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Voi siete qui: Biblioteca » I nemici delle biblioteche non amano i giardini

25 Aprile 2021

I nemici delle biblioteche non amano i giardini

Anche questa settimana “L’ALIBI della domenica” è dedicato alle biblioteche.

Le biblioteche, come i libri che esse custodiscono, hanno molti nemici: il fuoco e l’acqua, il tempo e gli animali, dai tarli ai topi. Il più pericoloso di tutti, però, è l’uomo. Pensiamo subito a ignoranti oscurantisti armati di fiaccole, pronti a scagliarle contro scaffali, librerie ed espositori, ma – purtroppo – il fronte dei nemici è molto più ampio e articolato.

Ci sono nemici delle biblioteche che se ne tengono il più lontano possibile, giudicandole luoghi di perdizione e fucine di menzogne. Ma anche altri che non si fanno problemi a frequentarle, di quando in quando, o addirittura ci lavorano! A quest’ultima categoria si riferisce Luciano Canfora nelle pagine iniziali di “Libro e libertà”, pubblicato da Laterza nel 2005. L’esimio professore racconta un paio di aneddoti su altrettante disavventure occorsegli da lettore (e che lettore!) in terra di Francia, paese peraltro dalla gloriosa tradizione libraria e bibliotecaria.

Luciano Canfora, Libro e libertà, Laterza

Basterebbero gli aneddoti raccontati da Canfora a smontare e smentire la credenza secondo la quale chi frequenta una biblioteca ipso facto ama i libri e più in generale la cultura. Non è infrequente invece constatare una sorta di gelosia da possesso da parte di bibliotecari e altri operatori del settore. Non parliamo poi di quelli delle biblioteche universitarie! Per uno studente entrare nelle loro grazie è impresa più ardua che accedere a quelle dei futuri suoceri!

Uscire a mani vuote

Io stesso ho ancora fresco il ricordo di un episodio a cui ho assistito almeno un quarto di secolo fa nella Biblioteca di Sesto San Giovanni. Quando una studentessa si presentò al banco con una pila di libri di un solo autore (forse Shakespeare) sul quale doveva fare una ricerca, la bibliotecaria si mostrò titubante sull’opportunità di registrarne il prestito finché non intervenne l’addetta al guardaroba (!) che espresse con voce stentorea la sua contrarietà, motivata – secondo lei – dal danno compiuto verso altri, potenziali, lettori.

La bibliotecaria s’inventò allora una posizione mediana, consentendo alla studentessa soltanto il prestito di una parte dei libri. La studentessa non la prese bene e decise di abbandonare l’intera pila di libri, uscendo a mani vuote dalla biblioteca.

Ho sempre pensato a quell’episodio come l’esemplificazione di quello che non va nelle biblioteche pubbliche. Spesso le procedure per l’iscrizione e l’ottenimento della tessera, la ricerca di un volume, la richiesta di aiuto per capire come muoversi nei meandri dei locali e in quelli dei cataloghi, la compilazione del modulo per il prestito (per via telematica o ancora in forma cartacea) sembrano fatte apposta e a volte – è il mio sospetto e quello di Canfora, je crois – lo sono!

Vedere un utente uscire a mani vuote da una biblioteca è una sconfitta per tutti: per il bibliotecario, per l’utente stesso e per la società nel suo insieme. Pur avendo già un bel po’ di libri in casa, con una pila piuttosto alta di titoli da leggere e recensire sulla scrivania (tra cui il nuovo libro di Canfora, “La conversione. Come Giuseppe Flavio fu cristianizzato”, pubblicato da Salerno Editrice), cerco di non uscire mai da una biblioteca senza almeno un volume in mano.

Proprio per scongiurare questo pericolo nelle biblioteche organizzate meglio ci sono espositori prima dell’uscita (che in molti casi, ma non sempre, coincide con l’ingresso). Esattamente come nei pressi delle casse dei supermercati sono strategicamente collocati degli espositori per invogliare i clienti all’acquisto d’impulso.

Biblioteche-biblioteche

Non ci sarebbe neanche il caso di spiegarlo (tantomeno ai miei colleghi giornalisti che, per ragioni di cronaca, dovessero occuparsi di biblioteche), ma mi sto accorgendo in questi ultimi tempi che un’evidenza per me lapalissiana è invece una nozione tutt’altro che scontata (e siamo al secondo “purtroppo” del pezzo). Le biblioteche organizzate meglio sono quelle pensate, progettate e realizzate per essere biblioteche e non edifici nati con altri scopi e poi adattati a questa funzione.

Voi conoscete qualche biblioteca-biblioteca? Fateci caso: sono molto meno numerose di quanto crediate (terzo “purtroppo”!). Io ho la fortuna di conoscerne una da molto vicino e vorrei continuare ad avere questo diritto che qualcuno considera invece un privilegio da ridimensionare.

Pensiamo adesso agli ospedali, per stare in un ambito di drammatica attualità. Desta meraviglia constatare quanto numerosi siano gli edifici vecchi, vecchissimi, vetusti o addirittura antichi, arrangiati alla bisogna. Quelli moderni, con tutte le pecche che possono avere – essendo opera dell’uomo e dunque non perfette – sono decisamente migliori di quelli vecchi.

Domanda: a voi verrebbe in mente di alloggiare in un ospedale di ultima generazione una struttura autonoma ad esso aliena, che ne so, un ristorante? O gli uffici del catasto? O la sede dei vigili urbani? Non accanto, nei pressi, in simbiosi con, ma DENTRO, al posto di una buona parte – magari la metà! – della struttura dell’ospedale?!

A me non verrebbe in mente. Non solo, faticherei anche a capirne il senso. Anzi, magari lo capirei fin troppo bene. Molto meno capirei l’insipienza di chi, per tornaconto personale, pavidità, ignoranza o placidità di pensiero non muovesse un dito per contrastare un’idea tanto balzana.

Come un giardino

“Si hortum cum bibliotheca habes nihil deerit”: “se accanto alla biblioteca hai un giardino, non ti mancherà nulla”, ha scritto Cicerone in una lettera inviata a Varrone nel giugno dell’anno 46 a.C., dalla sua casa a Tuscolo (Epistulae ad familiares IX, 4). (A Marco Terenzio Varrone, sia detto di passaggio, in quel torno di anni Giulio Cesare affidò la costituzione di due biblioteche, una avrebbe ospitato i testi greci e l’altra quelli latini).

A ben vedere, forse, possiamo paragonare una biblioteca non solo a una forma di paradiso, come sognava Borges, o a una fornace, come dice uno dei personaggi del film “The Limehouse Golem – Mistero sul Tamigi” di Juan Carlos Medina. Ne ho scritto nell’editoriale di domenica scorsa, intitolato appunto “La biblioteca? Paradiso e fornace, non magazzino!”.

Possiamo paragonare una biblioteca anche a un giardino, ricco di fiori e piante di colori, forme, dimensioni diversi tra loro. Naturalmente – è il caso di dire – c’è chi predilige i giardini all’italiana o “formali” e chi quelli all’inglese. Ma chi avrebbe il coraggio di dire che un giardino “è troppo grande” e si spingerebbe a sacrificarne metà per costruirci la casa del giardiniere?

Saul Stucchi

Luciano Canfora
Libro e libertà
Laterza
2005, pagine XV-81
7,50 €

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