Chiuderà il 7 febbraio 2016 la mostra Da Raffaello a Schiele. Capolavori dal Museo di Belle Arti di Budapest, ospitata al Palazzo Reale di Milano. Non perdetela assolutamente perché è splendida.
Il percorso espositivo s’inaugura col botto, squadernando alcuni capolavori del Cinquecento veneto (veneziano), dipinti da Tiziano, Paolo Veronese, Giovan Battista Moroni. Come le altre grandi raccolte europee la Collezione Esterházy, nucleo del Museo di Budapest, vanta molte opere venete, ritenute indispensabili. Giustamente; impossibile non concordare!
Il visitatore può confrontare la mano del “cittadino” Tintoretto con quella del “provinciale” Jacopo Bassano: due opere sacre vicine nel tempo ma lontane nello spirito e intanto immergersi nel “grande fiume di colore” della pittura veneta del Cinquecento, come dice il curatore Stefano Zuffi nell’audioguida fornita insieme al biglietto d’ingresso.
Naturalmente i visitatori milanesi saranno particolarmente interessati al tema dell’eredità di Leonardo a Milano e ammireranno il bronzetto a lui attribuito e il suo disegno con studi per le teste di due soldati nella “Battaglia di Anghiari” (1504-05 circa).
Ma ecco il capolavoro dei capolavori conservati a Budapest: la Madonna Esterházy di Raffaello, “gemma più preziosa in assoluto del Museo” (dice Zuffi). Nell’estate del 1508 Raffaello, venticinquenne, lasciava Firenze dopo quattro anni intensi e arrivava a Roma. Fu forse nell’Urbe che terminò la splendida tavola. Sullo sfondo si riconoscono le rovine romane dei Fori, forse dipinte dal vero. Cuore della sezione dedicata al Rinascimento italiano, la tavola è un gradito ritorno a Milano, dopo l’esposizione a Palazzo Marino.
Procedendo lungo il percorso ci si accorge che l’allestimento suggerisce, anzi sollecita, confronti. Per esempio tra Luini e Bedoli. Il bronzetto di un guerriero a cavallo attribuito a Leonardo dialoga con Il ratto d’Europa di Andrea Riccio, esposti in due teche contrapposte. Quello del Riccio potrebbe benissimo essere un pezzo antico. Il riflesso sulle teche permette di goderseli insieme.
Ecco Il pranzo di Velázquez (1618-19) che rivela la centralità di Roma. Il pittore spagnolo conosceva già Caravaggio, pur non essendo ancora venuto nell’Urbe. La Cena in Emmaus del grande lombardo viene tradotta in un ambiente domestico e l’episodio evangelico diventa un momento della vita di tutti i giorni.
La terza sezione porta nel cuore del Rinascimento in Europa. Qui s’impongono Dürer e Cranach il Vecchio e anche qui ci fermiamo davanti a due opere che hanno lo stesso tema: il Compianto di Cristo morto.
Di sala in sala cresce la consapevolezza di avere il privilegio di sfogliare le pagine di un vero e proprio manuale della storia dell’arte occidentale: questo è la mostra! Gli occhi vagano da un quadro all’altro: Giaele e Sisara di Artemisia Gentileschi, Cristo e la Samaritana di Annibale Carracci, il Ritratto del doge Marcantonio Trevisan di Tiziano, la Maddalena penitente di Dominikos Theotokopoulos detto El Greco.
Le sezioni successive (il primo Seicento, l’Europa barocca, il Settecento) sono tutte piccole, quasi veloci riassunti, “the best of”. E si corre verso il Romanticismo e il Simbolismo, prima di giungere all’Impressionismo e alle Avanguardie.
Molto bello lo scorcio che permette di vedere da una parte i Giocatori di carte di Nicolas Régnier e dall’altro capo del corridoio la Donna con gabbia di József Rippl-Rónai. L’allestimento è molto scuro, con un’illuminazione “teatrale” delle opere.
La superba Salomè di Lucas Cranach il Vecchio è una cortigiana e non una ballerina; la natura che la circonda pare non subire effetti dalla decollazione del Battista e sullo sfondo scorre pacifico il bel Danubio blu, con tanto di barchetta.
Fermiamoci incantati davanti all’Adorazione dei pastori del Bronzino, campione del Manierismo fiorentino, per ammirarne il “disegno fine e particolareggiato”, il “modellamento scultoreo”, il “colorito particolare”, la “ricercata eleganza delle figure”, la “superficie con effetto smaltato” e “l’evocazione dei grandi predecessori”: il pastore in primo piano – dice la didascalia – rimanda al Torso Belvedere. È vero; ma anche il San Giuseppe! Naturalmente le vesti di Giuseppe e di Maria e la volta celeste sono in lapislazzuli.
Il Muzio Scevola di Rubens si trova di fronte il Ritratto di coniugi di Van Dyck che ha collaborato all’opera del maestro: ancora non siete sazi?
E allora eccovi la Piazza della Signoria a Firenze del Bellotto! No: l’uomo con il cappotto viola nell’angolo in basso a destra che stende il bastone non si sta facendo un selfie nella piazza più celebre della città! Di fronte è esposto il quadro dello zio Canaletto con una veduta del Molo a Dolo.
A dire il vero in mostra non ci sono solo quadri, ma anche qualche scultura. Sono poche, ma significative, come l’autoritratto in bronzo dello scultore austriaco Messerschmidt, “singolarissimo” (lui e l’autoritratto, realizzato con le smorfie di uno sbadiglio clamoroso, fuori da ogni canone. A me personalmente ha ricordato la galleria di autoritratti di Jan Fabre che ho visto qualche mese fa a Bruxelles; si potrebbe forse dire che Fabre sia un lontano epigono di Messerschmidt).
E poi la pala d’altare con San Giacomo del Tiepolo, commissionata dall’ambasciatore spagnolo a Londra, che però rifiutò il quadro perché non gli piacque. O perché era troppo grande? La didascalia e l’audioguida dicono a questo proposito due cose diverse.
Di Goya sono esposte le opere intitolate: Arrotino, Portatrice d’acqua, Ritratto di Manuela Camas y de la Heras.
In mezzo a tanti capolavori internazionali le opere dei pittori ungheresi rimangono purtroppo in secondo piano. Del resto, come non soffermarsi su L’angelo della vita di Segantini o sulle Sirene di Rodin?
Per non parlare dell’ultima sala che saluta i visitatori con fuochi d’artificio. Vi bastino i nomi di Cézanne, Monet, Manet, Gauguin, van Gogh, Schiele, Kokoschka…
Cosa fate ancora lì?
Saul Stucchi
DIDASCALIE:
- Raffaello Sanzio
Madonna col Bambino e san Giovannino (Madonna Esterhazy), 1508 ca.
Tempera e olio su tavola, 28,5 x 21,5 cm
©Museum of Fine Arts, Budapest 2015 - Diego Rodríguez De Silva Y Velázquez
Il pranzo, 1618-1619 ca.
Olio su tela, cm 96 × 112
©Museum of Fine Arts, Budapest 2015 - Anthonis Van Dyck
Ritratto di coniugi, 1618 ca.
Olio su tela, cm 112 × 131
©Museum of Fine Arts, Budapest 2015
DA RAFFAELLO A SCHIELE
Capolavori dal Museo di Belle Arti di Budapest
Fino al 7 febbraio 2016
Orari:
- lunedì 14.30 – 19.30
- martedì, mercoledì, venerdì e domenica 9.30 – 19.30
- giovedì e sabato 9.30 – 22.30
Biglietti: intero 12 €; ridotto 6 €
Palazzo Reale
Piazza del Duomo 12
Milano
Informazioni:
www.daraffaelloaschiele.it