Domenica 20 gennaio si è tenuta, nella sede della Comunità di Sant’Egidio di Milano, la presentazione del libro “Naufraghi senza volto. Dare un nome alle vittime del Mediterraneo” di Cristina Cattaneo, edito da Raffaello Cortina Editore. La sala era gremita, con tutti i posti a sedere occupati e molte persone rimaste in piedi.
A introdurre l’autrice c’era Milena Santerini della stessa Comunità che ha spiegato il grande afflusso di pubblico con l’effetto provocato dalla commovente illustrazione del disegnatore Makkox (al secolo Marco Dambrosio) pubblicata sulla stampa a corredo del libro della Cattaneo e subito diventata “virale” sui social media.
Ma ha anche ricordato l’ennesima strage nel Mediterraneo, avvenuta soltanto due giorni prima (venerdì 18 gennaio, ndr), nella quale hanno perso la vita oltre 100 persone. Santerini ha invitato i presenti a commemorare le vittime con un minuto di silenzio.

Salvare i vivi e dare un nome ai morti è innanzitutto una questione di diritti, ancora prima che di pietas o di misericordia. A muovere Cristina Cattaneo è stata l’indignazione che poi si è concretizzata nella scelta d’impegnarsi in prima persona.
Prima di lasciare la parola all’autrice, Santerini ha mostrato un breve filmato in cui il medico legale racconta il proprio lavoro (il video è stato realizzato da Freeda).
“Sono molto fortunata perché faccio un mestiere che mi fa vedere le cose più brutte ma anche le cose molto più belle dell’umano”, dice in un passaggio la protagonista.
Quando ha preso la parola “dal vivo”, Cristina Cattaneo ha prima di tutto ringraziato l’editore Cortina (presente in sala) e ricordato che i proventi per i diritti d’autore andranno alle attività per l’identificazione delle vittime dei naufragi.
A spingerla a scrivere il libro è stata la paura che si perdesse la memoria di un momento magico, pur nella tragedia. Negli anni tra il 2013 e il 2017 l’Italia è stata l’unica a muoversi per cercare di ridare identità ai morti. È questa la cosa primaria, non soltanto per la dignità delle vittime, ma anche per i vivi che altrimenti faticano a riprendersi dal trauma della cosiddetta “perdita ambigua”, provocata dal non sapere se un caro è vivo oppure è morto.
Solo con la certezza della perdita si può dare inizio all’elaborazione del lutto. E l’ottenimento di un certificato di morte ha ripercussioni enormi nella vita dei parenti, alle prese con la burocrazia.

Il naufragio del 3 ottobre 2013 nei pressi di Lampedusa ha scosso le coscienze. Ha fatto scattare la domanda sul perché, quando avviene una tragedia in mare, non si metta in moto la macchina del riconoscimento, come invece avviene con gli incidenti aerei, quando subito scattano le ricerche e le indagini.
Da allora i dati dei morti vengono confrontati con quelli forniti dalla documentazione disponibile delle stesse vittime, come foto e radiografie. Quando hanno lanciato l’appello per sapere se ci fossero parenti in cerca di informazioni, si sono presentate a Roma più di 70 famiglie ed è stato possibile rilasciare una quarantina di certificati di morte.
Non è assolutamente vero che i naufraghi muoiono nel Mediterraneo nell’assoluta indifferenza! Le famiglie cercano con accanimento e con tutti i mezzi a loro disposizione i propri cari dispersi.
Da allora sono state sviluppate diverse strategie, per tentare di risolvere i vari problemi, a cominciare da quello della comunicazione. Così è stata creata una task force. Purtroppo subito dopo è avvenuta la tragedia più grande, quella del 18 aprile 2015 nel Canale di Sicilia, in cui hanno perso la vita mille persone.
L’Italia ha risposto con un’iniziativa che ha fatto il giro del mondo. Nei tre mesi successivi la Marina Militare ha raccolto i corpi delle vittime. Agenzie che non si conoscevano tra loro hanno collaborato senza posa: Vigili del Fuoco, Marina Militare, Prefetture e dodici università che hanno inviato in Sicilia circa ottanta medici legali per fare le autopsie.
Il suo lavoro consiste nel far raccontare i morti attraverso i loro resti umani e quello che ciascuno di loro portava con sé. Non soltanto la pagella che il ragazzo del Mali aveva cucito in una tasca del giubbotto, ma anche auricolari, tessere della biblioteca, spazzolini, documenti per la donazione del sangue…
E a chi scrive queste note è venuto da pensare: “Se fossimo noi qui in questa sala ad andare a picco, cosa racconterebbero di noi i documenti e gli oggetti che abbiamo nelle tasche? Cosa direbbero dei nostri affetti, delle speranze e delle paure, delle relazioni con le persone che abbiamo lasciato a casa e con quelle che sono qui presenti?”.
Le attività di riconoscimento andranno avanti anni, unendo i dati forniti dai cadaveri con le informazioni ante mortem raccolte nei paesi d’origine e nei paesi di destinazione dei familiari.
Danilo De Biasio, direttore del Festival dei Diritti Umani, si è domandato dove sia finita quell’Italia. Dalla tragedia dello Tsunami del 2004 (che, ha ricordato, ha provocato qualcosa come 270 mila morti) lui ha iniziato a non sopportare più i numeri, il ricorso della stampa a presentare cifre che finiscono con spersonalizzare le tragedie. Il lavoro di Cristina Cattaneo, invece, sta lì a ricordare che ciascuna vittima è unica.
Da parte sua Cristina Giudici, giornalista, direttrice della piattaforma nuoveradici.world e autrice di “Mare Monstrum, Mare Nostrum” (edito da UTET) ha detto che il fatto di raccontare soltanto le emergenze ci ha portato alla situazione attuale di apatia e indifferenza.
Bisogna andare al di là delle emozioni. Come ha spiegato Cristina Cattaneo, i morti raccontano più dei vivi. È un paradosso macabro e tristissimo, dovuto a vari motivi, tra cui l’autocensura degli stessi sopravvissuti. Il mosaico può essere ricomposto soltanto mettendo insieme quello che dicono i resti umani con il racconto dei parenti.
A chiudere l’incontro sono state le testimonianze di due rappresentanti delle associazioni di immigrati, accomunate dalla volontà di integrazione e dal ringraziamento rivolto a tutte le persone coinvolte nelle varie fasi del soccorso e dell’accoglienza.
Saul Stucchi
Cristina Cattaneo
Naufraghi senza volto
Dare un nome alle vittime del Mediterraneo
Raffaello Cortina Editore
198 pagine, 14 €