Non si dimostra un sovrano accorto, Lear, né tanto meno padre assennato. Motiva la decisione di suddividere il regno tra le figlie con la volontà di prevenire ogni futura discordia, ma ben presto apparirà la natura ironicamente tragica di questa precauzione. Come Edipo, il re è cieco anche se conserva la vista e soltanto la sofferenza lo porterà a riconoscere, finalmente, la verità. Ma non gli verrà concessa la redenzione e solo la morte porrà fine al suo dolore.
Riccardo Magherini ha curato l’adattamento e la regia del nuovo allestimento del Re Lear in scena al Teatro Oscar di Milano fino al prossimo 3 giugno. Quello a cui ho assistito qualche sera fa è uno spettacolo vibrante, coinvolgente e solo nell’ultima parte un poco confuso per l’aggrovigliarsi delle parti con l’accelerazione del dramma, ma di necessità il gruppo fa virtù in questi tempi tristi, riuscendo a presentare un lavoro convincente.
Sul palco i cinque attori, tra cui lo stesso Magherini che impersona il re e il subdolo Edmund (figlio bastardo di Gloucester), si spartiscono i personaggi, interagendo tra loro con un buon ritmo; intanto gira la sorte di Lear e il sovrano si ritrova senza più punti fermi perché prima vacilla e poi crolla la fiducia riposta nelle prime due figlie Goneril e Regan, preferite alla schietta Cordelia. Verità e menzogna, fedeltà e tradimento, saggezza e follia sono le coppie antitetiche attorno alle quali Shakespeare ha intessuto la trama della tragedia in cui la nuova generazione si impegna ad abbattere la “tirannia dei vecchi” per dare la scalata al potere.
La vita altro non è che un enorme palcoscenico di matti e proprio come nell’Edipo chi sa (l’indovino Tiresia, qui invece il matto) non viene creduto anche se dice la verità. Ma c’è un altro grande classico a cui sicuramente Shakespeare si è ispirato: il libro biblico di Giobbe, rispetto al quale – ha scritto Piero Boitani in Esodi e Odisee – “la tragedia di Lear è meno radicale, ma, paradossalmente, più estrema. Meno radicale, perché Lear è naturalmente colpevole, sia pure di sola leggerezza ed incoscienza: di aver voluto dividere il regno e soprattutto di non aver saputo riconoscere le adulazioni di Goneril e Regan e il vero amore di Cordelia e la lealtà di Kent. Più estrema, perché a Lear viene per un solo istante offerta, ma poi per sempre negata, la restituzione: nessuna benedizione umana o divina lo salva dalla morte di Cordelia appena ritrovata né da quella di Gloucester, di Kent, e, infine, dalla sua”.
Forse più che una “tragedia moderna”, come l’ha definita Magherini nelle note di regia, il Lear è una tragedia sempre attuale perché spinge lo scandaglio fino alle profondità abissali della vita dell’uomo. Ma le ultime parole, pronunciate da Edgar, figlio legittimo di Gloucester, sono comunque un’assunzione di responsabilità: “Noi dobbiamo accettare il peso di questo tempo triste: dire ciò che sentiamo e non ciò che conviene dire”.
Saul Stucchi
RE LEAR
di William Shakespeare
Adattamento e regia Riccardo Magherini
Con Francesco Paolo Cosenza, Maria Eugenia D’Aquino, Riccardo Magherini, Annig Raimondi, Antonio Rosti
Luci e audio Giuliano Almerighi
Scene e costumi Alessandro Aresu, Mirella Salvischiani
Tecnico Emanuele Cavalcanti
Assistenti alla regia Marzia Laini, Federico Lotteri, Mattia Maffezzoli
Dal 3 maggio al 3 giugno 2012
Da martedì a sabato ore 21.00; domenica ore 17.00
Teatro Oscar
Via Lattanzio 58
Milano
Biglietto
Intero 24 €; ridotto 18 €
Informazioni e prenotazioni
Tel. 02.36503740
La foto degli attori è di Irene Magherini; quella del palcoscenico di Saul Stucchi.