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Voi siete qui: Biblioteca » “I campi di patate fanno le onde” di Graziella Belli

20 Giugno 2025

“I campi di patate fanno le onde” di Graziella Belli

Ho scoperto Ormea – e ho conosciuto Graziella Belli – circa tre anni fa, durante un laboratorio su scrittura e paesaggio tenutosi nel suo paesello, che sorge dove il Tanaro nasce, mentre il mio si trova dove il fiume si getta nel Po. Mi sorprese, da subito, la somiglianza con un borgo delle nostre valli appenniniche, San Sebastiano Curone: cui lo accomuna, peraltro, anche il ruolo attivo nella Resistenza, della quale il bel libro di Graziella narra ora alcuni episodi.

Una piccola notazione iniziale sull’accattivante titolo, I campi di patate fanno le onde (lo pubblica Fusta Editore). Questo accordo di parole (per riprendere un’espressione di Tudor Arghezi tradotto da Quasimodo) compare ripetutamente nel corso del testo (ad esempio, alle pagine 59, 74, 108, 125, 131, 132, 135, 147), per sottolineare la nostalgia del proprio villaggio che il ragazzo Giusto – detto “Giustìn” – avverte quando vi si trova lontano.

Diversamente dalle piatte, monotone coltivazioni olandesi descritte da Marino Magliani, infatti, qui i filari di solanacee seguono l’andamento mosso del terreno e si gonfiano come un pelago agitato (Yeats aveva invece usato l’immagine per rendere gli effetti “visivi” della musica: “Quando suono il mio violino a Dooney, / la gente danza come un’onda del mare”).

Il romanzo si articola in nove “stazioni”, che vanno dal giugno 1939, poco prima dell’inizio del secondo conflitto mondiale, al 27 aprile 1945, due giorni dopo la Liberazione (che però, come si potrà leggere, non è stata completa proprio ovunque…), e presentano le vicissitudini condivise dei due amici Giusto e Lorenzo. Dapprincipio, quel che accade è ordinaria “vita di campagna”: la scuola, i furtarelli di frutta dagli alberi, la festa patronale (quando ancora le celebrazioni religiose rappresentavano un importante momento di gioia e di socializzazione, nei paesi).

Con l’entrata in guerra, strombazzata alla radio dalla nota, tonitruante voce romagnola, le cose iniziano a mutare: prima in maniera impercettibile, tanto che i due ragazzini riescono, senza particolari problemi, a recarsi in bicicletta fino in Riviera, per un agognato bagno in mare, o a sciare lungo i declivi fuori porta, facendo anche a palle di neve.

Poi, però, le ristrettezze alimentari comportate dall’economia bellica iniziano a farsi sentire, e Giusto, per le vacanze estive, va a Pieve di Teco, dalla nonna, che dispone di un orto, portandosi una gallina per le uova. Ancor di più si avvertono nel settembre del 1943, sulle soglie dell’armistizio, quando, per ottenere farina alla borsa nera, bisogna peregrinare fra le frazioni e le cascine di pianura. Cominciano ad aggirarsi per le campagne gli ex militati sbandati e anche a tornare dalla Russia (chi ci è riuscito, almeno…) quelli che vi erano stati spediti a combattere – malconci tutti.

Intanto, sulle montagne i partigiani fanno sempre più la loro parte, impegnando i nazifascisti in scontri sanguinosi, durante uno dei quali Lorenzo viene ucciso, lasciando l’amico dolorosamente solo. Giusto non è entrato nelle brigate (c’è già suo fratello Leandro) ed è ad Alassio dagli zii.

Solo il 26 aprile 1945 si azzarda a rientrare in paese, arrivandoci il 27: ma, a dispetto dei proclami ufficiali, i tedeschi a Ormea ci sono ancora, e lo catturano; viene però salvato da uno di loro, un soldato mite, che andava spesso a casa dei suoi genitori per avere un piatto di minestra, e che si commuoveva estraendo e porgendo la foto della propria famiglia. Poi le camionette finalmente se ne vanno, e al ragazzo rimane il dubbio se, prima che partissero, “non gli era parso di vedere quel soldato sorridergli”.

La scrittura di Graziella ricorda quella del Fenoglio dei racconti paesani, dove la pagina veniva lavorata fino a far sparire ogni traccia di lavorio e veniva offerta nella sua conquistata trasparenza. Di Fenoglio (anche lui uomo del Tanaro) ha la lapidaria efficacia descrittiva: “Giusto gettava lo sguardo sopra i resti delle antiche mura di cinta, verso i boschi, oltre la ferrovia, poi di nuovo al Tanaro, si incantava nel gonfiore dei pini che brillavano al primo sole”.

Ma sa proporre anche interrogativi dolorosi, di scottante attualità, per le notizie che ci vengono quotidianamente somministrate dagli organi di informazione: “Va bene, è la guerra, ma io credo che sparare contro qualcuno in battaglia, farlo a Monte Grande – c’ero e lo so bene – è fare la guerra, non sai chi c’è di là, non pare neppure che siano degli uomini, stanno di fronte e cerchi di mirare bene. Ma uccidere persone inermi, è guerra?”.

Il lettore che si confronta con queste vicende sente schiudersi in sé la porta dei ricordi, e riaffiorare racconti famigliari di episodi analoghi. Per esempio, anche a casa di mio padre, all’epoca sedicenne, c’era un soldato tedesco (detto “Yup”, ma chissà qual era il nome vero, e chissà di dov’era, e chissà se è riuscito a tornare a baita, come diceva Rigoni Stern) che andava a mangiare un piatto di minestra e piangeva mostrando la foto dei suoi.

Insomma, Graziella è riuscita a salvare dall’oblio storie e ed emozioni del suo paese, così che possano essere condivise e ridestino le emozioni e i ricordi degli altri. In fondo, è per questo che si scrive…

Marco Grassano

Graziella Belli
I campi di patate fanno le onde
Storie di amicizia e guerra lungo il Tanaro

Fusta Editore
2025, 160 pagine
16,50 €

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