Fino al 6 gennaio 2026 alla GAM (Galleria d’Arte Moderna) di Catania sarà possibile visitare la mostra La cultura e il diavolo, l’arte di Giuseppe Fava tra impegno civile, politico e intellettuale.
Voluta dalla Fondazione Giuseppe Fava, a cura di Vittorio Ugo Vicari, docente all’Accademia di Belle Arti di Catania, in collaborazione con il Comune e patrocinata proprio dall’Accademia, all’inaugurazione erano presenti anche il direttore Gianni Latino, Giuseppe Maria Andreozzi che è il responsabile dell’Archivio Storico Giuseppe Fava di Gravina di Catania, il vicepresidente della Fondazione Maria Teresa Ciancio.
Naturalmente era presente anche il Comune di Catania, rappresentato da Paola Di Caro. L’esposizione, fatta per celebrare il centesimo anniversario dalla nascita, si compone di trentacinque opere, che spaziano dai dipinti a olio alle incisioni, molte inedite e altre prestate dall’archivio storico Giuseppe Fava di Gravina.

La mostra vuole fare emergere i lati meno noti del giornalista, ucciso da Cosa Nostra il 5 gennaio del 1984 che dal punto di vista artistico, come del resto anche da quello giornalistico, ha saputo raccontare i più disparati personaggi che compongono la società. Mafiosi, operai, faccendieri ecc., in maniera diretta e senza pregiudizi.
La mostra ha come obbiettivo quello di inserire Giuseppe Fava tra i più grandi intellettuali italiani del Secondo dopoguerra, per via del suo grande contributo nei campi più diversi. Le opere ripercorrono praticamente tutta la vita del giornalista, con lavori che vanno dal 1933, vale a dire quando Giuseppe Fava aveva solo otto anni, fino ad arrivare a lavori eseguiti poche settimane prima di morire.
Come detto prima, questa mostra vuole fare emergere altri aspetti di questa figura, caratterizzata da diverse sfaccettature. Fava era un amante della vita, delle persone, del buon cibo, della natura, delle diverse tradizioni popolari, acuto osservatore della realtà che lo circondava, e ciò naturalmente si intrecciava con l’impegno antimafia.
Giuseppe Fava, nelle sue infinite inchieste giornalistiche, raccontava la Sicilia più povera, più emarginata, narrava di territori in condizioni di invivibilità da un punto di vista igienico, ancora alla fine degli anni Settanta e nei primi anni Ottanta.
Ha raccontato l’incredibile fenomeno dell’emigrazione, che di fatto ha caratterizzato sia città che campagne, e che ha lasciato solo anziani, bambini malati e donne. Ma non ci sono solo storie negative, abbiamo esempi di racconti che parlano di diversi territori che sono diventati dei modelli da esportare, grazie alla grande volontà da parte della popolazione, di creare delle innovazioni, è il caso di paesi come Vittoria, Ragusa, Mazara del Vallo e Sciacca, realtà che purtroppo hanno rappresentato sporadiche eccezioni.
Giuseppe Fava ha raccontato anche la bellezza dei diversi panorami siciliani a 360 gradi, con un’incredibile capacità di scrittura, per fare un esempio la narrazione di un viaggio da lui intrapreso nel 1983, pubblicato successivamente sulla rivista I Siciliani, dal titolo Sulle strade del buon mangiare in Sicilia.
In questo racconto Fava attraversa i territori di Palazzolo Acreide, Buccheri, Chiaramonte Gulfi e Vittoria, e scrive una storia fatta di buon cibo e vino, e di personaggi fantasiosi. In questa mostra troviamo tutto ciò di cui si è parlato prima, con opere realizzate con diverse tecniche: olio su tela, matita e inchiostro su carta.

Descrivendo brevemente qualche opera, per esempio abbiamo Vecchi compagni, eseguita con la tecnica dell’inchiostro e matita su cartoncino, parte di una serie che va dal 1965 al 1977, e raffigura due anziani militanti del Partito Comunista. Sui loro volti, possiamo notare i segni delle tante battaglie fatte per i diritti, l’amore e la passione per un’idea.
Un’altra opera molto particolare, è L’adultera del 1965, esuguita con la tecnica dell’olio su tela, che descrive una donna inserita in uno sfondo naturale, in questo sfondo alla sua sinistra spunta una rosa rossa. Il volto di questa donna è segnato dalla sofferenza, di un amore malato o chissà, ma la rosa potrebbe simboleggiare una speranza d’amore per il futuro.
Un’altra opera è un autoritratto del 1983 che raffigura Fava con una sigaretta, eseguito con la tecnica dell’inchiostro e matita su carta.
Molto particolari, sono i lavori del Fava bambino, per esempio Mio Mao, che raffigura un racconto a fumetto, che fa intravedere quello che sarà lo stile narrativo dello scrittore. Vi sono opere che raccontano l’emancipazione femminile, la vita sociale, troviamo diversi ritratti che narrano la vita della povera gente, figure femminili che ballano e si divertono, l’emancipazione detta poc’anzi, nudi di donna, persone, bambini anziani insomma la società in tutte le sue sfaccettature.
Come si è detto prima, Giuseppe Fava ha raccontato la Sicilia a 360 gradi, andando in profondità nelle questioni, pagando un prezzo altissimo. Fondatore della rivista I Siciliani, giornale di denuncia contro il malaffare mafioso catanese e non solo, oltre che giornalista e scrittore, è stato anche un prolifico autore di teatro, e importante sceneggiatore, in questo senso va citato il film Palermo or Wolfsburg, del regista Werner Schroeter, considerato uno dei padri del Nuovo Cinema Tedesco, di cui il giornalista ha scritto la sceneggiatura, oltre a essere l’autore di Passione di Michele, da cui è stato tratto il film che ha vinto l’Orso d’oro al Festival del Cinema di Berlino.
Una settimana prima di morire, Fava ha raccontato a Enzo Biagi, nel corso della trasmissione Film Story andata in onda nella TV Svizzera Italiana, dei rapporti della mafia con i poteri politici ed economici, cose che poi verranno alla luce molti anni più tardi.
La mostra si può visitare dal lunedì al giovedì dalle ore 16.00 alle ore 20.00, il venerdì e il sabato l’orario si prolunga fino alle 21.00. In mattinata, la mostra si può vedere solo su prenotazione da parte di scuole e vari gruppi organizzati.
Dario Salanitro