Difficile segnalare mostre e appuntamenti quando il calendario viene rivoluzionato dall’oggi al domani. Comuni, province e regioni “cambiano colore” come camaleonti in preda a una crisi di nervi. Il giornalista culturale fa appena in tempo ad assistere all’anteprima stampa di un’esposizione che questa chiude il giorno dopo.
I visitatori “non professionali” sono messi anche peggio: riuscire a visitare un museo richiede pazienza, versatilità, accesso a informazioni aggiornate praticamente in tempo reale e una grande dose di fortuna.
D’altra parte posso solo immaginare lo stato d’ansia in cui vivono (da un anno, ormai!) gli organizzatori di mostre e coloro che gestiscono musei e collezioni. La speranza per ogni spiraglio che timidamente si apre e la delusione che subito raffredda l’entusiasmo e spegne sul nascere i buoni propositi di rilancio.
Sarebbe forse meglio chiudere completamente per qualche settimana – o più realisticamente mese – in attesa che avvenga la campagna di massa? Insieme ai detrattori, ci sono anche i difensori di questa gestione del “giorno per giorno” o “apri e chiudi”. Non so, non ho competenze per stabilire quale sarebbe la più efficace.
L’epidemia sulla “Geroboamo”
Questo movimento ondivago, però, mi sta facendo venire il mal di mare. Ci pensavo giusto ieri, quando la lettura quotidiana delle cinque pagine di “Moby Dick” di Herman Melville mi ha fatto approdare al Capitolo Settantuno, quello dedicato alla storia della nave baleniera Jeroboam.

Ne riporto qui sotto un brano nella versione originale, seguito dalle traduzioni rispettivamente di Cesare Pavese del 1941, utilizzata dall’editore Adelphi, e di Ottavio Fatica per Einaudi (2015).
It turned out that the Jeroboam had a malignant epidemic on board, and that Mayhew, her captain, was fearful of infecting the Pequod’s company. For, though himself and the boat’s crew remained untainted, and though his ship was half a rifle-shot off, and an incorruptible sea and air rolling and flowing between; yet conscientiously adhering to the timid quarantine of the land, he peremptorily refused to come into direct contact with the Pequod.
Traduzione di Cesare Pavese
“Seppimo poi che il «Geroboamo» aveva a bordo una grave epidemia e che Mayhew, il capitano, temeva d’infettare l’equipaggio del «Pequod». Poiché, sebbene lui e gli uomini della lancia fossero sani e la nave a un mezzo tiro di fucile lontano, e un mare e un’atmosfera incorruttibili si stendessero nel mezzo, pure, uniformandosi coscienziosamente alla timorosa quarantena di terraferma, quello rifiutò in modo perentorio di entrare in contatto diretto col «Pequod»”.
Traduzione di Ottavio Fatica
“Venne fuori che a bordo del Jeroboam si era diffusa una perniciosa epidemia e che Mayhew, il capitano, temeva di contagiare l’equipaggio del Pequod. Benché immuni, lui e la squadra della lancia, e con la nave a mezzo tiro di scoppio, separata dal moto ondoso e dalle raffiche di un mare e un’aria incorruttibili, egli si trattenne tuttavia con scrupolo alla cauta quarantena di terra e rifiutava tassativamente di venire a diretto contatto con il Pequod“.
Ecco: troviamo un’epidemia anche in “Moby Dick”. E come l’hanno gestita quelli che vi sono rimasti coinvolti? Coscienziosamente e con scrupolo, tenendo le debite distanze. Comportamento esemplare che, peraltro, non impedisce in alcun modo la comunicazione. Un’altra lezione dei classici.
Saul Stucchi
Herman Melville
Moby Dick o la Balena
Traduzione di Cesare Pavese
Adelphi
Herman Melville
Moby-Dick o la balena
Traduzione di Ottavio Fatica
Einaudi
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