Qualche breve notizia su Giuliano. La sua figura è, ancora oggi, molto controversa. Nella storia ha ricevuto l’ignominioso appellativo di “apostata”. Apostata è colui che partendo da una fede ne abbraccia un’altra: il verbo apò-istemi significa “stare da una parte e passare a un’altra” ed è usato soprattutto nell’ambito religioso. Secondo i Cristiani del IV secolo d.C (che stavano per assumere il potere in ogni settore dell’impero romano), Giuliano avrebbe tradito la religione familiare (era stato educato infatti da precettori cristiani come discendente di Costantino) per tornare al paganesimo.
Si è discusso a lungo su questo argomento e la questione è tuttora aperta. Se mai ci sarà una seconda puntata dopo questo articolo, tornerò con più precisione sul discorso e magari racconterò altro di questo poco conosciuto personaggio.

Prendo adesso in esame la lettera che Giuliano scrive a Temistio nel 361, dopo essere diventato imperatore unico.
Temistio, di quattordici anni più vecchio di Giuliano, era un apprezzato professore di filosofia; propugnava un paganesimo moderato che gli aveva consentito di godere della fiducia di diversi imperatori (da Costanzo II fino a Teodosio). La lettera presuppone uno scambio epistolare (che non ci è restato) tra i due.
La risposta di Giuliano ruota attorno a due grandi temi: la differenza fra la vita contemplativa e la vita attiva e le qualità che sono necessarie per chi si trovi a governare.
Ma andiamo con ordine. Nella parte iniziale, Giuliano appare consapevole delle aspettative e delle responsabilità che tutti provano nei suoi confronti. Pensando ai grandi che lo hanno preceduto (cita Alessandro Magno e Marco Aurelio), dice che vorrebbe continuare a perseguire l’otium e dedicarsi agli studi, anziché all’attività politica. Però, dal momento che il dio l’ha portato a essere un uomo di governo, cercherà di non deludere quanti si aspettano grandi cose da lui.
Si domanda allora se, per chi ha potere, sia più importante ottenere risultati concreti o parlare alle anime. Cito testualmente il passo in cui pone in confronto Alessandro con Socrate (la traduzione è di Arnaldo Marcone per l’edizione della Fondazione Valla).
Chi fu salvato dunque grazie alle vittorie di Alessandro? Quale città risultò governata meglio? Quale privato cittadino fu reso migliore? Troverai molti divenuti più ricchi, ma nessuno più saggio, neppure lui di se stesso, se non lo troverai più superbo ed insolente. Al contrario, quanti oggi si salvano grazie alla filosofia, si salvano attraverso Socrate.”
Niente da aggiungere. Se non che, con queste affermazioni, l’imperatore giustifica anche le sue iniziali esitazioni nell’accettare il ruolo che gli era stato assegnato.
Secondo il suo modo di vedere, il monarca deve possedere qualità superiori a quelle della gente comune: si avvicina quasi a una divinità, perché deve liberarsi da ogni passione umana. Mentre Temistio riteneva che l’imperatore fosse l’incarnazione della legge, per Giuliano anche il sovrano è invece sottoposto a essa.
Nella lettera ci sono poi punti in cui Giuliano accenna alla sua difficile fanciullezza, mitigata dallo studio. C’è il ricordo di diversi filosofi del passato o a lui contemporanei che non hanno accettato, pur invitati a farlo, di assumere cariche politiche o collaborare con i governanti.
Arrivo, invece, alle ultime righe: “Non sono la fuga dalla fatica, né la ricerca del piacere, né l’amore della pace e dell’agio a rendermi mal disposto verso la vita politica; ma piuttosto la coscienza di non avere formazione adeguata e superiorità di natura”.
In questo modo Giuliano riafferma una volta di più che per lui non deve esserci contaminazione tra politica e filosofia, ribadendo di nuovo la superiorità di quest’ultima.
Per chiudere la mia breve trattazione, posso solo accennare al fatto che Giuliano scriva in greco e che, oltre questa lettera, ci ha lasciato altre opere di argomento (almeno quelle che ci sono rimaste) più decisamente religioso.
La sua grandezza come scrittore è soltanto una delle qualità che, pur nella brevità della sua vita, ha mostrato di possedere.
καὶ ταῦτα μὲν δὴ ταύτῃ: e basti questo sull’argomento.
P. S.: stavo riflettendo sul fatto che tra il mio monologo “Il cipresso e l’ontano” a questa analisi su Giuliano non c’è troppa differenza. In entrambi i casi si opta per la vita teoretica e in entrambi i casi il dio (il destino) ha deciso diversamente.
L S D
Giuliano Imperatore
Alla madre degli dei (e altri discorsi)
A cura di Jacques Fontaine, Carlo Prato, Arnaldo Marcone
Fondazione Lorenzo Valla
2013, 480 pagine
30 €