Forse solo un pensatore eccentrico come Peter Sloterdijk poteva inquadrare le architravi dell’impero romano per intravederne in controluce la decadenza dell’Europa. Operazione, la seconda, che non gli procura alcun giubilo – non tutti per fortuna, e senza stare dalla parte di von der Leyen, sono aggiogati nel cupio dissolvi che da est a ovest, ci vuole risucchiare verso il nulla.
E Roma cosa c’entra? Per il filosofo tedesco la scena europea nei secoli si è per lo più manifestata come una ripetizione-variante (spesso inconsapevole) dell’archetipica rappresentazione romana. Dai re ai papi. “Se vogliamo parlare di Europa – scrive Sloterdijk ne Il continente senza qualità. Segnalibri nel romanzo d’Europa – dobbiamo passare da un pensiero essenzialista o sostanzialista a un pensiero drammaturgico o di tipo scenografico”.

A suo avviso persino il potere della Chiesa cristiana che contrassegnerà una buona parte del Medioevo replicherà tratti dell’impero romano (come un suo Doppelgänger), a partire (scrive nell’introduzione ali libro edito da Meltemi il curatore Stefano Vastano), dal “titolo di pontifex maximus, rivendicato, dopo i Cesari romani, dai titolari della Santa sede”.
Ma ciò che poi farà dell’Europa quel campo terremotato ma fertile che ora rischia drammaticamente di sfasciarsi è il paradigma Petrarca: il vero padre della lingua italiana (purtroppo per Dante e per noi – considerazioni personali) che con l’incoronazione a poeta laureatus sancisce il passaggio da un primato all’altro, da quello del mero potere a quello del sapere: il prestigio di un capitale simbolico che segna l’inizio di un capitolo decisivo nel “libro dell’Europa”. Perché quello diventa infine, agli occhi di Sloterdijk, il nostro continente, un “contesto di apprendimento”.
Ma anche, sulla scia delle tracce romane, di accrescimento e espansioni di cui l’uso della lingua latina, considerata fino a una buona parte del ‘900 dirimente per intendere un uomo come “colto”, è struttura e testimonianza. Un’idea di modernità che si voglia incistata nella figura di Petrarca sottende che la fama non sia più legata alla nobiltà ma alle proprie opere, al talento, per cui poco dopo, nel XV secolo, secondo Sloterdijk si affaccia un principio di mobilità sociale “al di là dei confini di classe”. Se essa passa dalla via del sapere, risulta chiaro quanto decisive diventino le figure dell’insegnante e degli studenti, soprattutto.
La crisi odierna dell’Europa, non casualmente, coincide con la crisi di queste figure: per lo più gli europei, manco fossero diventati elettori texani di Trump – non sembrano più interessati alla loro storia culturale, rinchiudendosi in posticce rivendicazioni di un nazionalismo folcloristico, le cui “tradizioni”, e lo sappiamo da un po’, appaiono posticce. E cinicamente sfruttate o costruite dagli attori peggiori che fanno la stessa, più dura, operazione in casa loro, Trump e Putin.
La debolezza cui assistiamo (di cui partecipiamo) in questo continente senza qualità sta nella frantumazione della cinghia di trasmissioni del sapere, debolezza endogena che la ferocia esogena di cui sopra approfitta incendiando i tizzoni del risentimento.
L’europeo che oggi pretende solo di “prendersi una vacanza dalla propria storia” (al massimo, ridurla a museo, teatro di rovine, ossia ricreativa) è cifra di questo “continente senza qualità”, laddove la sua grandezza è stata, per esempio, nella lezione di Comenius, “l’Essere per la scuola” del primo pedagogista moderno, nella torsione dello studio (effetto Matteo lo definisce il sociologo americano Robert. K. Merton rileggendo la parabola dei talenti di Gesù).
L’ivi sottesa idea di meritocrazia, che come altre di Sloterdijk infastidisce la sinistra più ortodossa, s’intreccia tuttavia – e questa è un esempio dell’eterodossia del pensatore – con l’analisi del Capitale via Marx. Il principio dell’accumulazione, qui della ricchezza, lì del sapere, è lo stesso: perché l’europeo, quello storico, è l’Ulisse che non intende fermarsi mai. Mentre via nave scopre il mondo, interroga sé stesso.
Per questo, l’Europa è anche un libro di “confessioni”: Agostino, ma lo stesso Petrarca che ben lo conosceva, Montaigne, Rousseau, il cuore messo a nudo di Baudelaire etc.
Scoprire la nostra bestialità mentre definiamo selvaggia l’umanità non battezzata e la violentiamo, non ci ha probabilmente aiutati. Non ci perdoniamo di essere bianchi e imperialisti. Perciò siamo stanchi, incapaci di difenderci, figuriamoci di generare mondo – postumi.
Michele Lupo
Peter Sloterdijk
Il continente senza qualità
Segnalibri nel romanzo d’Europa
A cura di Stefano Vastano
Meltemi
2025, 282 pagine
20 €