema.”

La sua ricca opera cinematografica (più di cinquanta pellicole) potrebbe essere divisa tra film e documentari. Ma questa divisione è già fuorviante, perché nella fiction cerca di raggiungere una concretezza da vita vissuta, mentre nei documentari introduce alcuni elementi che li facciano sembrare irreali.

“Il Cinema Verité confonde i fatti con la verità, quindi ara solo pietre. Eppure i fatti hanno uno strano e bizzarro potere che fa sembrare incredibile la loro verità intrinseca.” E ancora: “Al cinema ci sono livelli più profondi di verità e c’è una sorta di verità poetica, estatica. È misteriosa e sfuggente e può essere raggiunta solo attraverso l’invenzione e l’immaginazione e la stilizzazione” (dal Minnesota Declaration di Werner Herzog).

Mi piacerebbe riuscire a comunicare a chi mi legge la complessità del lavoro (e della vita) di Herzog. Alcuni dei suoi film sono stati girati in condizioni estreme, a volte anche a rischio della vita.

Ricorderò, solo a titolo di esemplificazione, Aguirre, furore di Dio (1972), girato in Perù, tra grosse avversità ambientali, in cui si cerca di riprodurre la storia dello spagnolo Aguirre alla ricerca dell’El Dorado; oppure Fitzcarraldo, terminato nel 1981, dopo più di due anni di lavorazione, in mezzo a difficoltà e incidenti, che racconta la storia di un uomo che vuole realizzare il suo sogno di trasportare una nave su di una montagna nel mezzo della giungla amazzonica.

Non sono da meno i suoi documentari. Ha girato in mezzo al deserto africano (Fata Morgana, 1971); tra gli aborigeni australiani (Dove sognano le formiche verdi, 1984); Echi da un regno oscuro (1990), su Jean-Bedel Bokassa, dittatore della repubblica centrafricana; Grido di pietra (1991) su due scalatori sul Cerro Torre in Patagonia; nel 1993 Rintocchi dal profondo, in Siberia, sulla spiritualità del popolo russo, per arrivare a Cave of Forgotten Dreams (2010), girato nella Grotta Chauvet, in Francia, nota per i dipinti rupestri risalenti a 32.000 anni fa. Solo per citarne alcuni.

Vista l’ossessiva presenza della natura nel suo lavoro, verrebbe da pensare che Werner sia un amante del mondo primordiale e selvaggio ma, analizzando più a fondo il suo rapporto con quanto ci circonda, le sue parole sono: “io credo che il denominatore comune dell’universo non sia l’armonia, ma caos, conflitto e morte”.

E lo stesso atteggiamento mantiene anche nei confronti dei personaggi dei suoi film. Quasi sempre sono al di fuori dei modelli di vita tipici della società: o troppo impegnati in imprese borderline, o perché “diversi” dagli altri (nani, sordociechi). Tutti hanno il compito di mostrare un punto di vista differente rispetto alla vita “normale”. In questa categoria può essere iscritto anche Nosferatu.

Il film

Per parlare di Nosferatu, devo però necessariamente partire dall’omonima pellicola di Murnau. Premesso che Herzog si è sempre dichiarato un grande estimatore del maestro espressionista, mette subito in chiaro che il suo non vuole essere un remake del film del ’22, ma un’opera che porta in sé le tematiche che gli sono care: il mostro perde così la sua aura spaventosa per diventare una creatura infelice non accettata dalla cultura borghese.

“Il tempo è un abisso come lunghe infiniti notti. I secoli vanno e vengono e non avere la capacità di invecchiare è terribile. La morte non è il peggio, ci sono cose molto più terribili, riesce a immaginarlo? Come durare attraverso i secoli, sperimentando ogni giorno le stesse, futili cose.”

In questo modo, Nosferatu diventa un horror atipico, una pellicola in cui la paura diventa una sensazione che si insinua sotto la pelle dello spettatore come per condurlo verso un’apocalisse incombente. Il film è pervaso dalla presenza della morte, fin dalle prime sequenze: una fila di corpi mummificati, del Museo di Guanajuato in Messico.

Molto originale è la colonna sonora a opera di Floria Fricke leader dei Popol Vuh e particolare è la fotografia di Jörg Schmidt-Reitwein.

Note e osservazioni

Sono in ritardo solo di un mese dalla fine della Mostra del cinema di Venezia, nella quale è stato conferito a Werner Herzog il Leone d’oro alla carriera.

L’attore principale del Nosferatu di Herzog (il vampiro) è Klaus Kinski. Ma Klaus è stato (poiché è morto nel 1991) l’attore feticcio del regista tedesco. Con lui ha girato altri quattro film e sono rimaste celebri le loro liti dentro e fuori del set.

Herzog racconta di averlo conosciuto molti anni prima di lavorare con lui: a 12 anni, a Monaco, ed era rimasto affascinato dal suo comportamento “folle”. Nel 1999 ripercorre il loro tormentato rapporto personale e lavorativo nel documentario Klaus Kinski, il mio nemico più caro.

Nosferatu è molto fedele a quello di Murnau. L’unica differenza, oltre il colore, è che – essendo scaduti i diritti d’autore della famiglia Stoker – Herzog può usare il nome Dracula, anziché Orlok. La curiosità è che Mina e Lucy del romanzo, nel film, sono invertiti. Inoltre, il personaggio di Mina è interpretato da Martje Grohmann, all’epoca moglie di Herzog. Herzog che appare, in parte, nella pellicola: sua è la sua mano che ispeziona la terra nelle bare infestate dai topi (si dice che nessuno nelle troupe avesse il coraggio di farlo).

All’avventurosa vita di Werner Herzog ho accennato più volte, senza mai approfondire. Posso solo aggiungere che è sempre stato in prima fila quando si trattava di andare in luoghi pericolosi e impervi: per lui si trattava di una sfida costante alle leggi umane e naturali.

Una curiosità è la sua mania di camminare a piedi. Nel 1974, ad esempio, quando la sua amica Lotte H. Eisner era gravemente malata, a Parigi, lui decise che sarebbe guarita se fosse andato a trovarla camminando da Monaco alla capitale francese (per inciso, il viaggio durò meno di un mese e Werner trovò l’amica ristabilita).

“Camminare non è un semplice spostamento, ma un atto fondamentale per la conoscenza del mondo, un’attività poetica e una metafora della vita stessa.”

L S D
Lo screenshot del film è preso da Wikipedia.

Nosferatu, il principe della notte

  • Regia: Werner Herzog
  • Soggetto: Bram Stoker e Henrik Galeen
  • Sceneggiatura: Werner Herzog
  • Interpreti: Klaus Kinski, Isabelle Adjani, Bruno Ganz, Roland Topor
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