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Voi siete qui: Mondo » Lettera dallo Zambia: entrare nella realtà “panono panono”

22 Febbraio 2013

Lettera dallo Zambia: entrare nella realtà “panono panono”

Seconda lettera di Carlotta dallo Zambia.

Cari tutti,
questa volta approfitto di una gita in clinica per scrivervi: la mia compagna di stanza mi ha tenuta sveglia tutta la notte, stamattina l’ho accompagnata qui, mettendo a tacere l’impulso di darla in pasto alle formicone nere, e ora attendiamo la diagnosi. Sono circondata da un campionario variopinto di madri e figli, tutti benvestiti, perché questa è una struttura privata. La stragrande maggioranza affolla le corsie dell’ospedale pubblico, dove il rischio di prendere malattie peggiori di quella per cui si è in cura è praticamente una certezza. Forse anche per questo – oltre che per i costi, la distanza dell’ospedale dai compound, l’abitudine alla sopportazione, le tradizioni popolari – il medico è l’ultima spiaggia.
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Le tradizioni popolari: quando le ho sentite citare tra le cause di mortalità, ho pensato agli antichi rimedi della nonna, e ci credo che vai all’altro mondo se curi la malaria con il decotto di foglie di papaya. Non è così semplice. Sto imparando a capire cosa significa, entrando piano piano – panono panono – nelle pieghe della realtà che mi circonda. Il primo lampo in un centro nutrizionale, dove una volta alla settimana le madri, più o meno ragazzine, o chi ne fa le veci, sorelle o zie o nonne di orfani, si raccolgono per affrontare la più grande ingiustizia, la malnutrizione infantile.
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L’associazione ha creato negli anni un punto di raccolta in ogni compound, così da poter gestire le situazioni di emergenza, vale a dire: o lo prendiamo in tempo o questo bambino muore. In questi ricoveri, che sono spesso tettoie di paglia, i bambini vengono pesati e misurati, si impara a cucinare un pasto equilibrato con quel che c’è a disposizione, ad agire in fretta in caso di malattia, a temere l’inappetenza, a distinguere le guance paffute dall’edema, e alla fine si porta a casa un pacchetto di pes, composto farinaceo supernutriente, e di volta in volta zucchero, legumi, frutta, verdura, arachidi. È banale dire che una madre non dovrebbe mai trovarsi a misurare la circonferenza del braccio del proprio figlio, sperando che il muac, l’apposito braccialetto, faccia un giro abbastanza ampio da risultare non verde, ma almeno giallo – il rosso determina un diametro inferiore ai 2,5 cm. Ma è atroce scoprire che alcune di loro si rassegnino alla situazione: il bambino non aumenta di peso, passa da una malattia all’altra, si spegne. Tanto è inutile, dicono con gli occhi queste donne impenetrabili. Perché la mia vicina di casa per invidia ha fatto il malocchio, perché non avevo di che pagare la levatrice, perché non ho restituito gli abiti di mio marito morto alla famiglia e porta male – e quel bambino è segnato, secondo la tradizione popolare.
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Per ciascuna di queste storie disperate ne esiste una che fa da contraltare, e lo spirito che anima questi luoghi ai margini del mondo – perché al di là del compound non esiste nulla – è soprattutto fiero e coraggioso. Pare sia arivato l’esito dal laboratorio – uno sgabuzzino dove giocano al piccolo chimico con i fluidi dei pazienti -, forse riusciamo a farci prescrivere una qualche cosa e ad andarcene da qui.
Un abbraccio dal continente nero, a prestissimo.
Carlotta

Prima lettera: Spaesata ma con gli occhi sempre più aperti 

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