Giovedì 18 maggio si è tenuta all’Instituto Cervantes di Milano la presentazione del libro “Nell’ora violetta” di Sergio del Molino (edito da Sellerio). A dialogare con l’autore spagnolo c’era lo scrittore, giornalista e traduttore Bruno Arpaia.
La storia di Pablo
Arpaia ha esordito ricordando come ha conosciuto del Molino: alcuni anni fa si è imbattuto nel suo blog e pur avendo l’abitudine di non contattare gli scrittori se non indispensabile per ragioni professionali, decise di scrivergli, attratto dai suoi “fuochi d’artificio” letterari.
[codice-adsense-float]Per introdurre “Nell’ora violetta” ne ha letto la prima pagina, in modo da anticipare ai presenti che non l’avessero ancora letto il tema del libro, con le parole dello scrittore stesso che ne è anche il protagonista.
È un’appassionata lettera al figlio Pablo, il resoconto di un’esperienza tragica e insieme la ricerca di una parola che non esiste nel dizionario, quella che dovrebbe definire i genitori che perdono un figlio. Storia di dolore, di rabbia, d’amore e forse di speranza, ha detto Arpaia. Ma l’autore non usa la scrittura come terapia, vero?
In effetti è una domanda che gli pongono spesso, ha risposto del Molino. Personalmente non crede che la scrittura sia terapeutica. Lui ha scritto questo libro perché è uno scrittore, non perché sperasse nel potere terapeutico della scrittura.
Ha voluto affrontare l’imperativo della nostra società: vivere sempre felici e in perfetta salute. Subiamo costantemente una pressione enorme con fenomeni di aperta intolleranza verso l’espressione del dolore.
Costruire e abbattere stereotipi
Arpaia si è detto d’accordo, notando quanto la nostra società sia pervasa di morte pur non accettandola e facendone un tabù. Ha poi ricordato l’episodio, raccontato da Sergio nel libro, del suo incontro con i genitori del ragazzo ucciso nell’attentato alla stazione madrilena di Atocha nel 2004. Da quei genitori lo separava una barriera idiomatica molto più alta rispetto a quella tra spagnolo e italiano.
Da giornalista ha imparato le tecniche per creare stereotipi, per farsi raccontare dai parenti delle vittime le loro storie in modo che corrispondano allo schema tradizionale che il lettore si aspetta. La letteratura, ha detto del Molino, gli permette di rompere questi stereotipi, anche raccontando storie personali che lo avvicinino senza mediazioni ai lettori.
È questo il bello della letteratura, ha aggiunto: ti fa credere di capire le cose. Ma è un inganno. Se leggi “Guerra e pace” in realtà non comprendi le guerre napoleoniche, solo ti illudi di riuscirci.
“Nell’ora violetta” non è la descrizione pura e semplice di quanto gli è capitato. È un’elaborazione letteraria. Chi ha veramente frequentato un reparto di oncologia pediatrica come quello in cui è stato ricoverato Pablo sa quanto l’autore ha taciuto.
Non solo dolore: musica e ironia
Il compito della letteratura, ha proseguito del Molino, è mettere ordine nel caos e il mestiere dello scrittore consiste nell’elaborare i fatti, modellandoli attraverso la finzione narrativa.
Arpaia si è poi soffermato su un altro punto importante: del Molino evita di abbandonarsi al pensiero magico, ma neppure ha fiducia cieca nella scienza. La sua è una lotta alle metafore e ai luoghi comuni (e scusate la metafora!).
Fondamentale è stata la lettura di “Malattia come metafora” di Susan Sontag, un’approfondita analisi dell’utilizzo delle metafore per parlare della malattia. Sergio si è chiesto: Come fa a “lottare” contro una malattia, a essere un “lottatore” un bambino di un anno?
L’ospedale è un luogo non cartografato nella mappa della nostra società, è uno spazio vuoto. C’è una barriera invalicabile tra chi vive e soffre dentro e quelli che vivono fuori.“Nell’ora violetta” è una forma di cartografia, di esplorazione del mondo ospedaliero.
Abbattere la barriera è un’espressione (anche questa metaforica…) che è ricorsa spesso durante la presentazione. L’eliminazione degli aggettivi, proprio come in Primo Levi, serve all’autore per avvicinare il lettore alla realtà del fatto raccontato. Con lo stesso obiettivo Sergio ha usato spesso nel libro la figura dell’ellissi, omettendo dettagli, termini e fatti che non potesse descrivere nel modo “sobrio” che si era imposto. La morte di Pablo, non raccontata, è l’ellissi più grande.
C’è invece tanta musica, ha osservato Arpaia. È vero, ha confermato del Molino. In tutti i suoi libri la musica è una presenza costante, così come lo è in casa sua. Ricorre, a volte anche inconsapevolmente, alla cultura pop che l’ha formato per filtrare fatti e sentimenti. E i lettori danno significati ai suoi libri allo stesso modo in cui lui dà significati personali ai testi delle canzoni che ama.
E naturalmente non manca l’ironia. “Naturalmente” perché anche in una situazione drammatica e tragica come quella che ha vissuto la sua famiglia non mancano momenti e situazioni di allegria e addirittura felicità (un’altra lezione di Primo Levi: anche nella tragedia si può essere felici).
“Nell’ora violetta” non è la foto statica di un dolore. Al contrario i momenti allegri e ironici danno profondità al dramma. Perché la (buona) letteratura è come la vita.
Saul Stucchi
- Sergio del Molino
Nell’ora violetta
Sellerio
2017, 232 pagine, 16 €