Un libro illustrato in cui le immagini non si organizzano intorno a un testo per motivi didascalici o ornamentali ma costituiscono il testo stesso – questo è “Fotogrammi”, bel volume della Jaca Book che raccoglie immagini provenienti dai film di Rainer. W. Fassbinder, straordinario regista del cosiddetto “Nuovo cinema tedesco” di cui con Herzog e Wenders fu il maggior rappresentante.
Mentre gli altri due sono ancora in attività, Fassbinder morì a soli 36 anni, avendo però girato una quarantina di film, firmato decine di opere teatrali e televisive (per chi non la conoscesse, la serie – telefilm come si chiamava allora – di Berlin Alexanderplatz è imperdibile). Lo trovarono il 10 giugno del 1982 stroncato da un’overdose di cocaina e una quantità letale di sonniferi nella sua casa di Monaco – peraltro la città privilegiata dei suoi set.

Maestro di un mélo esasperato (appreso guardando maniacalmente i film di Douglas Sirk) declinato in una versione estrema, internata, il caso di dire, dentro scenari teatrali barocchi e insieme funerei e carnali, feroce allestitore di Kammerspiele e di reclusioni, di camere di torture psicologiche e di inquadrature-matrici di più storie possibili, Fassbinder è stato a suo modo un artista politico – se ci s’intende sul termine: è politica che preesiste a ciò che comunemente definiamo tale, non si colloca dentro confortevoli visioni ideologiche che la legittimino, pur se il crimine sotteso ai rapporti di classe in questo cinema appare costante.
Basti pensare all’esplorazione magistrale che Fassbinder fa di grandiose e inquietanti figure femminili; è lecita la lettura che ne fa allegorie dei passaggi d’epoca (conflitti e contraddizioni incluse) della storia tedesca novecentesca (da “Lola” e “Il Matrimonio di Maria Braun” a “Veronika Voss”, etc…), ma soprattutto vi ritorna, fondamentale, il dramma dell’amore fra umani, ossia la questione irrisolta del dominio, del possesso.
Era più semplice per lui – parole sue – scavare i termini di quella condizione attraverso le donne, ma sempre la partita che si gioca nelle sue messinscene è quella del potere – non va meglio difatti nei rapporti omosessuali: in “Il diritto del potere”, il protagonista Franz, sprovveduto sottoproletario interpretato dallo stesso Fassbinder, commette l’errore di innamorarsi di un uomo della classe sociale sbagliata.
A Fassbinder i Tedeschi non hanno mai perdonato la durezza strafottente, la vita (e l’estetica) eccessiva, lo scontro aperto con la cultura più conservatrice di un paese angosciato da troppi traumi per reggere l’urto di un uomo (e un artista) irriducibile al compromesso.
Ma il suo è un cinema che non ha perso nulla della forza originaria.
Il volume è introdotto da testi brevissimi del regista John Waters – il folle autore di “Pink Flamingos” si definisce “suo schiavo seguace” e immagina che il lettore – meglio: lo spettatore di questi fotogrammi – “si sentirà come un erotomane che sbava sulle sue pin-up preferite di Playboy”… (ora, immaginario stantio a parte, il piacere di guardare queste foto c’è tutto).
Poche righe dello scrittore Peter Handke nel suo stile elusivo rievocano un incontro a Cannes: “gli sguardi di entrambi si incrociarono in silenzio” – e morta lì; infine Hans Helmut Prinzler ripercorre per frammenti la vita e la cinematografa di Fassbinder ricordando i suoi temi centrali: una certa rappresentazione – benché il termine si addica poco a uno stile antinaturalistico – della Germania, la ferocia economica che permette di manipolare i rapporti fra le persone, la brutalità della forza ovunque possa esercitarsi.
Se da Sirk Fassbinder ha appreso la magia della luce e dell’inquadratura, i fotogrammi ci dicono della straordinaria sapienza pittorica implicita nel suo sguardo – e di come abbia saputo far agire quelli dei suoi attori, delle sue attrici ancor più (memorabili alcuni primi piani).
Se tutta l’esperienza sulla terra di Fassbinder non conobbe l’arte della misura, la sua arte ne guadagnò assai: variamente nei suoi film, non firmò solo la regia, ma vi recitò, li produsse, ne scrisse la sceneggiatura, curò il montaggio e talvolta diresse la fotografia. Dal bianco e nero livido, argenteo di “Veronika Voss” ai cromatismi allucinati di “Querelle de Brest”, si tratti di figurazioni scarne o di alterazioni espressionistiche, sempre nelle geometrie narrative di queste immagini ritorna una sorta di centralità del corpo e della sua inevitabile, violenta solitudine.
Michele Lupo
Rainer Fassbinder
Fotogrammi
Jaca Book
2020, 224 pagine, ill.
35 €