Perlopiù, l’immagine delle donne note di Roma Antica, segnatamente quella imperiale o che principia da Cesare, è segnata da un caustico livore, o da un ammiccamento pruriginoso, ricco di fantasie voluttuose e diciamo terra-terra, che i maschi occidentali di qua e di là dell’altare culturale (il maestro e il discente distratto) si sono tramandati nella comune inappellabile sentenza di “gran mignotte”.
Il libro di Annelise Freisenbruch vuole “mettere in luce qualcosa in più rispetto al lato statico, superficiale, stereotipo”. Che è poi di matrice letteraria. Interessa alla studiosa il “dietro le quinte”, il lavoro a volte oscuro altre fin troppo riconoscibile e controverso di alcune donne sul piano dell’influenza politica, la trama di fatti e motivazioni in virtù delle quali si disegna il loro profilo più vero. Che è tale in certi casi da farle definire first ladies dell’epoca secondo locuzione corrente di cui la pubblicistica pare avere disperato bisogno, ma senza omettere di ricordare che – e la differenza con l’oggi a ben guardare si risolve in poche eccezioni – quelle donne poterono assurgere a un ruolo di primo piano, più o meno visibile o occulto – in virtù di una presenza maschile (marito, amante, figlio, padre). E per stare alla contingenza del vocabolario, vale la pena ricordare anche come fa la Freisenbruch che la stessa parola virtù trovava la propria radice nel vir di uomo: un buon abito verso le cose, il disporre di capacità commendevoli non era immaginabile se non come segno “naturalmente” maschile. Guadagnare un ritratto individuale verosimile e un eventuale significato storico delle esperienze di queste donne implica dunque un passaggio continuo dalla sfera privata a quella pubblica, intendendo la prima non senza le implicazioni erotiche del caso, si trattasse della camera da letto “ufficiale” o di qualche alcova rimediata surrettiziamente e all’oscuro dei più. Lo richiede l’approccio dell’autrice, sospeso fra il rispetto del discorso storico e la suggestione narrativa; ma è sotteso all’argomento in sé, per motivi oggettivi.
Passando dai poli opposti della Livia di Augusto, paradigma muliebre di una sacralità stoica nella lettura di Seneca e modello di insuperata prepotenza in Tacito, all’archetipo di Messalina, ninfomane insaziabile che Giovenale, spirito caustico ma non leggero, consegnò alla storia con dovizia di dettagli diremmo cinematografici: la gran zoccola che aspetta la presa di Morfeo sul povero Claudio per uscirsene in incognito e infilarsi in un lupanare con parrucca che le rendeva irriconoscibile. E poi ci sono le storie di Agrippina, Elena, Domizia Longina, Cleopatra, Giulia Domna, storie di faide e di streghe, principesse e persino spose di Cristo.
L’autrice dello studio assume il principio regolatore che per vagliare l’attendibilità dei ritratti e delle storie occorre sempre tener presente che l’immagine era condizionata dalla funzione pensata a monte dai loro consorti e sovrani, e viceversa, dallo slittamento che la stessa subiva nello sguardo dei loro oppositori – culturali, oltre che politici. Dentro il campo aperto della documentazione, Freisenbruch si muove con agio e piacevole disposizione narrativa.
Michele Lupo
Annelise Freisenbruch
LE DONNE DI ROMA
Potere, sesso e politica in età imperiale
Bruno Mondadori
2012, pagine 330
25 €