Ieri sera, nella Sala della Passione della Pinacoteca di Brera a Milano, è stato presentato il libro “Il mistero Arnolfini” di Jean-Philippe Postel, edito da Skira nella collana Storie (con una breve prefazione di Daniel Pennac).
Sala gremita, a dimostrazione dell’interesse che suscita nel grande pubblico la tavola dipinta da Jan van Eyck nel 1434, dal 1843 esposta alla National Gallery di Londra.
Daverio ha confessato di non aver letto il libro, fedele a una regola che si è imposto per i libri che deve presentare. Il motivo di questa scelta è semplice: così facendo non rischia di rivelare troppo ai presenti, potenziali acquirenti del volume.
Diciamo che in questo caso avrebbe forse fatto meglio a fare un’eccezione per rendere più comprensibile al pubblico la ragnatela di riferimenti che l’autore tesse attorno al quadro. Postel, ha ricordato in principio Daverio, non è uno storico dell’arte, bensì un medico generalista, uno di quelli “con la borsa”, ha scherzato. Il che è un vantaggio, dal suo punto di vista. Nella sua professione Postel deve infatti affrontare la realtà nel suo complesso e questa caratteristica lo avvicina al vero storico dell’arte, non all’iper-specialista che perde di vista il quadro generale.
Daverio gli ha riconosciuto il coraggio di affrontare un “mito”, un quadro “interpretato” dai più importanti storici dell’arte, tra i quali dobbiamo almeno citare Erwin Panofsky.
Lo specchio
[codice-adsense-float]La presentazione vera e propria ha preso avvio dallo specchio alle spalle della coppia dei protagonisti che generalmente indichiamo come i “coniugi Arnolfini”. Lo specchio è un elemento che compare anche nel “più fiammingo dei pittori italiani”, ovvero il Parmigianino, ha fatto notare Daverio, riferendosi all’autoritratto conservato al Kunsthistorisches Museum di Vienna.
Poi Postel è passato a parlare del cagnolino in primo piano, l’unico essere vivente a guardare verso gli spettatori. L’animale non è però riflesso nello specchio! Perché? Questa è soltanto una delle cinque differenze che l’autore ha individuato tra la scena in primo piano e il suo riflesso nello specchio convesso.
La tesi di Postel è che la verità non stia nella camera bensì nello specchio.
Daverio ha ricordato che il quadro era approdato alla corte di Madrid, dove lo vide Velázquez che ne rimase talmente affascinato da citarlo nel suo capolavoro “Las Meninas”.
Chiave interpretativa è dunque lo specchio che rappresenta, secondo Postel, la donna come un’apparizione, una revenante che torna dal Purgatorio per chiedere al marito che interceda per lei con preghiere e suffragi.
Il lampadario
Particolarmente importante è il ruolo del lampadario che divide in due parti la scena del quadro. In quella di sinistra (per lo spettatore) Postel individua la sfera dei vivi, mentre quella di destra farebbe riferimento alla sfera dei morti.
A confermare questa lettura almeno due elementi: l’unica candela accesa sul lampadario sta dalla parte dell’uomo. Dalla parte della donna, invece, c’è un moccolo mezzo consumato e spento. Inoltre le scene dei medaglioni che coronano lo specchio, con scene dalla Passione, si possono riferire a Cristo vivo nella parte di sinistra e a Cristo morto in quella destra.
L’incontro si è chiuso con Daverio che ha citato una poesia di Baudelaire, pubblicata nella raccolta “I fiori del male”. S’intitola “Corrispondenze” e inizia così:
La Nature est un temple où de vivants piliers
Laissent parfois sortir de confuses paroles;
L’homme y passe à travers des forêts de symboles
Qui l’observent avec des regards familiers.
Davvero la tavola dei “Coniugi Arnolfini” è una foresta di simboli. Il libro di Postel è una mappa per orientarcisi e merita una recensione a parte, più approfondita. Pazientate un poco e l’avrete.
Saul Stucchi
- Jean-Philippe Postel
Il mistero Arnolfini
Indagine su un dipinto di Van Eyck
prefazione di Daniel Pennac
Skira
Collana Storie
2017, 128 pagine
16 €