
Non era riuscito a essere presente all’inaugurazione, ma non ha voluto mancare alla chiusura della sua mostra Oscuro es el canto che l’Instituto Cervantes di Milano ha ospitato dal 6 ottobre 2011 al 25 gennaio di quest’anno. Quel giorno Alberto Corazón ha incontrato il pubblico e gli amici dell’istituzione culturale spagnola, ma poco prima ha chiacchierato amabilmente con alcuni giornalisti, tra cui il sottoscritto.
Uno degli artisti spagnoli più apprezzati in patria e nel mondo, nonché autore di alcuni dei più celebri logotipi che appartengono di fatto alla quotidianità dei suoi compatrioti (basti citare quelli della Renfe, dei Paradores e della Biblioteca Nacional), Corazón ha uno sguardo vivace e nessuna posa da star.

Per rompere il ghiaccio una collega gli chiede in che modo sia venuto in contatto con la poesia di San Juan de la Cruz e dove è nata l’ispirazione per i suoi disegni. Corazón spiega che secondo lui Cervantes e Juan sono le due vette della cultura spagnola, il primo per quanto riguarda il romanzo, il secondo per la poesia mistica, tanto che se gli Istituti che promuovono la cultura spagnola non fossero battezzati nel nome di Cervantes, dovrebbero certamente chiamarsi Juan de la Cruz. Confessa di essere un lettore appassionato di poesia e ha notato su di sé come il tempo intervenga a modificarne la comprensione: a settant’anni (ottimamente portati, vien da dire) la poesia continua a essere per lui una fonte d’ispirazione, ma ora gli comunica cose che non gli diceva quando ne aveva quaranta. “Come artista plastico mi sono sempre posto il problema di unire, come dice Orazio (ut pictura poesis: poesia come pittura) il testo e l’immagine, la poesia e la pittura”. Oltretutto ha vissuto il testo anche come esperienza iconografica, riconoscendo che l’alfabeto ha per la cultura occidentale un’importanza capitale, anche se spesso non ci si presta la debita attenzione.

Quando parla dell’autore non dice mai “San Juan”, ma semplicemente “Juan”. Ricorda infatti che nonostante fosse un monaco carmelitano in realtà la sua scelta religiosa fu dovuta al fatto che al tempo non ci fossero molte alternative a diventare soldato. Juan ebbe inoltre problemi con l’Inquisizione e per evitarne di peggiori fu incarcerato dai suoi stessi confratelli. Fu un personaggio eretico e chi legge la sua poesia con attenzione lo scopre, così come scopre che ha attinto a piene mani dal Cantico dei Cantici e dai salmi del re Davide, poesie dalla forte componente erotica, mentre l’aspetto religioso è secondario. Come la sua contemporanea Teresa d’Avila, Juan de la Cruz raggiunge l’essenza del linguaggio spogliandolo di tutto ciò che è accessorio, per arrivare alla sensualità delle parole. Il suo linguaggio è apparentemente semplice perché ogni poema è composto da appena sei versi di otto sillabe, ma ciascuno è carico di significati.
Facendo riferimento alle sue opere esposte, dice che sono tutti disegni realizzati su carta e aggiunge che c’è un fatto curioso e molto significativo, raccontato da Teresa d’Avila in una sua lettera: è probabile che gran parte dell’opera poetica di Juan de la Cruz sia scomparsa perché lui se l’è mangiata! I confratelli infatti lo avvisavano quando gli Inquisitori stavano per fargli visita e lui provvedeva in questo modo a far sparire i suoi componimenti: letteralmente si rimangiava le sue parole!

In mostra c’erano i disegni preparatorii e i bozzetti delle opere, queste ultime alte oltre due metri (motivo che ne ha impedito l’esposizione nelle sale dell’Instituto). Hanno tutte forma di porta perché i componimenti di Juan de la Cruz sono una chiamata dell’amato all’amata con relativa risposta e quindi il punto fondamentale è che l’amato deve attraversare la porta per raggiungere l’amata. Il processo di lavoro che Corazón ha utilizzato è stato simile a quello impiegato da Juan con il linguaggio. Ha letto le sue poesie e mentre leggeva creava molto, in modo automatico, e poi andava togliendo fino a conservare solo l’essenziale, proprio come Juan faceva con i suoi testi. La cosa interessante è vedere quello che è stato tolto e quanto è rimasto, afferma. Ha prestato sempre la massima attenzione al verso e alle parole e ha scelto di trasferirle sulla carta con una scrittura personale, non tipografica, proprio perché ha voluto recuperare il tratto, lo stile pittorico, avendo però cura che le scritte fossero ben leggibili.
Spiega poi che sul catalogo la riproduzione di ciascuna opera è accompagnata da un breve testo in cui chiarisce l’iconografia, il tipo di carta, l’utilizzazione del graffito, i colori che ha scelto. A questo punto gli chiedo quale sia il suo rapporto con i colori, se solo di tipo “tecnico” o anche di tipo “filosofico”. “L’utilizzo che faccio del colore è di tipo sensoriale”, risponde subito, spiegando che lui dipinge con la memoria più che con l’occhio. I colori sono un mistero perché cambiano continuamente, a seconda dell’illuminazione e del supporto. Hanno nomi bellissimi, ma sono soltanto una pura referenza, perché non fissano nulla. C’è molta libertà nel suo uso del colore e lui si lascia guidare dalla funzionalità e dalla sensorialità. Vuole entrare in contatto con lo spettatore e per questo non approva i quadri senza titolo (“senza titolo, senza idea” dice in italiano). E aggiunge un fatto curioso, indicando il rosso del catalogo: per un grafico si tratta di un “pantone 485”, mentre per un pittore è un “rosso cadmio scuro”. Quando si disegna prevale la referenza industriale, mentre quando si dipinge prevale quella poetica. I nomi dei colori sono molto poetici, come quello del “terra di Siena bruciata”.
Ieri il quotidiano El País ha pubblicato un suo articolo sulla mostra di Chagall allestita al Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid e il fascino per i colori e i loro nomi emerge chiaramente dalle prime righe, un appassionato elenco che comprende varie tonalità di verde (veronés, cinabrio, óxido de cromo, brillante), il tierra de Siena, l’amarillo cadmio, il rojo nápoles… Nomi che sono un invito a viaggiare nell’arte e a perdersi nella sua storia.

Conclusa l’intervista, gli chiedo se gentilmente mi autografa il catalogo. “Questo è il tuo logotipo” mi dice riconsegnandomi il libro con un sorriso.
Saul Stucchi
OSCURO ES EL CANTO
Pinturas de Alberto Corazón a partir de las Canciones del alma de San Juan de la Cruz
Dal 6 ottobre 2011 al 25 gennaio 2012
Instituto Cervantes di Milano
Via Dante 12
Milano
Tel. 02.72023450