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Voi siete qui: Italia » I miti greci narrati dalle urne etrusche del Museo Maffeiano

21 Maggio 2009

I miti greci narrati dalle urne etrusche del Museo Maffeiano

maffeiano2_anteIl Museo Maffeiano di Verona conta oggi settecento pezzi, dislocati all’esterno e in due piccole sale a lato del pronao con le sei colonne doriche ideato dall’architetto Alessandro Pompei nel 1747. Le sole epigrafi elleniche sono un centinaio e costituiscono la più ricca collezione d’Italia. Tra le opere più pregiate figurano la statua mutila d’un poeta del I secolo a.C., una stele funeraria greca con icona femminile, un medaglione con la testa di Zeus Ammone d’età adrianea, un sarcofago del III secolo d. C. con tritone e nereidi, un’ara cilindrica d’epoca neoattica, due iscrizioni arabe originarie di Palermo. Una sezione a sé è costituita dalle 33 urne cinerarie etrusche. Provengono da Volterra, da Chiusi e dall’area perugina. I motivi iconografici sono vari. Un esemplare del I secolo a.C. ritrae il viaggio nell’oltretomba in carpento. Il carro, tirato da una pariglia di muli, è coperto da un telone con gli orli frangiati. A sinistra si notano un demone femminile con tunica e bretelle che si incrociano sul petto, una figura maschile e una fanciulla. A destra un ragazzo vestito d’una corta tunica conduce gli animali; un altro riprende due grifi dalle molte mammelle, senza ali e con corno arricciato. Un terzo fissa un cavaliere nudo che punta la lancia contro il nemico appiedato, mentre un quarto narra in altorilievo una centauromachia.maffeiano_6
Meno usuale risulta la cassa parallelepipeda su peducci che rappresenta l’apparizione del morto alla moglie. L’uomo, acefalo e completamente ammantato, è seduto sulla kline fornita di suppedaneo e rivolta verso la sposa velata, che alza il braccio in segno di saluto. Dallo sfondo emerge il tronco di due donne. Quella a sinistra indossa una tunica stretta in vita da una fascia, mentre la seconda è purtroppo scheggiata in volto. A capo del letto una bimba tende le braccia, quasi a sostenere i cuscini.maffeiano_7
Ma le più suggestive sono quelle che riprendono i grandi miti ellenici, legati soprattutto ai poemi omerici e alle tragedie classiche. Si devono al cosiddetto “Maestro di Mirtilo”, uno scultore di origine e formazione greca chiamato forse in Toscana dall’aristocratica famiglia dei “Caecina”. L’artista lavora nel II secolo a.C. approntando un linguaggio formale nuovo, contrassegnato da un senso coloristico dei manufatti e, appunto, da un recupero dell’età degli eroi.
Gli esemplari esposti sono un regalo giunto a Verona fra il 1740 e il 1742 tramite il nobile volterrano Mario Maffei. L’omonimia con il destinatario, tra l’altro, potrebbe non essere casuale. Anche gli avi di Scipione, infatti, hanno radici nel centro Italia e il trasferimento si sarebbe verificato nel periodo critico delle lotte tra guelfi e ghibellini. Per la verità Ippolito Pindemonte sostiene la tesi della genesi bolognese. Ma c’è chi la colloca invece più giù, e alcuni proprio nella terra dell’alabastro. Da uno scritto datato 1739 si desume che almeno due dei piccoli sepolcri provengono dalla necropoli del Portone, e più precisamente dall’ipogeo localizzato pochi anni prima dal canonico Pietro Franceschini. Con ogni probabilità, però, tutti derivano dal medesimo sito, dotato d’una quarantina di sacelli confluiti poi a formare il patrimonio del locale museo Guarnacci.

Una delle fronti ripropone la morte di Eteocle e Polinice. I due fratelli, figli di Edipo e di Giocasta, secondo gli accordi avrebbero dovuto regnare su Tebe alternativamente. Ma, scaduto l’anno, i patti non sono mantenuti e Polinice viene bandito dalla città. Ripara presso Adrasto, re di Argo, del quale sposa la figlia Argia. Poi, insieme con il suocero e cinque principi, muove guerra alla patria. Il conflitto ha un esito infelice per tutti e i due giovani, in un furioso scontro, si uccidono a vicenda. Lo scalpello narra la fase finale del drammatico duello per la conquista del trono. Al centro si vede il vecchio sovrano cieco e con la barba. È inginocchiato di prospetto e sostenuto da un servitore. A destra Eteocle,  prono e con il capo reclinato, tiene la spada con entrambe le mani ormai inerti. A sinistra Polinice poggia sullo scudo circolare puntato verticalmente al suolo.maffeiano_9
In un angolo un demone alato volge il capo fissando immobile la scena e tenendo una fiaccola rovesciata che allude al tragico destino compiuto.
Un’altra scena classica racconta il ratto di Elena.maffeiano_11
Non è ancora dodicenne quando Teseo la conduce da Sparta ad Atene. Ma, siccome non ha ancora l’età per amare, rimane a lungo nascosta in un luogo sicuro. Più tardi va sposa a Menelao, al quale dà quattro figli: Ermione, Plistene, Etiolae e Marafio. Intanto si svolge il giudizio di Paride, cui Afrodite promette in sposa proprio la bella greca. Il giovane prima la conquista e poi la rapisce. Nel viaggio di ritorno verso Troia, ostacolati dalle avversità atmosferiche, i due fuggiaschi vagano a lungo per mare, toccando anche l’Egitto. Alla fine, visti vani i tentativi di riavere la moglie del loro signore per via diplomatica, gli achei muovono guerra contro Ilio. L’incisione presenta la donna fatale in corta tunica e mantello. A lato si scorge la poppa decorata della nave, su cui una figura maschile tiene il remo. Davanti all’imbarcazione il figlio di Priamo, seduto di profilo su uno sgabello, impugna una spada.

Né manca l’istoriazione della vita di Paride e in particolare la sequenza del suo riconoscimento da parte del genitore. Secondo la leggenda, già prima della sua nascita la madre sogna che avrebbe partorito una fiaccola, la quale avrebbe messo a fuoco l’Asia. Il profeta Esaco rivela allora che il bimbo di stirpe reale avrebbe causato l’incendio e la distruzione della patria e pertanto occorre uccidere la puerpera e il neonato. Ma il sovrano ordina che il piccolo venga soltanto abbandonato sul monte Ida. Qui il bimbo è accudito da un’orsa fino a che il guardiano di armenti Agelao non lo porta a casa sua. Un giorno Priamo manda a chiedere un toro della mandria e Paride, ormai cresciuto, viene preso dal desiderio di vedere la città. Porta quindi di persona l’animale e, partecipando a una festa, sorprende tutti per la bellezza e l’abilità. Dato che tutti lo credono uno schiavo, sta per nascere un putiferio. Allora il pastore racconta la verità e il re, felice di avere ritrovato il rampollo, lo accoglie a corte. Si illude che, essendo trascorsi tanti anni, l’infausto vaticinio sia ormai scongiurato. Ma purtroppo l’oracolo non mente e Paride diviene poco dopo la causa del terribile conflitto con i greci narrato dall’Iliade omerica. Al centro della rappresentazione c’è il protagonista, vincitore dei ludi funebri indetti in suo onore perché ritenuto morto. I fratelli e la sorella Cassandra, ignorando chi sia realmente, lo minacciano contestandogli il successo. Si interpone Afrodite alata, che svela l’identità del giovane.
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Un terzo tema ripreso nei manufatti funerari etruschi è l’uccisione del cinghiale di Calidone da parte di Meleagro. Costui, membro della spedizione degli Argonauti per la conquista del vello d’oro, gode fama di valoroso guerriero. Artemide, adirata perché non le viene offerto un sacrificio, manda la spaventosa bestia a seminare panico e distruzione nel regno di Eneo. Questi allora decide di bandire una battuta di caccia, cui partecipano numerosi rivali. Fra essi si presenta anche Atalanta, figlia di Giasone e di Climene, che per prima trafigge l’animale dietro un orecchio. Poi Meleagro riesce ad abbatterlo e cavallerescamente cede la preziosa preda alla donna, della quale si è frattanto invaghito. Nel riquadro l’eroe è seminudo e con un mantello avvolto alla vita. Ha i capelli disposti a ciocche rigonfie sulla fronte e aggredisce la belva con una lancia afferrata a due mani. La donna, a sinistra, indossa una tunica e solleva un’ascia a doppio taglio.
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Sullo sfondo si ergono quattro arbusti, mentre tre cani assalgono il mostro balzandogli tra le zampe, sul dorso e alla gola. Per la qualità dell’esecuzione l’opera rientra nel cosiddetto gruppo dell’astragalo, dal segno distintivo della bottega, e potrebbe essere riconducibile a un laboratorio di aiuti o imitatori del rinomato maestro di Mirtilo.
(Seconda parte – fine; la prima parte è pubblicata qui)
Testo e foto di Lorenzo Iseppi

Didascalie:

  • Scena di centauromachia
  • L’urna con l’apparizione del morto alla moglie
  • Il duello letale tra i fratelli Eteocle e Polinice
  • L’urna che narra il rapimento di Elena di Troia
  • Il riconoscimento di Paride come figlio di Priamo
  • Meleagro alla caccia del cinghiale calidonio

Museo Lapidario Maffeiano
Piazza Bra 28
Verona

Orari: dal martedì alla domenica 8.30-19.30; lunedì 13.30-19.30
Biglietto: intero 4,50 €; ridotto 3,00 €
Informazioni: tel. 045.590087
www.comune.verona.it/Castelvecchio/cvsito/mcivici1.htm

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