
In occasione della mostra urbinate “Ornatissimo codice”, ALIBI ha intervistato la dottoressa Marcella Peruzzi, studiosa della biblioteca di Federico da Montefeltro, per approfondire alcuni temi dell’esposizione. Dottoressa Peruzzi, quale rapporto intratteneva la biblioteca di Federico con le altre raccolte italiane? Solo di concorrenza?
Diciamo innanzitutto che sono cose studiate pochissimo. Il prossimo giugno faremo un convegno a Urbino su tutte le biblioteche dei principi del Quattrocento (Sforza, Medici, Aragona, Malatesta…), proprio per cercare di capire che rapporti le univano.
Detto questo, non so quanto ci fosse un rapporto di concorrenza. Sicuramente c’era un rapporto di emulazione. Federico fu spinto a investire in questo campo vedendo le biblioteche dei suoi “colleghi” principi. Sicuramente in qualche caso ci fu anche collaborazione. Lo sappiamo da alcune lettere di Federico in cui il duca chiede a Borso d’Este di fargli copiare dei manoscritti (di Leon Battista Alberti), perché lui li possedeva in originale. C’era una sorta di rete di comunicazione tra appassionati, che si chiedevano favori.
Federico ringrazia Lorenzo de Medici, in un periodo in cui i loro rapporti erano pessimi, per averlo aiutato nel portare a compimento la copia dei due volumi della Bibbia (presenti in fac-simile nella mostra). Per l’amore comune per i libri i signori passavano sopra a divergenze politiche.
Le fonti ricordano qualche lettura certa di Federico?
Federico non era sicuramente un lettore forte: non aveva molto tempo da dedicare alla lettura. Abbiamo però la testimonianza dei suoi biografi che raccontano che mentre pranzava si faceva leggere libri, soprattutto di storia e in particolare Livio. Abbiamo anche la testimonianza di Federico Veterani, copista di un libro, il quale ricorda in quel volume con nostalgia i tempi in cui Federico teneva il testo di Aristotele sotto il cuscino (un’esagerazione, viste le dimensioni del codice) e di quanto lo leggesse continuamente e sempre lo portasse con sé.
Ci sono testimonianze del fatto che il duca avesse una predilezione per alcuni autori. Non sono mai state trovate invece delle indicazioni di lettura di Federico, di mano sua. I manoscritti della biblioteca riportano pochissime annotazioni, ma la spiegazione sta soprattutto nella natura “di rappresentanza” della raccolta. I libri di studio erano probabilmente quelli stampati, più piccoli, raccolti in altre biblioteche.

La passione per la cultura era comunque sincera, non solo una posa per motivi di propaganda culturale…
Assolutamente sì. Di questo sono convinta. L’educazione appresa alla scuola di Vittorino da Feltre gli ha dato davvero una passione sincera per la conoscenza e lo studio. In questo fu molto aiutato da Ottaviano Ubaldini che era veramente una persona colta, mentre Federico non aveva il tempo per approfondire. Ma è significativo il fatto che si circondasse non solo di libri, ma anche di persone colte, a cominciare dalla moglie (persona coltissima per l’epoca) e da Ottaviano Ubaldini, il suo braccio destro, che passò tutta la vita sui libri. La lunetta di Francesco di Giorgio Martini esposta in mostra raffigura Ottaviano con a fianco un libro e Federico con accanto l’armatura. I due si erano per così dire divisi i campi dell’azione e della cultura. Si vedevano quasi come un tutt’uno al governo, ma ciascuno dei due aveva il proprio ambito specifico. Le stesse lettere in cui Federico richiede dei libri o ringrazia per quelli ricevuti testimoniano della sincerità di questa passione.
È anche indubbio che in certe scelte della biblioteca emerge la sua personalità.
Quale fu il rapporto con Bessarione e con la sua biblioteca?
Fu un rapporto molto stretto. Anche il rapporto con coloro che attorniavano il cardinale nell’Accademia bessarioniana, in particolare Niccolò Perotti. Si trattava soprattutto di personalità un po’ invise nei centri di potere italiani, a cominciare dal papato, che invece trovarono appoggio in Federico. Bessarione affida a Federico i suoi libri, quando muore, perché poi vengano trasportati a Venezia. Federico li conserva nel monastero di Santa Chiara a Urbino e dagli studi che sono stati fatti non risulta che abbia sottratto del materiale, nonostante la sua passione bibliofila: i libri del Bessarione sono andati effettivamente alla Marciana. Federico è stato limpidissimo in questa operazione.
Abbiamo un libro donato dal Bessarione, con una sua dedica autografa, quando il cardinale ha battezzato il figlio di Federico. L’apporto c’è stato. Federico ha sempre fatto della fedeltà un punto fermo della propria politica, anche giocando sul proprio nome (Fede – rico / fedele). La biblioteca del Bessarione può essere stata per lui una tentazione, ma un’eventuale appropriazione avrebbe compromesso la sua lealtà perché Federico aveva dato la sua parola al cardinale.
Qual è stata la vostra scoperta più interessante?
Più che una scoperta si è trattato di un chiarimento di tutte le dinamiche relative alla formazione della biblioteca, magari già accennate negli studi precedenti, ma mai messe a fuoco in un insieme.
Erano studi sparsi, scoordinati tra di loro; non c’era mai un punto di vista completo sulla biblioteca. È molto importante la scoperta (precedente all’organizzazione della mostra) che a Urbino ci fossero non soltanto dei miniatori esterni, provenienti da Ferrara, ma anche dei miniatori di Urbino che inventarono un proprio stile decorativo.
Le novità sono tante: l’identificazione per esempio del proprietario dei libri ebraici, Manuele da Volterra, un banchiere.
Io ho ritrovato un manoscritto che probabilmente si può far risalire a Battista Sforza, della quale nella biblioteca non si trovava nessuna traccia finora.
Chi ha studiato i miniatori fiorentini ha trovato numerose attribuzioni nuove. Diciamo che sono tante piccole messe a punto che complessivamente danno una luce veramente nuova su tutta la biblioteca.

A suo giudizio, qual è il codice più bello?
I codici più belli in assoluto sono quelli di cui sono stati fatti i fac-simili esposti in mostra. A me piace particolarmente la Geografia di Tolomeo, perché è il primo che Federico ha commissionato in maniera così sfarzosa e perché mi piacciono molto le cartine geografiche. Anche la decorazione è molto ricca. La Bibbia è grandiosa. Mi commuovo un po’ meno perché è un po’ troppo grandiosa per i miei gusti. La Divina Commedia, il Dante urbinate, è un capolavoro: ogni pagina è un’illustrazione incredibile.
Possiamo aggiungere l’evangeliario Urb. Lat. 10, il codice che è stato tenuto aperto in esposizione durante il Concilio Vaticano II (in Vaticano avevano da scegliere tra migliaia e migliaia di manoscritti, il fatto di aver scelto questo dà l’idea della sua pregevolezza).
Della raccolta direi il San Bernardo. È molto bello perché è particolarmente ricco e ha la particolarità di riprodurre un ritratto del tutto eccezionale di Federico, in atteggiamento umile e dimesso, in tutti i suoi difetti umani.
Mi piace molto anche il manoscritto che è stato scelto per reclamizzare la mostra, contenente l’opera di Libanio, per la qualità pittorica eccezionale, con putti e cerbiatti dipinti in modo straordinario. Avendoli scelti personalmente io, però, devo dire che mi piacciono tutti, ognuno a modo suo. Anche il 666, è eccezionale, ma essendo piccolo di formato, ci si rende conto fino a un certo punto di quanto sia bello. Le fotografie del catalogo però permettono di ammirarlo come merita, grazie agli ingrandimenti.
L’ultima curiosità riguarda il rapporto tra la biblioteca e lo studiolo…
Ho studiato questo rapporto nel libro che ha preceduto questa mostra e un po’ ha dato il via a tutto il progetto. Ho fatto un’analisi tra gli autori più presenti nella biblioteca e il ciclo degli uomini illustri sullo studiolo. Si tratta di un programma iconografico con cui Federico dichiara di voler fare riferimento a questi personaggi illustri. La cosa molto interessante è che i personaggi rappresentati nello studiolo sono gli autori più presenti nella biblioteca. Questo dimostra quanto il programma iconografico culturale della biblioteca e dell’intero palazzo ducale fosse tutt’altro che casuale, ma anzi una cosa studiata fin nei minimi dettagli. È una sorta di gioco di scatole cinesi: in ogni parte del palazzo c’è un richiamo ad un’altra. La biblioteca, non a caso, è all’ingresso del palazzo, quasi fosse una sorta di biglietto da visita, contiene in concentrato tutto quello che poi il visitatore incontrerà nelle altre sale. Nell’ottica federiciana e della sua politica culturale ha dunque una rilevanza altissima.
Marcella Peruzzi
Coordina le biblioteche scientifiche dell’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”. Da numerosi anni studia la collezione manoscritta di Federico di Montefeltro, sulla quale ha pubblicato, oltre ad alcuni articoli specialistici, la monografia “Cultura potere e immagine. La biblioteca di Federico di Montefeltro” edita dall’Accademia Raffaello di Urbino nel 2004.