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Voi siete qui: Biblioteca » “La pietra della follia” di Benjamín Labatut in 10 note

26 Settembre 2021

“La pietra della follia” di Benjamín Labatut in 10 note

“L’ALIBI della domenica” è dedicato questa settimana a “La pietra della follia” di Benjamín Labatut, pubblicato da Adelphi nella collana “Microgrammi”, con la traduzione di Lisa Topi.

“Chi non ha mai avuto la sensazione che, in fondo, scrivere non serva ad altro che a scavarsi la fossa? Chi non ha lavorato a testa bassa senza sospettare nemmeno una volta che tutta quella fatica servisse solo a riempire la propria tomba, pronti come siamo a sostenere i nostri castelli in aria, costi quel che costi?”.

Con queste parole di Benjamín Labatut in testa, mi accingo a presentarvi il suo librino “La pietra della follia”, augurandovi che possiate gustarvelo quanto l’ho gustato io. Come vedrete, non sarà una recensione tradizionale, quanto piuttosto una pagina di annotazioni strappate dal mio quaderno di appunti (una modestissima imitazione del “Diario di un lettore” di Alberto Manguel).

  • Confesso che quando vado al Museo del Prado non mi soffermo a lungo nella sala di Bosch: un po’ perché c’è sempre tanta gente davanti al suo “Giardino delle delizie”, un po’ perché altrove sono esposti i miei capolavori preferiti: dalla “Deposizione” di Rogier van der Weyden a “Las Meninas” di Velázquez, passando per i pannelli con la storia di Nastagio degli Onesti del Botticelli e le opere di Goya.
    Ma la prossima volta che ci tornerò, mi soffermerò con attenzione sulla piccola tavola intitolata “Estrazione della pietra della follia”, dipinta da Bosch… sì, ma quando? “1490 ca” è l’indicazione cronologica riportata nel colophon del libro, nel quale l’opera è riprodotta in controfrontespizio.
    Sul sito del Prado l’opera è invece datata al 1501-1505, mentre l’anonimo estensore della voce monografica dell’edizione italiana di Wikipedia ne pone la realizzazione nell’anno 1494. Quello della voce spagnola la retrodata addirittura tra il 1475 e il 1480, alla prima fase della carriera del pittore olandese.
    Perdonatemi la facile battuta: c’è da diventare matti!
Hieronymus Bosch, Estrazione della pietra della follia, Museo del Prado, Madrid
  • Più facile, invece, individuare la fonte della bella citazione di Gramsci, posta in esergo. “La crisi consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati”. Viene dai “Quaderni del carcere”. Più precisamente dal Quaderno 3 (1930), paragrafo 34 “Passato e presente”, pagina 311 nell’edizione Einaudi.
  • “La pietra della follia” si apre nel nome dello scrittore statunitense Howard Phillips Lovecraft, di cui viene menzionato il racconto “Il richiamo di Cthulhu”. Non l’ho mai letto. Lo prenderò in biblioteca. Anzi: ordinerò sia la versione originale che l’adattamento “manga” disegnato da Gou Tanabe, pubblicato dall’editore J-Pop.
  • A proposito della “concezione del mondo come simulacro” (pag. 20): leggendo queste pagine mi tornavano alla mente quelle dello scritto “La lotta contro le evidenze” di Lev Šestov pubblicato nel libro “Sulla bilancia di Giobbe” (Adelphi). “Nessuno può sapere se la vita non sia la morte e se la morte non sia la vita. Dai tempi più remoti gli uomini più saggi vivono in questa enigmatica e sconvolgente ignoranza. Solo gli uomini ordinari sanno bene che cosa sia la vita e che cosa sia la morte…”.
  • Cito da pagina 24 de “La pietra della follia”: “Più che in qualsiasi altro luogo, oggi viviamo nella realtà di Dick: un incubo collettivo e paranoico nel quale non possiamo mai essere davvero sicuri di ciò che sentiamo, ascoltiamo, diciamo e addirittura pensiamo”. Qui il rimando è inevitabile: “Io sono vivo, voi siete morti” di Emmanuel Carrère (Adelphi).
  • Vogliamo parlare dello stupore che ci coglie di fronte alle manifestazioni più strane ed estreme della realtà, quando ci domandiamo “Ma è reale?” (pag. 38). Nei giorni scorsi ho sentito formulare la stessa domanda in un episodio della serie “The Big Bang Theory”, il sedicesimo della seconda stagione, intitolato “La saturazione del cuscino”.
    “What’s real? What isn’t? How can I know?” si domanda Sheldon, disorientato, dopo aver saputo da Leonard che il pollo agli anacardi che l’amico gli porta ogni lunedì sera non proviene affatto dal ristorante Szechuan Palace come Sheldon ha sempre creduto, bensì dal Golden Dragon. Il suo universo è scosso alle fondamenta dalla notizia, ma resisterà al duro colpo.
  • Le pagine che Labatut dedica alla crisi del Cile sono forse quelle che più sorprendono il lettore italiano che ha conosciuto lo scrittore grazie al suo libro di successo “Quando abbiamo smesso di capire il mondo”, pubblicato qualche mese fa sempre da Adelphi. Qui Labatut esprime considerazioni personali senza alcuna remora. A pagina 31, per esempio, la tocca piano così: “quel cretino del nostro presidente”. In quella prima definisce fascista la polizia cilena, in quella dopo dà del pazzo a Trump, Bolsonaro e Johnson.
  • Non vi svelerò nulla della vicenda (pirandelliana, mi verrebbe da dire) della lettrice “stalker”, preda della mania di persecuzione. Cito soltanto un brano da pag. 71: “I suoi deliri si servono di metodi e metafore derivati dalla scienza, ma ciò non toglie che il suo uso irresponsabile dei numeri e la sua abilità nell’intrecciare teorie senza capo né coda, che un’analisi seria manderebbe in frantumi, siano il segno di una mente disturbata che si accanisce contro uomini e donne come capri espiatori”. Si adattano perfettamente a tanti leoni da tastiera, in questi tempi di scontri tra bande digitali.
  • A pagina 47 Labatut torna a menzionare Philip K. Dick, ma io pensavo a Goya, anzi, alla sua opera grafica più celebre: “El sueño de la razón produce monstruos”. Sarà esposta, tra altri capolavori dell’artista spagnolo, alla mostra “Goya” allestita alla Fondazione Beyeler, nei pressi di Basilea.
  • In chiusura l’autore menziona un articolo pubblicato dal New York Times lo scorso dicembre. Ne sono autrici Elizabeth A. Harris e Nicole Perlroth. Chi voglia leggerlo, lo può trovare qui: “Why on Earth Is Someone Stealing Unpublished Book Manuscripts?”. Roba da pazzi…

Come suggello di questa non-recensione a “La pietra della follia” di Labatut non trovo parole migliori di quelle dello stesso scrittore stampate sulla quarta di copertina: “… il prezzo che paghiamo per la conoscenza è la perdita della nostra capacità di comprensione”.

Saul Stucchi

Benjamín Labatut
La pietra della follia
Traduzione di Lisa Topi
Adelphi
Collana Microgrammi, 13
2021, 77 pagine
5 €

L’immagine dell’opera di Bosch è presa da Wikipedia.

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