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Voi siete qui: Europa » Ultimo giro ad Amsterdam prima del rientro in Italia

28 Maggio 2019 Scritto da Marco Grassano

Ultimo giro ad Amsterdam prima del rientro in Italia

Durante tutti questi giorni, le biciclette sono rimaste parcheggiate in un angolo, tristemente inoperose. Sembrano ingrigite, coperte della polvere inutile che vi ha depositato l’attesa. Le riprendiamo con un po’ di rimorso e di malinconia, ma, dopo i primi metri, ingranaggi e muscoli ritrovano la loro elasticità, e smettiamo di pensarci.

Uscendo dal parcheggio svoltiamo a destra, verso il canale che corre dietro l’albergo separandolo dalla strada su cui di notte sentivamo rombare i veicoli. In riva alla roggia, accanto a un ponticello, c’è un trattore in moto, agganciato a un piccolo carro botte. Lo avevamo già notato, da lontano, altre volte. Non credo effettui degli scarichi; penso piuttosto che prelevi acqua con cui irrorare o irrigare qualcosa.

Amsterdam: lasciando l'Amstel

Ci teniamo su questa sponda, per svoltare ben presto verso la ferrovia, in una strada a scarso traffico che fila dritta fra edifici lunghi, alti e recenti. Quando arriviamo al piede della massicciata erbosa, iniziamo a seguirla in direzione del centro, sottopassando un cavalcavia e costeggiando quindi, su uno stradello bianco leggermente sinuoso, anche l’area vegetata delle “baracche di fiume”, dalla quale ci divide l’ennesimo fossato colmo d’acqua.

Un’area attrezzata per lo stretching dei podisti che corrono lungo questi sentieri. Subito dopo svoltiamo verso destra, ad angolo retto. Il fondo si fa asfaltato, ma continuiamo ad essere immersi nel verde. Specchi d’acqua. Animali. Una fattoria, forse didattica.

Arriviamo, in breve, nell’area dove, tornando a piedi dalla casa di Anna Frank, avevamo notato il monumento con la donna a quattro gambe. Raggiungiamo il naviglio perimetrale. Lo assecondiamo, pedalando in fregio al lussureggiante, ombroso Westerpark. Terminata l’area verde, superiamo un paio di ponti e ci dirigiamo alla Centraal, cercando di seguire, dove è possibile, le viuzze parallele appena interne, più tranquille rispetto all’arteria maggiore. Auto, motorette e bici parcheggiate fra i filari di case: segni di vita attiva.

Valichiamo un paio di altri canali, distanziati, e arriviamo alla darsena di fronte alla Stazione. Queste vie d’acqua le avevamo navigate nella gita in battello. Traffico. Lavori in corso. Sfioriamo, sulla nostra destra, il piccolo Hotel Multatuli. Lo indico a Ester e le spiego che prende il nome da uno scrittore ottocentesco di cui ho letto un libro, un uomo che ha percorso il mondo e che ha adottato questo pseudonimo latino (lei assente e lo traduce: “molte cose ho sopportato”) come segno di una linea umanistica che in Olanda, da Erasmo in poi, si è fortemente intrecciata all’attività mercantile-artigianale, da cui peraltro è stata finanziata e resa possibile.

Superiamo la gugliuta chiesa di Sint Nicolaas, che avevamo visto stagliarsi contro il tramonto. Ecco, invece, la mezza torre in cui è ospitato il bar, notata mentre dal mercatino di Waterlooplein ci portavamo verso la Biblioteca Pubblica. La Oosterdok, in cui galleggia il Sea Palace e su cui si affacciano la Biblioteca e il Museo di Renzo Piano. A destra, il canale della Montelbaanstoren.

Dopo un centinaio di metri, arriviamo all’angolo del negozio Mike’s bike tours. Scendendo la pedana che conduce al deposito, sotto il piano campagna, restituiamo i velocipedi, compresa la lucina di sicurezza che tenevo in tasca e che a volte, schiacciandola inavvertitamente, iniziava a lampeggiare attraverso la stoffa. Mi riprendo la patente lasciata in garanzia.

Salutiamo e ci dirigiamo verso la Waterlooplein, ripercorrendo questa strada già nota. Dopo esserci lasciati indietro il quartiere ebraico e il Teatro dell’Opera, valichiamo l’Amstel e quindi infiliamo la prima via dritta dopo il ponte.

Amsterdam: verso il Mercato dei Libri

Ester ha voglia di un gelato, e anch’io mi faccio tentare. Dopotutto, quassù i dolciumi si sono rivelati inaspettatamente buoni. Ecco che, sul lato sinistro, ci attirano le vetrine, dalle molteplici proposte alimentari (English breakfast, Warm food, Ice creams…), del Pancake King. Il pavimento è, di nuovo, in legno chiaro. L’arredamento appare sobriamente moderno e dignitoso. Ci sediamo di fronte al banco frigo con le vaschette dei vari gusti, a un tavolino dal ripiano di legno marrone, su sedie chiare in ecopelle, molto imbottite. Il barista-gestore, grassoccio e semicalvo, ha l’aspetto da turco. A conferma, lo sentiamo telefonare in quella lingua. Assieme alle coppette miste, prendiamo un’acqua minerale Chaudfontaine. Curiosando in rete durante la sosta, Ester mi dice che qui vicino c’è un mercato di vecchi libri: potrebbe essere interessante andarci.

Proseguiamo dunque lungo la via, che non si discosta dalla media delle altre. Arriviamo nella piazza intitolata a Rembrandt. Disposte al suolo attorno al monumento principale di pietra, che è invece issato su un piedistallo, numerose statue in bronzo, di moschettieri o soldati seicenteschi atteggiati al combattimento. Penso riproducano qualche tela del pittore. Accanto al marciapiede, terrazze di bar. Alle fermate di tram e autobus, schermi, continuamente aggiornati, informano sulle tempistiche di arrivo. Ovunque, bandiere e richiami arcobaleno, anche nelle pubblicità. Persino i gelati Ola augurano “Happy pride”.

Trentunesima parte – Segue
Marco Grassano
Foto di M. Ester Grassano

Didascalie:

Lasciando l’Amstel
Verso il Mercato dei Libri


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