Ho scelto di recensire il film “La signora della porta accanto“ (1981) perché, lasciando da parte i suoi tanti pregi, mi dà l’opportunità di parlare di François Truffaut e della “Nouvelle Vague”.

“La femme d’à côté” (titolo originale), descrive la parabola di un amour fou, raccontato, però, con rigore e con una regia poco invadente. La pellicola è ambientata nella provincia francese e i luoghi in cui si svolge la storia sono quelli classici della borghesia: il circolo del tennis e le ristrutturate case di campagna.
In questo contesto perbenista fondato sulle cortesie e sui gesti trattenuti, più forte esplode la forza distruttrice della passione. Mathilde e Bernard, per uno scherzo del destino, si ritrovano vicini di casa e ciò riaccende in loro un fuoco che pensavano spento. Sentimenti semplici e misteriosi, da cui si genera la sofferenza di vivere dominati dalla più irragionevole fatalità. Una ennesima rappresentazione del binomio amore-morte messa in scena con freddezza, ma anche con partecipazione.
Il film fu girato in sole sei settimane, dagli inizi di marzo alla metà di aprile del 1981, e il fatto che i dialoghi fossero scritti durante le riprese, dallo stesso Truffaut con la sceneggiatrice Suzanne Schiffman, ha reso possibile la sintesi di naturalezza e precisione che caratterizza il lavoro.
È necessario sottolineare la musica (Georges Delerue), che compare solo in precisi momenti critici e l’ottima fotografia di William Lubtchansky.
Su tutto, però, si impone la straordinaria performance attoriale di Gerard Depardieu e di Fanny Ardant.
Come dicevo all’inizio, è questa la migliore occasione per poter parlare del movimento cinematografico che prese il nome di “Nouvelle Vague”. Il termine “Nuova Onda” (in italiano) apparve per la prima volta sul settimanale francese “L’Express”, il 3 ottobre 1957. Con questa espressione si fa riferimento ai nuovi film distribuiti a partire dal 1958 e in particolare a quelli presentati al Festival di Cannes l’anno successivo.
La Nouvelle Vague fu un fenomeno complesso, costituito da diversi autori, con concezioni anche differenti sulla regia. I rappresentanti maggiori furono quelli che si erano formati alla scuola critica dei “Cahiers du Cinéma” degli anni 1950: Claude Chabrol, Jean-Luc Godard, Eric Rohmer, Jacques Rivette, Alain Resnais e, appunto, François Truffaut.
Quest’ultimo, nato a Parigi nel 1932, morì a Neuilly-sur-Seine all’età di 52 anni, a causa di un tumore. Critico cinematografico dal 1950, fu tra gli animatori del processo di rinnovamento del linguaggio cinematografico appena citato.
Esordì nella regia con “Les Quatre Cents Coups” (1959), per poi firmare alcune pietre miliari del cinema transalpino (tra gli altri “Jules e Jim”, “Effetto notte” o “Adele H. – Una storia d’amore”). Autore versatile e prolifico, ha ottenuto vasti consensi con i suoi film, che sono spesso incentrati sull’infanzia tradita, sull’analisi dei sentimenti, sulla energia liberatrice dell’amicizia.
L’amour fou è una costante del cinema di Truffaut e “La signora della porta accanto” è in un certo senso la sintesi di questa componente del suo cinema.
Curiosità: Fanny Ardant aveva lavorato solo in teatro e per la televisione. Truffaut la scelse egualmente come protagonista per questo film (e per il successivo “Finalmente domenica!”). Diventò la compagna di vita del regista e gli restò accanto fino alla sua morte. I due hanno avuto, nel 1983, una figlia (Josephine).
Nota: racconta Truffaut che il progetto di questo film risale a diversi anni prima della realizzazione e che pensava a Jeanne Moreau e Charles Denner come protagonisti.
Quando ebbi l’occasione di vedere, fianco a fianco, Fanny Ardant e Gérard Depardieu (alla serata dei César), ebbi la sensazione che cinematograficamente quella fosse una bella coppia: due figure alte, il biondo e la bruna; un uomo apparentemente semplice ma complicato, una donna apparentemente complicata ma in realtà semplice come un arrivederci.
L S D