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25 Luglio 2007

L’Ussaro di Perez-Reverte

ImageAbbiamo imparato a cantare che la guerra è bella anche se fa male. E invece la guerra è “fango, sangue e merda”. Avrà modo di comprenderlo l’ussaro Frederic Glüntz, giovane sottotenente della cavalleria scelta di Sua Maestà, l’Imperatore dei Francesi. Prima però deve cadere da cavallo come Paolo sulla via di Damasco.
Era ingenuo e inesperto, non aveva ancora avuto il battesimo di fuoco e credeva all’estetica della morte. L’eroismo come filosofia di vita aveva fatto presa sul suo cuore, più degli occhi della bionda contessina Claire Zimmerman conosciuta a Strasburgo due giorni prima di partire per la campagna di Spagna. Si era nutrito di paroloni come cameratismo, senso dell’onore, sete di gloria, quella dea per la quale insieme ai suoi commilitoni serviva la Francia e il suo Imperatore. Tutti erano pronti ad andare all’inferno per seguire l’aquila imperiale.

E non è un modo di dire letterario: nel macello di Waterloo le truppe napoleoniche persero soltanto due aquile, catturate dalla Union Brigade. La leggenda vuole che una sia stata conquistata durante una carica al grido di Scotland Forever, lo stesso motto che Sean Connery si è fatto tatuare su un braccio. “Era bella l’amicizia sotto la tenda da campo, alla luce di una lanterna, la vigilia della battaglia. Per Dio, altroché se la guerra poteva persino sembrare bella!”. Sono gli stessi ideali esaltati da tutti i corpi militari in ogni epoca. L’amico De Bourmont riassume così il momento dell’attacco della cavalleria: “l’istante supremo in cui non hai altri amici che il tuo cavallo, la tua sciabola e Dio, in quest’ordine”. La gerarchia è un aspetto importante (l’aspetto fondamentale, anzi) di qualsiasi disciplina militaresca. Ecco allora il commilitone anziano sciorinare un secondo ordine a pro del giovane amico: “Un ussaro degno di questo nome deve riconoscere a colpo d’occhio un buon cavallo, un buon vino, un buon sigaro e una bella donna”. “In quest’ordine?” “In quest’ordine”. Dall’altra parte stanno i nemici, una massa indistinta di uomini piccoli, brutti e neri. Sono i resistenti spagnoli, tanto ignoranti e abietti da non riconoscere il beneficio delle riforme portate sulla punta delle baionette dalla Grande Armée. Guerriglieri che non rispettano il codice d’onore, che attaccano alle spalle, che tendono imboscate contro i soldati rimasti indietro. Non c’è alcun terreno comune con loro, non sono gli avversari che indossano una divisa di altri colori ma si riconoscono nello stesso codice. Quella di Frederic è una concezione cavalleresca, ma soprattutto ingenua della guerra, falsa e sepolta da tempo, dall’avvento delle armi da fuoco, dal cannone che tutto distrugge e atterra, l’arma preferita da Napoleone che cominciò la sua fulminante carriera sparando cannonate dalle colline di Tolone. Il 2 maggio del 1808 la popolazione di Madrid si solleva contro l’esercito occupante che ricorre ai peggiori metodi di rappresaglia per soffocare la ribellione, scavando un baratro tra spagnoli e francesi. Sei anni dopo Goya immortalerà lo scempio delle fucilazioni nel celebre quadro “Fusilamientos del Tres de Mayo”. “L’Ussaro” è il primo romanzo di Pérez-Reverte, scritto nel lontano 1983 quando l’autore faceva l’inviato di guerra. È l’aspetto tremendamente tragico della guerra, vissuto per esperienza diretta sui fronti più caldi del pianeta, a dare senso al libro. Manca infatti la scanzonata ironia che renderà più divertente “L’ombra dell’aquila”, anch’esso dedicato all’epopea napoleonica. Ne “L’Ussaro” non c’è nulla da ridere. Proprio come in guerra.

Arturo Pérez-Reverte
L’Ussaro
Tropea 2006
210 pp.
€ 16

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