• Passa alla navigazione primaria
  • Passa al contenuto principale
  • Passa alla barra laterale primaria
  • Passa al piè di pagina
  • Luoghi
    • Italia
    • Europa
    • Mondo
    • A letto con ALIBI
  • Mostre
    • Arte
    • Fotografia
    • Storia
  • Spettacoli
    • Teatro & Cinema
    • Musica & Danza
  • Biblioteca
  • Interviste
  • Egitti

Alibi Online

Voi siete qui: Biblioteca » Tre bei libri da consigliare per un regalo natalizio

16 Dicembre 2025

Tre bei libri da consigliare per un regalo natalizio

Come da tradizione, in prossimità delle feste ALIBI Online consiglia ai suoi lettori alcuni libri. Ecco le proposte di Michele Lupo.

La Norma sbagliata

L’editore Utopia prosegue la benemerita pubblicazione delle opere di Anne Carson con il recente La Norma sbagliata.

Come gli altri della scrittrice canadese (poetessa mi sembra riduttivo) non è un libro che cerca facili consensi. La scrittura di Carson non vuole intrattenere ma al contrario lavorare proprio di là dalle sponde opposte di quel centro, il soggetto persuaso di sé stesso, che chiamiamo io.

Lo scarto rispetto alla norma comincia da lì, non dal novecentesco discorso sulla frantumazione dell’io, ma sulla polvere disseminata in ogni direzione di questo collasso. Né si tratta di una disfatta, o di nichilismo, ma del suo oltrepassamento: io non è solo un altro, ma un campo di forze quantistico in cui si stratificano e moltiplicano alterità plurime, in cui coesistono presenze fantasmatiche in spazi diversi e tempi sovrapposti, chi scrive e chi è scritta.

Così, notoriamente, i libri di Carson, e questo non fa eccezione, presentano un tessuto disomogeneo, versi, prosa, micro-racconti, piccoli saggi lirici, aforismi, frammenti ironici, senza schemi precostituiti – senza regola, appunto – e scompaginano (tendenza non isolata nella letteratura odierna migliore) generi e forme in una rottura antipode.

L’influenza di Lacan è nota: desiderio e linguaggio, inconscio e decostruzione concorrono all’illimitata apertura del discorso che trova un minimo di organizzazione nei venticinque capitoli frammentati da piccolissime immagini, disegnini che tengono il filo evanescente dell’opera.

Di cosa vi si dice? Programmaticamente, di affari diversi, Flaubert, il padre, Conrad, enunciati sull’enunciare, slittamenti fra io e altri pronomi, metamorfosi e dissoluzioni, attraversamenti di zone oscure, ambigue.

La Norma sbagliata appare così intanto quella del lettore che crede di dover leggere un libro in un certo modo, codificato, già dato, secondo un principio ordinativo che è invece messo in scacco dal libro stesso di Carson. Che è slancio immaginativo e critica (della norma che si pretende giusta e non lo è) non riferita bensì attiva per (nel) il modo stesso in cui è scritto: la frattura è metodo e paradossale “sistema”: spiazzante, straniante, vertiginoso.

Il tema della soggettività, quello relativo al chi è che scrive, al suo rapporto con l’enunciazione, è assai presente nelle discussioni odierne intorno alla scrittura, e certo nella Carson trova uno dei momenti più interessanti, aperto a squarci improvvisi, sospesi in uno spazio traslucido in cui intelligenza e lirismo si confondono e spiazzano il lettore. Per chi non lo avesse fatto prima, il regalo di una lettura di Carson lo faccia a sé stesso.

I convitati di pietra

Intanto, tutt’altro tipo di vertigine nel bellissimo, ultimo romanzo di Michele Mari, I convitati di pietra, pubblicato da Einaudi.

È un Mari alle prese con una struttura tradizionale, un romanzo compatto seppure dispiegato in una storia di anni ma di una ferocia, di una spietatezza affilata come la lingua precisissima, tagliente, che seducono terribilmente e fanno ridere come mai prima nello scrittore milanese.

La storia de I convitati di pietra è presto detta: una gruppo di amici, compagni di classe, decide che il loro legame (non per forza pacifico in tutti i suoi componenti) continuerà in qualche modo a restare in piedi dopo l’esame di maturità fino alla morte – e no, non è una favola bella di ingenui fessacchiotti sentimentali ma l’adesione a un patto propriamente ferale il cui collante è il denaro, modalità onnipervasiva dell’odierno cosmo sociale.

In questo caso, il nucleo pestifero decide di rivedersi una volta l’anno e contestualmente depositare una significativa quota di denaro in comune che verosimilmente con gli anni crescerà per poi finire nelle mani dei tre che sopravviveranno agli altri. Una riffa dunque – nelle cui occasioni conviviali si manifesta un campionario di vite, più o meno infelici (ognuna a modo suo) che faranno esplodere sentimenti poco commendevoli, tresche, tradimenti, miserie amorose o d’altro genere in una collezione di destini miserabili.

Mari non risparmia nessuno. Uomini e donne, alcuni professionisti affermati, altri dalle vite bigie, giocano la loro partita in un temenos metaforico, benché allargato nel tempo e negli spazi delle vite personali che è sempre rapportato alla vicenda comune – quando di qualcuno di loro si dice dell’altro, non è mai un’arbitraria digressione, ma sempre rilievo per la macchina narrativa, per la roulette russa cupa e cinica che li tiene insieme.

Le vicende, le scene, le singole tappe della storia collettiva, variano sulla cifra della trappola: un dettaglio minimo, un oggetto fuori posto, una frase detta in un tono sbagliato, e subito la pagina si inclina. Mari cerca la crepa nelle cose, il punto in cui la normalità si pietrifica in un’immagine sbilenca.

Con i suoi personaggi, molti ma alcuni più decisivi di altri, lividi di rancore, invidiosi, a volte buffi, Mari mette il lettore davanti a ciò che preferirebbe non vedere: quanto del nostro presente è fatto di pietre che credevamo rimosse. Mari non racconta trame, racconta ossessioni. E lo fa senza perdere mai il ritmo, senza un momento di stanca.

I convitati di pietra è un libro sulla presenza del passato, sul modo in cui ciò che abbiamo amato (o temuto) continua a guardarci, a pretendere qualcosa, a chiedere spiegazioni. È un libro di memoria non pacifica: la memoria come lastra calcarea, come formazione geologica. E davvero non è comune di questi tempi leggere libri dalla scrittura impeccabile capaci di divertire affondando la lama nelle secche di cuori inaciditi.

L’ambiente non umano

Infine un saggio. Torna in libreria L’ambiente non umano dello psichiatra e psicoanalista americano Harold F. Searles (1918-2015). L’opera (ancora Einaudi) compie un gesto che la psicoanalisi, nel suo tronco principale, ha sempre esitato a fare: prendere sul serio il mondo circostante. Non solo come scenario o insieme di stimoli, ma come presenza psichicamente attiva, capace di entrare nella costituzione del soggetto prima ancora delle relazioni interumane.

Come le persone si relazionano con gli oggetti, gli animali e l’ambiente circostante, e come queste relazioni influenzino la loro psiche – qui per Searles sta la premessa di qualsiasi discorso sulla sanità e la malattia. Gli esseri umani interagiscono con l’ambiente tutto, non solo quello dei propri simili: ne deriva che, superata l’infanzia, una scissione tra sé e il mondo esterno, soprattutto l’ambiente non umano, può incrinare la fiducia in sé stessi.

La mancanza di contatto con oggetti simbolici, animali domestici, spazi naturali può portare a una frammentazione del sé. Come si vede, rispetto alla Carson, qui torniamo alle formulazioni teoriche novecentesche – ma eccentriche rispetto a quelle più usate. La terapia non può prescindere da rapporti significativi con l’ambiente non umano, ché la natura per Searles non è solo una “costruzione discorsiva”.

Laddove in Lacan, prima evocato, l’esperienza è mediata dal linguaggio, per Searles l’ambiente non umano appartiene ai fatti bruti: esiste prima e indipendentemente dal linguaggio e dalle istituzioni umane. Quello di Searle è un realismo ontologico per cui il mondo esiste indipendentemente dalle nostre descrizioni.

Nella nevrosi in versione freudiana il conflitto è interno: tra desiderio e divieto, tra pulsione e istanza morale, così la realtà non umana rischia di restare sullo sfondo, relativamente indiscussa. Searles rovescia questa impostazione. Nella sua clinica, il paziente psicotico ha da fare con l’ambiente, compreso quello non umano – oggetti, spazi, materiali – vissuto come animato, intrusivo, talvolta persecutorio.

Ripristinare una sana relazione con esso può placare angosce e spaesamenti da derealizzazione, e favorire la persuasione di sé. Interessante potrebbe risultare, benché su campi diversi, un confronto con Bruno Latour per il quale la modernità si fonda su una finzione: la separazione tra soggetti umani e oggetti inanimati.

In realtà, viviamo sempre dentro reti ibride, fatte di attori umani e non umani, di tecnologie, spazi, materiali che agiscono quanto noi. La psicosi nella lettura di Searles sembra allora dire ciò che la teoria sociale di Latour argomenta: che il mondo non è mai stato davvero un insieme di cose mute.

Ecco che allora, il paziente psicotico non riesce a compiere quell’operazione di “purificazione” che consente al nevrotico – e al soggetto moderno in generale – di trattare il mondo come sfondo. La psicosi si configura in questo caso non come semplice perdita, ma come esposizione senza filtri a un reale che la cultura cerca di rendere inoffensivo.

Gli stessi analisti, come qualsiasi umano, si sentono sopraffatti dalla natura – perciò stesso questa relazione, strutturale, viene messa da loro fra parantesi, se non rimossa. Occorre ripartire da lì.

Michele Lupo

  • Anne Carson
    La Norma sbagliata
    Traduzione di Patrizio Ceccagnoli
    Utopia
    Collana Letteraria Straniera
    2025, 192 pagine
    18 €
  • Michele Mari
    I convitati di pietra
    Einaudi
    Collana Supercoralli
    2025, 168 pagine
    17,50 €
  • Harold F. Searles
    L’ambiente non umano
    nello sviluppo normale e nella schizofrenia

    Traduzione di Mario Marchetti
    Einaudi
    Collana Piccola Biblioteca Einaudi Ns
    2025, XXXIV – 382 pagine
    25 €
Tweet
Share
0 Condivisioni

Archiviato in:Biblioteca

Barra laterale primaria

Articoli recenti

  • Tre bei libri da consigliare per un regalo natalizio
  • “Profumo di donna” con Aura Trio per Brianza Classica
  • Tempo di chiudere cicli. Per aprirne di nuovi
  • Da Adelphi “Il flauto magico” di Emanuel Schikaneder
  • “Salopette (in forma di favola)” di Giovanni Granatelli

Footer

INFORMAZIONI

  • Chi siamo
  • Contatti
  • Informativa privacy & Cookie

La rivista online

ALIBI Online è una rivista digitale di turismo culturale, diretta dal giornalista Saul Stucchi. Si occupa di mostre d'arte, storia e archeologia, di cinema e teatro, di libri di narrativa e di saggistica, di viaggi in Italia e in Europa (con particolare attenzione alle capitali come Parigi, Madrid e Londra). Propone approfondimenti sulla cultura e la società attraverso interviste a scrittori, giornalisti, artisti e curatori di esposizioni.

Copyright © 2025 · ALIBI Online - Testata giornalistica registrata al Tribunale di Milano; reg. n° 213 8 maggio 2009
Direttore Responsabile Saul Stucchi