Dal momento che queste righe sono anche, per me, un momento di riflessione, approfitto della ricorrenza dell’8 marzo (la cosiddetta “Festa della donna”), per esprimere il mio parere sull’argomento.
Parlerò di “8 donne e un mistero” di François Ozon (2002), un film in cui le protagoniste sono tutte donne, con almeno tre generazioni rappresentate. La storia è quella di un (quasi) giallo con ognuna delle otto come possibile assassina. Non voglio però fare nessuna anticipazione e lascio libero lo spettatore di gustare fino in fondo le sorprese che la trama riserva.
“- Essere giudicati dai propri figli è intollerabile!
– Per questo non ne ho mai fatti!”

Il film è tratto da una pièce teatrale di Robert Thomas (“Huit femmes”), sceneggiato dallo stesso Ozon e da Marina de Van. Un apprezzamento particolare va riservato alla fotografia (Jeanne Lapoirie) e ai costumi (Pascaline Chevanne) che esaltano con colori sgargianti l’ambiente in cui si consuma la vicenda e le mise delle protagoniste.
Un successo strepitoso
La pellicola, ambientata negli anni Cinquanta, si ispira ai lavori di Vincent Minnelli e di Douglas Sirk, ai quali, di suo, Ozon aggiunge tanta ironia, mescolando abilmente diversi generi cinematografici. Nemmeno lo stesso gioco al massacro fra le varie donne raggiunge mai momenti drammatici e la vera tragedia si consuma soltanto nell’animo del povero unico maschio della storia (Marcel, del quale, le due volte in cui è in scena, non viene mostrato il volto, ma la nuca).
Quando uscì nelle sale francesi “8 donne e un mistero” ottenne uno strepitoso successo di pubblico, confermato poi anche nei cinema del resto del mondo.
Veniamo, allora, a François Ozon. Nasce a Parigi nel 1967. Si laurea in Storia del Cinema alla Sorbona e tra i suoi insegnanti c’è Eric Rohmer. Quindi frequenta, dal 1990 al 1993, la prestigiosa scuola di cinema “Femis” (École nationale supérieure des métiers de l’image et du son). Prima del suo lungometraggio d’esordio (“Sitcom”, 1998), dirige diversi corti e documentari. Dichiaratamente gay, aveva iniziato anche lavorando come modello.
Nella sua già ricca filmografia, che ha ricevuto molti riconoscimenti in Francia e fuori, spiccano almeno “Gocce d’acqua su pietre roventi” (2000), in cui omaggia R. W. Fassbinder; “Swimming Pool” (2003); “Potiche – La bella statuina” (2010) e “Giovane e bella” (2013). L’ultimo lavoro che ho visto e molto appezzato è “Grazie a Dio” (2019), la storia di un prete pedofilo, che ha vinto l’Orso d’argento, gran premio della giuria a Berlino, nello stesso anno.
Curioso che un film con sole donne protagoniste, abbia un regista gay. Si dice che gli omosessuali siano più sensibili della maggioranza dei maschi; di certo, hanno provato sulla loro pelle cosa significhi essere emarginati – se non peggio – proprio come il sesso femminile.
La Festa della donna
E quindi posso finalmente dichiarare quello che penso sulla “Festa della donna”. Tutto il male possibile. E non per una mancanza di rispetto nei confronti dell’altro sesso, ma perché mi sembra inconcepibile che dopo duecentomila anni circa di permanenza su questo mondo, sia ancora necessario ricordarci della donna in un giorno particolare, come se si trattasse di una specie protetta in via d’estinzione o di qualcosa di separato dal genere umano.
Io che sono cresciuto di pari passo con il movimento femminista in Italia (e che ho avuto al mio fianco compagne “agguerrite”), provo un sentimento di tristezza quando vado in pizzeria l’8 marzo appunto, e vedo frotte di ragazze, di tutte le età che “sbracano” e mi guardano come fossi un alieno: l’unica rispondenza che trovo è proprio nel famoso “hanno aperto le gabbie”, per cui è necessario – per qualche ora – stare attenti a non farsi divorare.
Le famose “quote rosa”, il giorno della memoria (in ricordo della donna) mi fanno pensare più a dei recinti, che non a riconoscimenti di una parità/diversità. Io credo che se una persona vale qualcosa o, al contrario, se non capisce niente, debba essere giudicata per questo e non certo per il sesso cui appartiene.
E non mi fate poi parlare dei femminicidi: senza entrare nel merito, è fuori discussione che la parola scelta per definire questo reato sia una delle più brutte mai apparse nella lingua italiana (e forse non è stato fatto a caso).
“…le donne odiavano il jazz…non si capisce il motivo…”
(“Sotto le stelle del jazz” di Paolo Conte)
Note e curiosità
Nei titoli di testa ad ognuna delle otto protagoniste viene associato un fiore: orchidea gialla per Catherine Deneuve, rosa rossa per Fanny Ardant, cardo per Isabelle Huppert, margherita per Ludivine Sagnier, rosa rosa per Virginie Ledoyen, orchidea bianca per Emmanuelle Béart, viola per Danielle Darrieux, girasole per Firmine Richard.
Molto clamore ha suscitato, verso la metà del film, la lotta tra la Deneuve e la Ardant, che termina con un meraviglioso bacio saffico fra le due star del cinema transalpino.
Chiudo con un richiamo alla matematica, per chi ama i numeri: otto (marzo), otto (donne e un mistero) e anche la mia recensione numero ott(anta).
L S D
8 donne e un mistero
Regia: François Ozon
Soggetto: Robert Thomas
Sceneggiatura: François Ozon, Marina de Van
Interpreti: Catherine Deneuve, Fanny Ardant, Isabelle Huppert, Emmanuelle Béart, Virginie Ledoyen, Danielle Darrieux, Ludivine Sagnier, Firmine Richard