Subito un’avvertenza: per apprezzare appieno questo bel libro di Paolo Rumiz occorre recuperare un atlante, meglio se storico, e aprirlo sulle cartine dedicate all’oriente. Altrimenti si rischia di rimanere spaesati; chi sa infatti collocare geograficamente a colpo sicuro il Burgenland, la Galizia, la Moldavia, i fiumi Savinja e Dravinja, tanto per citare alcuni toponimi incontrati tra le pagine di questa raccolta di reportage, alcuni completamente inediti, altri invece apparsi almeno in parte su giornali e periodici?
A pensarci bene, però, è lecito anche intraprendere la lettura senza alcun ausilio, in modo da assaporare – mi si perdoni il verbo – il senso di misterioso fascino che portano con sé nomi come Masuria, Pomerania, Pannonia, Oltenia, Rutenia… A pochi chilometri da Trieste, città in cui vive l’autore ed estremo lembo orientale dell’Italia, si apre un mondo per noi straniero ed estraneo, eppure per secoli familiare perché percorso in lungo e in largo da generazioni di mercanti, soldati, uomini di fede e avventurieri. Al lettore basteranno poche pagine per accorgersi che “raccolta di reportage” è definizione riduttiva che non rende giustizia alla ricchezza del libro. S’imbatterà infatti in annotazioni personali (il primo reportage racconta un viaggio in bicicletta da Trieste a Vienna in compagnia del suo secondogenito, allora quindicenne), in un affresco dell’Europa centro-orientale e dell’Italia di pochi anni fa (gli articoli risalgono infatti a un periodo che va dal 1999 al 2001), in rapidi ma sapidi ritratti di compagni di viaggio. Ecco comparire Milosevic, prima dell’arresto, del processo al tribunale internazionale dell’Aja e della morte in carcere, già nella fase finale della sua parabola politica, rimasto solo dopo aver eliminato tutti i compagni (e complici) che l’avevano accompagnato nell’ascesa al potere; ecco lo scempio dell’ambiente, con i grandi fiumi avvelenati dalle scorie industriali; ecco le migrazioni di oggi sovrapporsi e mescolarsi a quelle di ieri; ecco le dolci colline ricoperte di neve, sotto le quali sono sepolti cimiteri ebraici.
Alcuni termini ritornano in molte pagine, tanto da poter esseri presi come pilastri che reggono la struttura del racconto: lentezza, montagna, sacrificio, riappropriazione del tempo. Mentre viaggia, Rumiz è particolarmente attento ai sapori e agli odori, troppo spesso anestetizzati, uniformati, sovrastati dal vortice della quotidianità, dei ritmi forsennati imposti dalla globalizzazione. Sente “…una tremenda nostalgia della lentezza, del ritmo carovaniero. Forse è il Nur, la percezione dell’energia cosmica, di cui mi hanno parlato i sufi in una piccola moschea di Fatih”.
L’esatto contrario della merce elevata al rango di divinità. Folgorante la descrizione della sedia gigantesca “unico monumento di Manzano, un posto dove in piazza non c’è nessun Garibaldi, nessun Nino Bixio, nessun Risorgimento, nessuna Resistenza, nessun mito umano”. Solo questo enorme – e inquietante – totem posto a simboleggiare il distretto nel quale si producono centinaia di migliaia di sedie all’anno. Gli spostamenti di Rumiz sono insieme viaggi nel tempo: “Prima della Grande Guerra il rapido per Budapest impiegava otto ore e mezzo [da Trieste; ndr]. Basterebbe mantenere la velocità di allora: ma nemmeno quella è possibile, troppi confini. Oggi lo stesso viaggio dura quasi undici ore. Infinitamente per i treni merci: sette giorni contro i due d’anteguerra, un’eternità. Al punto che i prodotti del Nord Italia si preferisce farli arrivare a Budapest via Monaco. Economicamente è una follia. Ma il viaggio, almeno, dura “solo” quattro giorni”. È oriente è un bel libro che aiuta a conoscere, a comprendere e a ricordare che l’Oriente è alla porte di casa nostra.
Saul Stucchi
Paolo Rumiz
È Oriente
Pagine: 200
Prezzo: € 7,50