Si alza il sipario su Occidente solitario e che ci sia qualcosa che non va lo si capisce da quel fucile da caccia appeso sul camino, incorniciato da un buon numero di statuine della Madonna. La conferma arriva subito: bastano i primi scambi di frasi tra i due personaggi in scena, in cui le parole sono in minoranza rispetto alle parolacce. E pensare che uno dei due veste la tonaca del prete. Perché è un prete! E la scurrilità appare immediatamente il minore dei suoi difetti, messa in ombra dalla dipendenza dall’alcool e dalla tiepidezza della sua fede. “Questa parrocchia ti porta a bere…” tenta di giustificarsi Padre Welsh (Massimo De Santis), ma Coleman (Claudio Santamaria) lo inchioda alla sua croce rispondendogli “sì, ma ci sono quelli più portati di altri!”. La discussione appare in un primo momento surreale, visto che i due tornano da un funerale, ma il prosieguo dimostrerà allo spettatore che l’Irlanda ritratta da Martin McDonagh è quella della disperazione e dell’emarginazione: dunque l’ingenuo stupore è fuori luogo. Di disperazione ed emarginazione sono vittime anche i due fratelli Coleman e Valene (Filippo Nigro). A babbo morto si tuffano in un ininterrotto litigio che va su e giù come le montagne russe, con picchi di volgarità che per il ben noto riflesso psicologico (e la bravura dei due protagonisti) inducono spesso il pubblico alla risata più che al sorriso.
Dei tre uomini male in arnese il più tranquillo sembra essere Valene, ma solo perché è evidentemente il più tardo. Padre Welsh, invece, si macera nei suoi dubbi, schiacciato dalla constatazione che Dio ha ben poca autorità sulle pecorelle del gregge che gli ha affidato. E il complimento che Coleman gli fa (“almeno non abusi dei ragazzini e questo ti pone sopra la metà dei preti irlandesi”) è più una frecciata contro il clero nazionale che un vero elogio. E comunque non basta a Padre Welsh per risolvere la crisi di fede. Un’altra?! “È la dodicesima questa settimana!” esclama tra il serio e il faceto la giovane Mary, soprannominata “Ragazzina” (una sbarazzina Azzurra Antonacci).
Vediamo i quattro aggirarsi e scontrarsi in un modesto interno domestico, dove la V disegnata su tutto (mobili, forno, poltrona…) sta a marcare la proprietà di Valene, il cui unico interesse sembra essere l’acquisto di Madonnine: tornato dalla spesa, estrae dai sacchetti di carta soltanto pacchetti di patatine (le più economiche, fritte in un olio di m…, gli urla il fratello) e una statuina gigantesca che va subito a posizionare sul piano del camino accanto a quella piccola e alla mediana. Quando Coleman le infilerà tutte nel forno per fonderle, il suo gesto avrà anche una valenza simbolica, anche se non riuscirà a spegnere l’insana passione del fratello. Più che il fumo e l’odore acre della plastica bruciata nell’aria aleggia la morte, tra tranquilli omicidi tra vicini e parenti, e suicidi, con le vittime di questi ultimi destinate all’inferno, almeno “secondo la nostra cricca”, ricorda il prete. La prima parte si chiude con il suo suicidio, ma la sua presenza-assenza incomberà su tutta la seconda che squadernerà un gioco al massacro di confessioni, forse in principio sincere, ma via via sempre più cattive. Da parte sua Ragazzina sembra condividere l’opinione di Achille nell’Ade, secondo cui l’ultimo tra i viventi è più fortunato del primo tra i morti, perché a nessuno di questi è concessa la minima speranza di felicità. Nell’intenso dialogo in riva al lago, prima di farla finita, Padre Welsh si è in qualche modo redento baciandola sulla fronte, mentre lei avrebbe desiderato altro. Ma nella lettera “testamento” il prete non ha avuto la sensibilità di menzionarla, tutto concentrato nel tentativo di sanare la profonda discordia che separa i due fratelli. Forse però Padre Welsh (Walsh…?) non è morto invano…
Il testo ricorre spesso all’iperbole (“la capitale europea del delitto”, “l’esperto mondiale di patatine”…) e non deve essere stato semplice da tradurre; immagino poi che tutti i congiuntivi saltati (“spero che muore”, “sembra che se ne va”…) siano un espediente per rendere il gergo giovanilistico dell’originale. Se nella prima parte, soprattutto all’inizio, il ritmo sembra un po’ meccanico, con lo scambio fin troppo veloce di sentenze, una volta presa la giusta andatura lo spettacolo lievita, avvince e convince.
Saul Stucchi
Foto di Pino Le Pera
OCCIDENTE SOLITARIO
di Martin McDonagh
Regia di Juan Diego Puerta Lopez
Con: Claudio Santamaria, Filippo Nigro, Massimo De Santis, Azzurra Antonacci
Scene: Bruno Buonincontri
Costumi: Caterina Nardi
Musica originale: Riccardo Bertini
Disegno luci: Sergio Ciattaglia
Dal 29 gennaio al 10 febbraio 2013
Tieffe Teatro Menotti
Via Ciro Menotti 11
Milano
Orario spettacoli: martedì, giovedì, venerdì e sabato ore 21.00
Mercoledì ore 19.30
Domenica ore 17.00
www.tieffeteatro.it