Con il testo “Viaggio a Porto, Braga e Averio” il nostro collaboratore Marco Grassano ha vinto la sesta edizione del Premio Letterario Internazionale Casinò di Sanremo Antonio Semeria per la sezione “Narrativa inedita”. Pubblichiamo qui il testo del suo intervento, congratulandoci con l’autore per il prestigioso riconoscimento.

Non faccio lo scrittore di mestiere, e probabilmente non sarei neppure in grado di farlo. Il mio lavoro è quello di funzionario presso la Direzione Ambiente della Provincia di Alessandria. Mi occupo di tutela e valorizzazione risorse idriche, ossia di acqua: dai pozzi e prelievi fino alla depurazione e allo scarico. La mia attività professionale, che peraltro mi piace, mi fornisce però un’attenzione specifica nel mettere a fuoco certi dettagli, certi aspetti, quando osservo o (de)scrivo.
Qualcuno, leggendo questo mio testo, mi ha infatti domandato per quale curioso motivo vi si trovi sovente registrata la presenza di fontane, o di fogne, o di depuratori. Ecco, si tratta di particolari che io noto perché di queste cose mi occupo ogni giorno. Ma va anche detto che l’acqua corrente costituiva un elemento fondamentale – ad esempio – per gli insediamenti abitativi romani. Nessuno di quelli di cui ci sono rimaste le vestigia risulta privo di acquedotto e di cloaca. E lo stesso potrebbe dirsi dei borghi o rioni di origine araba che si trovano in Spagna e in Portogallo.
Per me la scrittura è una difesa della memoria, una lotta contro l’oblio. Quella che perseguo è una scrittura di annotazioni visive (ma anche sonore, olfattive, tattili, gustative…) per fissare istanti che altrimenti si perderebbero nel nulla. Non istanti della mia quotidianità, che non mi interessa riferire, e nemmeno immagini che la mia fantasia può ricavare elaborando la mia quotidianità.
Quel che cerco di raccontare è la quotidianità – magari piatta, banale – degli spazi altrui, che per me però diventa eccezionalità quando la attraverso in qualche viaggio. Non invento personaggi, che sarebbero comunque proiezioni di me stesso, ma lascio il posto alle persone che vivono in quella quotidianità da me incrociata, cercando di evitare che spariscano nel vuoto e nel silenzio della Storia non scritta. Così ho fatto raccontando Lisbona, la Provenza, Malta, l’Olanda, Creta… e anche, qui, Porto.
Un quarto di secolo fa, proprio a Lisbona, mi trovai a discutere con alcuni amici autoctoni sul fatto che tutti sapessero chi era il Marchese di Pombal, promotore della ricostruzione della città dopo il terremoto del 1755, mentre degli artigiani (muratori, falegnami, fabbri…) che avevano materialmente edificato i nuovi palazzi si era persa ogni memoria. E pensare che senza la loro attività non si sarebbe fatto nulla.
Ecco, proprio questi individui minori sono i personaggi che animano le mie pagine, innescando magari cortocircuiti con altre parole letterarie, precedenti e ben più importanti. Nel libro su Porto, per esempio, il mendicante assai dignitoso con cui ho conversato nella piazza della Cattedrale mi ha ricordato il questuante, ugualmente dignitoso, che lo scrittore tedesco Reinhold Schneider aveva incontrato, nello stesso luogo, novant’anni prima. La malinconica ragazza che ci ha serviti nel caffè di Braga mi ha fatto pensare a una nota canzone di Guccini. Il cameriere dell’osteria dirimpetto alla Riserva Naturale di Aveiro, così onesto da commuovermi, mi ha ricondotto tra gli acquitrini ferraresi in cui è ambientato L’Airone di Giorgio Bassani…
Un ricordo particolare lo voglio dedicare, qui, ai due anziani gestori di una libreria antiquaria in procinto di essere chiusa. Cito direttamente dal testo:
Percorriamo la via in cui inizia la coda dei fans di Harry Potter. Carico e scarico merci, vetrine varie, auto parcheggiate, alberelli. Arriviamo in Rua de Santa Teresa. Poco più in là, ecco che cambia nome e diventa Rua da Fábrica. Proprio qui, mi sono ripromesso di visitare la libreria antiquaria Sousa & Almeida. Ho visto, qualche settimana fa, un servizio alla TV portoghese in cui si annunciava la chiusura dello storico esercizio, dopo più di 60 anni, perché l’edificio che lo accoglie è stato acquistato da un vicino albergo, a sua volta assorbito da una catena multinazionale. (…)
Arriviamo, poco dopo, al numero 42, la Sousa & Almeida che cercavo. All’interno, gli scaffali in legno marrone sono quasi vuoti. Saluto, stringendo loro la mano, il titolare ottantanovenne, Joaquim de Oliveira Almeida, e la moglie, Maria de Fátima Cruz.
“Vengo dall’Italia, ma sono uno spettatore della RTP. Ho visto una Sua intervista, quando è stata data la notizia della chiusura. Sono in visita qui a Porto, e volevo comprare dei libri, para ficar com alguma lembrança…”.
“Eh, ormai può trovare assai poco; abbiamo già venduto, praticamente in blocco, i quasi 20.000 volumi che avevamo raccolto. Purtroppo dobbiamo lasciare liberi i locali entro ottobre…”.
I due anziani appaiono sobriamente immalinconiti. Di qui è transitata una parte significativa della cultura portoghese del Novecento, e io pronuncio a vuoto scipite frasi di circostanza (“É pena, mas assim é a vida, o que é que podemos fazer…”) perché non so come consolarli di una perdita che significa, in pratica, la fine della loro esistenza. Scelgo, al prezzo di soli 4 euro, un’antologia del poeta brasiliano Jorge de Lima, pubblicata nel 1964 dalla libreria stessa. Evidentemente, all’epoca svolgeva la funzione parallela di editore. La signora Maria mi infila il libro in una busta gialla con l’intestazione della ditta in blu. Anche questo dettaglio diventa un ricordo triste. Mi congedo con una seconda stretta di mano, poggiando contemporaneamente la sinistra sulla loro spalla, per trasmettere un po’ di empatia, di solidarietà. Ben misero conforto, questo che posso offrire. Mi lascia solo l’amaro in bocca.
Ma, oltre a questi momenti di commozione, mi capita spesso di annotare l’intensa gioia che si prova esplorando un territorio sconosciuto, che viene poi analizzato e acquisito in sede di scrittura.
Girando fra le case e i vicoli di Porto, ho riscontrato una serie di analogie, onomastiche e visive, con la Liguria – sia Genova che l’estremo Ponente Imperiese. C’è la Ribeira, ossia la Ripa, i cui portici somigliano appunto a quelli di Sottoripa. E, appena oltre, c’è il Cais da Estiva, come dire Molo del Caricamento. Ci sono le creuze, che in Portogallo si chiamano azinhagas ma si inerpicano ugualmente fra ciechi muri di pietra. Ci sono angoli di città che fanno pensare a Perinaldo o Rocchetta Nervina, e altri che ricordano Bordighera.
Genova e gli estremi villaggi ponentini mi richiamano al ricordo due persone che per me sono state importanti. Il capoluogo ligure ho imparato a conoscerlo grazie al caro amico Mario Mantelli, che purtroppo ci la lasciati lo scorso 24 aprile. Mario, a Genova ci aveva fatto il militare. Ogni tanto, ci prendevamo una giornata di pausa dal lavoro e dalla famiglia e ce ne andavamo a camminare tra vie, piazze e carruggi, giardini pieni di sole e chiese fresche d’ombra.
Queste passeggiate, ora, mi mancano. I paesini di pietra del Ponente, invece, me li ha fatti scoprire Francesco Biamonti: dapprima attraverso i suoi libri, poi, dopo averlo conosciuto di persona, accompagnandomi direttamente o fornendomi precisi e preziosi suggerimenti su dove andare e cosa vedere. Ogni tanto ci torno, da quelle parti, e ogni volta con intensa emozione. Ci sono stato ancora a febbraio, poco prima del confinamento.
Quando viaggio o giro in luoghi nuovi, il mio sguardo scatta come un otturatore e fissa le istantanee per me degne di essere ricordate. Ecco perché le foto di mia figlia diventano un utilissimo supporto alla mia scrittura. Scrittura che è, oltre a un gesto di pietas – di devozione, diciamo – mnemonica, una continua ricerca della “parola giusta” con cui trasmettere al lettore la freschezza originaria posseduta da quelle immagini nel momento in cui mi hanno colpito l’attenzione.
Ma la mia scrittura è anche un atto di amore verso la lingua italiana, verso le sue sfumature, i suoi ritmi, i suoi suoni, la sua precisione lessicale – ricchezze che vanno ben oltre le mie capacità e conoscenze. Una lingua italiana limata, affilata – mentre la elaboro in frasi – dal confronto/attrito con altre lingue e altre opere, le antiche e le contemporanee. Ma una lingua italiana che, come scriveva Fernando Pessoa a proposito di quella portoghese, è la mia vera patria.
Grazie per l’attenzione.
Marco Grassano