Luciano di Samosata (con l’accento sulla o) è un autore degli ultimi anni della letteratura greca. È terminata la civiltà ellenistica (quella che inizia nel 323 a.C. con la morte di Alessandro Magno e si conclude con la conquista romana della Grecia nel 31 a.C.), quando Luciano nasce sotto l’imperatore Adriano (II secolo dopo Cristo) e la sua vita si svolge sotto gli Antonini.
Nonostante sia lui stesso a raccontarci parte della sua autobiografia, (“Avevo anch’io il desiderio di lasciare – per vanità naturalmente – qualche messaggio ai posteri”) è indispensabile prendere con le molle quanto dice, perché troppo spesso fa uso dell’ironia e mescola realtà e fantasia.
Nasce, ovviamente, a Samosata (nella parte sud orientale dell’odierna Turchia, sulle sponde del fiume Eufrate), intorno al 120 e probabilmente termina i suoi giorni ad Atene tra il 180 e il 192. Dopo essere stato retore, conferenziere e filosofo (seguace della seconda sofistica), approdato a Roma, entra in contatto con famiglie nobili e con personaggi vicini all’imperatore. Verso il 165 torna ad Atene e abbandona l’attività errante di conferenziere per dedicarsi unicamente alla filosofia e alla scrittura.

Di Luciano ci restano 82 opere di varia natura ed estensione: testi di filosofia, monografie, dialoghi, satire, romanzi e altro. Quasi sempre i suoi lavori presentano un carattere umoristico e satirico, e spesso Luciano si propone di influire sull’opinione pubblica e sui costumi, ridicolizzando riti superstiziosi, pratiche religiose o supponenti filosofi.
Le opere
I “Dialoghi dei morti” fanno parte delle composizioni menippee. Menippo è stato uno scrittore e filosofo greco del III sec. a.C., tipico esponente della scuola cinica. Come gli altri cinici, cercava di mettere in discussione ogni dogma filosofico o scientifico e ogni idea preconcetta. Le sue opere sono andate perdute, ma è rimasto famoso il suo personale genere di “satire”.
Il nome di “cinici” deriva dal ginnasio di Cinosarge (il luogo in Atene ove si riunivano i giovani ateniesi figli di madre non cittadina, per ascoltare le lezioni di Antistene) e anche dal loro stile di vita (κυνισμός, a imitazione del cane). Il più famoso tra loro è Diogene di Sinope, scolaro di Antistene.
La scuola cinica, insieme a quella stoica ebbe una lunga vita, protraendosi fino al IV-V sec. d. C.
Il secondo secolo dopo Cristo, soprattutto dal punto di vista religioso, è piuttosto confuso. I vecchi dei sono in declino e arrivano nuovi culti specialmente dalla parte orientale dell’impero romano. Questo clima favorisce il ricorso alla magia e alla superstizione, mentre fioriscono impostori in veste di filosofi. “Se i filosofi si misurassero in base alla barba, il primo posto spetterebbe alle capre”.
Come altri autori dello stesso periodo, anche Luciano interpreta a suo modo le tante incertezze e i molti dubbi, ma lo fa con il suo caratteristico spirito ironico e dissacratore.
“Luciano sembra appartenere al novero di quelli che non tengono in conto alcunché: mentre infatti mette in burla e sbeffeggia le opinioni altrui, non dà indicazioni su quello in cui crede, a meno che non si voglia credere che sua opinione sia quella di non averne alcuna” (Fozio).
I “Dialoghi dei morti”
La tradizione del viaggio nel mondo degli inferi è antichissima ed è attestata in tutte le mitologie. Anche per Luciano il mondo dei morti costituisce una scenografia ricorrente: sono ambientati nell’Aldilà, anche la “Storia vera”, il “Menippo”, la “Navigazione sotterranea” e il “Caronte”. In particolare, i “Dialoghi dei morti” possono essere considerati quasi un’opera teatrale divisa in trenta scene.
Il primo personaggio che viene invitato a giungere fra i morti è Menippo e già il suo arrivo provoca scompiglio: Caronte gli chiede l’obolo (la monetina) indispensabile per attraversare l’Acheronte, ma il filosofo cinico gli risponde di non possedere nulla.
Dopo un divertente tira e molla (“Dunque tu sarai l’unico che si vanterà di una traversata a sbafo?” / “Allora riportami in vita!”), Caronte è costretto a cedere: “Hermes: – Tu non sai, Caronte, che specie di uomo hai traghettato? Un uomo libero, per l’esattezza: non gli importa niente di nulla. Costui è Menippo!”.
Da questo dialogo ne derivano altri dieci. Gli antichi abitatori, cioè quanti già sono presenti nell’Ade da tempo, trovano modo di lamentarsi dell’ultimo arrivato: questi li sbeffeggia perché piangono al ricordo di quello che hanno lasciato in terra. “Se noi ci lamentiamo, Mida per il suo oro, Sardanapalo per l’abbondanza dei piaceri, io (Creso) per i miei tesori, ci prende in giro e ci insulta. Ci chiama schiavi e immondizia!”. Bellissima la risposta di Menippo: “Io li odio, perché sono bastardi e malefici. Non gli è bastato fare una vita volgare, ma anche da morti ricordano i beni del mondo e ci si abbarbicano!”.
Ce n’è per tutti
La stessa amara ironia viene poi esercitata su personaggi altrettanto famosi come Socrate (“piagnucolava come un lattante, si disperava per i suoi figlioli e le provò tutte per non scendere.”), come i belli e le belle dell’antichità (“Vedo solo ossa, crani scarnificati, più o meno simili fra loro”), gli eroi dell’epica, i sapienti e perfino alcuni dei o semidei (Tantalo, Chirone).
L’ultimo di cui si prende gioco Menippo, è Tiresia, il famoso indovino, unico fra gli uomini a essere stato sia maschio che femmina: l’incontro si conclude con un “Ti tieni ancora strette le tue panzane? Tu fai come tutti gli indovini: avete il vizio di parlare da invasati”.
Non vorrei trascrivere qui tutto il libro e lascio ai lettori il piacere di scoprire gli ulteriori quadri, oltre quelli citati. Innegabilmente, lo spirito caustico e l’ironia a massimi livelli non risparmiano nessuno, neppure nel mondo dei morti: cadono sotto i colpi di Luciano Eracle, Filippo, Alessandro e tanti altri personaggi, fino allo stesso dio dell’Ade, Plutone.
Note e osservazioni
Più volte Luciano è stato avvicinato a uno scrittore di molti secoli posteriore: Voltaire (pseudonimo di François-Marie Arouet). Tralasciando le tante differenze, si può dire che entrambi lottano contro il dogmatismo, la ciarlataneria, la credulità, la mistificazione, anche se l’arma che lo scrittore di Samosata usa, è il “riso” che letterariamente si esprime attraverso la parodia e lo scherno.
A proposito di posteri, chi ha molto ammirato l’opera di Luciano è stato Leopardi, il quale nelle sue “Operette morali” si ispirò ai “Dialoghi”.
E, visto che sono sul discorso, Luciano è stato tra gli autori classici uno dei più studiati e tradotti. Singolare il fatto che dobbiamo la sopravvivenza di gran parte della sua opera ai Bizantini, che, pur non apprezzandola in sé, considerarono, però, Luciano maestro indiscusso di lingua e di stile.
Un’ultima, “vera” [è una battuta di spirito, poiché Luciano ha scritto una “Storia vera” in cui non c’è niente di vero], curiosità. Tutti conoscono il racconto di Filippide (o Fidippide), il soldato ateniese che, giunto senza fiato ad Atene, annunciò ai suoi concittadini la vittoria a Maratona sui Persiani e subito dopo spirò. [Per inciso, le Olimpiadi moderne si chiudono appunto con la maratona, una corsa di 42,195 km, ovvero la distanza che coprì Filippide].
Ebbene, tra le tante attività cui si dedicò Luciano, c’è anche la raccolta di miti e leggende della tradizione greca: pare assodato che fu lui a creare la figura di Filippide. Il soldato arrivato ad Atene sembra si chiamasse Tersippo o Eucle, mentre Filippide era in realtà un antico messaggero greco.
L S D