Toccammo l’Ombrone: non è un trascurabile fiume,
bocca sicura per le navi trepidanti,
tanto accessibile è il suo alveo sempre prono
quando sul mare si abbattono tempeste.
Tracciammo un campo notturno sulla spiaggia,
un boschetto di mirti offre il fuoco alla sera.
Facciamo piccole tende con i remi
E un palo di traverso, tetto improvvisato.
(Rutilio Namaziano, Il ritorno)
Prima di arrivare a Grosseto ci siamo fermati a visitare le rovine di Roselle. Il sito appare un po’ trascurato rispetto a come lo vidi nel 1999 (segno evidente del taglio di fondi patito dalle Soprintendenze), con molta erbaccia che ne limita la leggibilità, ma merita comunque la piccola deviazione. I pavimenti a mosaico suscitano non poche emozioni di “cortocircuito temporale”, come pure la pavimentazione di marmi versicolori della Basilica dei Bassi. L’anfiteatro, nel quale sono posizionate alcune file di sedie per qualche spettacolo, conserva un’acustica assai efficace: le voci riecheggiano e si diffondono naturalmente, senza sforzo per il parlante. Le cicale sono ancora poco sonore, sparse a piccoli gruppi, e si odono lontane (probabilmente manca qualche giorno perché si possa dire, con Virgilio, che “rompono gli arbusti col canto”). Forse per motivi strategici, o forse per ragioni sanitarie, la città era stata costruita sulle alture, e dal Foro, dove si incrociano il decumano e il cardo (la cui pavimentazione appare solcata dal passaggio costante dei carri, che ne ha consumato le pietre piatte), si gode una bella visione della pianura sottostante.

Arriviamo ad Alberese, all’agriturismo “Al Vermigliano”, in fondo a via Sorbino (una stradina dritta e piana, fiancheggiata da campi lavorati e da ulivi di piantumazione abbastanza recente). La luce è quella morbida del tardo pomeriggio, e conferisce al paesaggio circostante toni dorati e pastellati. Ci alloggiamo nella camera “Il girasole”, che dà sul giardino e sulla veranda aperta dove si consumano (in piacevole conversazione) i pasti comuni. Il cibo, cucinato dalla signora Rosaria con ingredienti tutti di produzione propria (dalle carni alle verdure all’olio), è squisito, sano e invitante. Lo stesso per il vino e le grappe, fantasiosamente aromatizzate e servite dal marito Fausto (che, come un po’ tutti in questo paesino, è di origine veneta, figlio di coloni arrivati per la bonifica all’inizio degli anni Trenta). Scopriamo che gli altri ospiti sono degli habitués: da anni vengono a trascorrere le vacanze qui, perché si trovano bene. Arrivano un po’ da ogni parte d’Italia: Venezia, Milano, Mantova, Genova, Sasso Marconi, Roma, Teramo… adesso anche noi, dalla grigia Alessandria.

Al mattino, dopo una robusta colazione (torte, biscotti e pane fatti in casa, marmellate varie di frutta prodotta nell’azienda, miele delle loro api…), affrontiamo i primi due percorsi naturalistici A5 (faunistico) e A6 (forestale), che imbocchiamo di fianco alla chiesa. Cespugli mediterranei (rovi molto alti, mirti, ginepri, corbezzoli, ginestre…) e varie specie del genere Quercus (lecci, roverelle, cerri, querce, sughere…), pini domestici (a ombrello), pini marittimi (a chioma piramidale), aceri trilobi. Pochi gli esemplari secolari, evidentemente perché le piante venivano comunemente utilizzate come legname. Le ghiandaie giocano a rimpiattino con noi, precedendoci lungo il sentiero. Una famiglia di cinque caprioli (tre adulti e due cuccioli) passeggia all’ombra. Una coppia di daini rumina sdraiata vicino all’area didattica (panche ricavate da tronchi caduti, cartelli esplicatori, un “gioco” per imparare a riconoscere gli alberi dalla corteccia e dal legno…) dove qualche cretino ha abbandonato per terra cartoncini di bevande vuoti.
La terra è rossa. Un ginestreto mostra esemplari straordinariamente grandi per i nostri standard, quasi degli alberelli. Un neonato di capriolo dorme sul sentiero, forse in attesa della mamma: evitiamo di toccarlo, per non “comprometterlo” col nostro odore e provocarne l’abbandono.
Ci avviciniamo al bosco fitto, rasentando ulivi altissimi, perché mai potati. Dal suolo sale un aroma incensato e caldo, un resinoso odore “mediterraneo”, misto di menta selvatica e di cespugli al sole. Le cicale cantano qua e là sulle querce e sugli ulivi, prima dell’ingresso aperto nel muro di pietra. Ma nel bosco le cicale non ci sono, si possono sentire solo se si rimane sul bordo, accanto alla cinta.
Cartelli informano sulla flora (leccio, cerro, orniello, mirto, fillirea, sughera, lentisco, roverella, stracciabrache, corbezzolo, terebinto – in realtà, di stracciabrache, Smilax aspera, ne vediamo un solo, stento esemplare; in compenso notiamo, vicino al muro, un curioso ibrido cerro-sughera, Quercus crenata) e sulla fauna (astore, ghiandaia, allocco, biancone, colombaccio, gatto selvatico, capriolo, daino, vipera, riccio, cinghiale). I ginepri, come i rovi e le ginestre osservati prima, sono molto più alti e grandi dei nostri appenninici.

Prendiamo la corriera e arriviamo alla spiaggia di Marina di Alberese. Le cicale sono sonorissime nella fascia di pini domestici solcata da canali di deflusso. Nel cielo passano regolarmente gli aerei militari della base di Grosseto. Il lido è naturale, per cui la sabbia grigia digrada poco a poco nel mare e il fondale rimane basso a lungo, ondulato dal fluire e rifluire dell’acqua così come la sabbia asciutta è lievemente ondulata dal vento.
Le conifere più esterne appaiono “bruciate” o seccate (senza più foglie) dall’aria salmastra che arriva dal largo, e la spiaggia è costellata di tronchi e di grossi rami calcinati. Spesso, questi legni biancastri vengono ammassati dai bagnanti a costituire ripari o piccole capanne, o piantati in quadrato per appendervi dei teli. Anche l’asfalto si interrompe bruscamente, quasi in precedenza arrivasse più avanti e fosse franato. L’Isola del Giglio e l’Argentario si scorgono come sagome diffuminate ad una distanza che non è possibile calcolare. Le cicale si odono anche dalla spiaggia, ma acusticamente prevalgono lo sciabordio delle onde e le grida allegre dei bambini che sguazzano.
Il “punto di ristoro” per bere e mangiare è nascosto nella pineta, e lo si raggiunge attraverso un sentiero delimitato da una palizzata e serpeggiante in un fitto sottobosco mediterraneo. Dovunque, cestini per la raccolta differenziata dei rifiuti: umido, carta, plastica e vetro, indistinto. Mentre siedo su un tronco, nel tratto dominato dalla torretta di osservazione del bagnino, mi si posa sulla gamba un piccolo esemplare di Calosoma sycophanta, coleottero dai magnifici riflessi metallici azzurro-verdi e ramati che mi soffermo ad osservare a lungo mentre cammina su e giù battendo alternativamente le antennine come un cieco il suo bastone, per esplorare il terreno.
(prima parte – segue)
Marco Grassano
Didascalie:
- Scorcio delle rovine di Roselle
- Femmina di daino che rumina nel bosco
- Canale nella pineta (omaggio a Luigi Ghirri)