Terza parte del reportage di Valeria Lonati sulla Palestina.
Attraverso di nuovo il Muro: stavolta con destinazione Israele. Stavolta in clandestinità. So che è un rischio, per me, ma soprattutto per lei. Ma in una situazione di ingiustizia a volte ti senti che vale la pena correre un rischio per un momento di libertà. Mary ha 30 anni e da 4 non vede il mare. Anche se è solo a un’ora di strada da casa sua. Ed è brutto ritrovarsi a cena tra internazionali e palestinesi e organizzare una gita al mare e sentire su di sé lo sguardo triste dei palestinesi che invidiano la nostra libertà. Per noi la libertà è ormai scontata. A noi nessuno vieta di andare da nessuna parte. Siamo noi artefici del nostro destino, dei nostri spostamenti. Se non ci muoviamo è perché noi non vogliamo o non possiamo, non perché qualcuno ce lo vieta. E con il passaporto europeo non abbiamo mai problemi da nessuna parte. Per noi questa facilità di movimento è scontata. Poi improvvisamente ti rendi conto di quanto siamo fortunati. Noi italiani siamo liberi. Loro palestinesi no. E quando hai questa consapevolezza, poi non puoi più fare finta di niente. Non puoi più chiudere gli occhi. E allora sai che si fa? Si va tutti insieme al mare. Anche tu Mary! Essendo cristiana, è una delle poche ad avere la possibilità di andare almeno a Gerusalemme per visitare i luoghi di culto cristiano.

Solitamente deve rientrare entro le 19, ma in alcuni giorni di festività cristiane più importanti, può rientrare anche alle 22. Così sfruttiamo questo permesso prolungato e partiamo. Ma non ci fermiamo a Gerusalemme. Proseguiamo verso la costa. Verso sud. Verso il confine con Gaza. Verso Asquelon. Perché lì andiamo a trovare una famiglia israeliana, che è stata costretta a costruire un bunker sotto casa per difendersi da eventuali lanci di razzi da Gaza. E portiamo a casa loro una palestinese. Lei è emozionata, e si sente subito libera. Appena varcato il confine si toglie la maglia a maniche lunghe, e rimane in canottiera. Questo gesto mi rimane impresso per tutto il viaggio. La diversità di libertà. È da poco che sono arrivata in questa terra e così, col naso attaccato al finestrino, come una spugna cerco di assorbire tante più immagini possibili… a volte l’immagine è chiara a volte no… prima o poi riuscirò a unire tutti i puntini e capire il senso di tutto quello che sto trovando in questa terra.

Il paesaggio dalla Palestina a Israele cambia radicalmente. Dal colore dell’aridità si passa ai colori della fertilità. Palme, fiori, verde intorno alle strade. Come? Perché? Se non c’è acqua in un punto perché dopo solo due metri c’è? Diversità di accesso alle risorse. Sono sempre più stupita e non faccio altro che domandare. Cosa sono quegli agglomerati di case con i tetti rossi? Che ci fanno i tetti rossi spioventi qui? C’è poca acqua, non serve farla scorrere, servono le cisterne sui tetti piatti come nelle case palestinesi, o non ho capito nulla?

Ah, quelle sono le famose colonie. Sono ebrei che arrivano da tutte le parti del mondo per il richiamo della terra promessa. E per sentirsi più a casa loro, costruiscono case come quelle dove sono nati. Diversità di necessità. Ma queste case mi pare di averle viste anche al di là del muro, nei territori palestinesi. O mi sbaglio? No, purtroppo non mi sbaglio. E inizio ad accorgermi del problema, quello che ferma tutti gli sforzi verso la pace. L’occupazione. Diversità di visioni. Neanche un’ora di viaggio e mille questioni su cui riflettere. E ancora non siamo arrivati ad Asquelon.
Testo e foto di Valeria Lonati