Gli occhi della scimmia della scrittrice ungherese Krisztina Tóth (traduzione di Mariarosaria Sciglitano per Voland, 2025) è un romanzo dal titolo evocativo che indaga nelle pieghe dell’animo di pochi personaggi stretti tra loro da sottilissimi legami. Giselle, il Dr Kreutzer, Albert, un giovane alla ricerca di sua madre, e Bianka, la compagna di Albert, sono i protagonisti.
Intorno a loro ci sono una città e una nazione, di cui non si fa mai il nome, che ha scelto un regime totalitario. La dittatura c’è ma non si vede. Prima c’era una devastante guerra civile che ha generato solo morte e distruzione, disordine sociale e odio. Il regime autoritario è dominato da un unico principio: chi ha soldi ha diritto a una vita sicura e tranquilla; chi non ha denaro è invece confinato e ai margini.
In un mondo del genere tutti sono spiati. E tutte le conversazioni vengono registrate, trascritte, interpretate e archiviate da funzionari esperti. Nel romanzo non si fa accenno a segni di malcontento, tumulti e insurrezione. Grazie anche a una stretta sorveglianza e a una martellante propaganda sembra che tutti i cittadini vivano in armonia.

A impersonare la dittatura, nel romanzo, è il Dr Kreutzer. Un uomo ambiguo che usa il suo ruolo di terapeuta non per curare le persone, ma per manipolarle, ottenendo così benefici e protezione dalle autorità.
Tre sono le storie che formano il romanzo: la storia d’amore tra Giselle e il Dr. Kreutzer; la ricerca della madre perduta di Albert; il legame tra il potere politico e il Dr Kreutzer.
La storia tra Giselle, professoressa di storia alla Nuova Università, e il Dr Kreutzer è una relazione che si rivela fin dall’inizio un abuso. Lo psichiatra si mostra un professionista sicuro di sé, ma si rivela gradualmente un erotomane e manipolatore che non sa far altro che ‘usare’ le donne per i suoi istinti più bassi.
Nelle sue parole e nei suoi gesti non c’è amore, ma solo il voler soddisfare un bisogno. Per di più le donne che ‘ama’ sono donne fragili, sconvolte da traumi e dal proprio passato. Kreutzer, come molti altri, non sapendo costruire una relazione d’amore e di confronto con una donna, non può far altro che possederne ferocemente il corpo.
Alle donne il regime ha dato un ruolo preciso: essere mamme. Le donne di questo romanzo sembrano fragili prede. Giselle è una donna in bilico: non ha molta fiducia in se stessa. E sostiene che non le è mai «venuto in mente che per loro [i colleghi] possa essere una donna». Mina, la sorella di Giselle, finisce per suicidarsi. Palma, la madre del Dr Kreutzer, la cui vita è stata sconvolta da un lutto − quella del fratello minore del futuro dottore − è una donna che ha vissuto nel rimorso per la morte improvvisa di suo figlio. Ed è diventata una madre incurante del figlio che le è rimasto.
L’unica donna che è contro questo destino segnato fatto di sopraffazione e violenza maschile è Bianka, una giovane donna sincera e spalla, conforto e sicurezza per Albert, nipote di Giselle e figlio di Mina, che è alla ricerca della madre che crede scomparsa e viva.
L’abuso è il vero tema del romanzo. Declinato in varie forme: c’è quello sul corpo e la mente delle donne (Giselle racconta durante le sedute non solo il non volere essere madre, ma anche il sudicio di sua sorella Mina, «una donna a cui faceva male sentirsi nella vita quotidiana»). C’è quello dello Stato nei confronti dei cittadini, che sono osservati e tenuti in un ferreo limbo dove vige una propaganda serrata. E che emargina le persone non in linea.
Poi, c’è l’abuso che il Regime perpetra nei confronti della Natura. La scienza, in uno Stato non democratico, è uno strumento per intervenire, attraverso il DNA, e omologare tutti gli umani e renderli automi.
Il titolo evocativo del romanzo rimanda alla sperimentazione del neurochirurgo Robert White, che sezionò la testa di una scimmia per inserirla sul corpo di un’altra. Le immagini scioccanti, che documentano l’esperimento, mostrano come la scimmia si sia risvegliata per poco tempo, abbia preso coscienza di ciò che le era accaduto e poi sia morta.
La scrittrice ungherese racconta un mondo fosco, privo di speranza. Ognuno dei personaggi, tranne lo Psichiatra, chiede di essere redento. Krisztina Tóth dà una possibilità. Albert e Bianka, chiamati a impersonare un ruolo scritto dal regime per un evento che metterà a repentaglio milioni di persone, sono coloro che si oppongono. Non è dato sapere se da quell’incontro ci sia, poi, una redenzione.
La storia coinvolge il lettore. La narrazione è serrata: presente e passato, fatti ed eventi nella vita dei personaggi affiorano o sono raccontati gradualmente. La prosa di Krisztina Tóth è avvolgente; i particolari e di dettagli sono accattivanti. Tutto è studiato fin nei piccoli particolari.
Krisztina Tóth − attraverso frasi poetiche o frammenti di poesie che diventano i titoli dei capitoli − contrappone al mondo grigio del regime l’emozione e la natura. O inserisce in neretto versi. Per ricordare che l’abuso (fisico e psicologico) si può superare anche grazie alla bellezza e alla forza evocativa della parola poetica.
Gli occhi della scimmia di Krisztina Tóth si inserisce in una lunga tradizione distopica che ha nella Atwood e in Margaret O’Donnell i suoi migliori epigoni. Il mondo della Tóth offre una visione spaventosa di un futuro non così lontano anche nella vecchia e democratica Europa. Perché le storture del mondo senza nome, che la scrittrice ungherese crea, sono radicate nel presente.
Claudio Cherin
Krisztina Tóth
Gli occhi della scimmia
Traduzione di Mariarosaria Sciglitano
Voland
Collana Amazzoni
2025, 320 pagine
20 €