“Io, Giovanni, vostro fratello e vostro compagno nella tribolazione, nel regno e nella costanza in Gesù, mi trovavo nell’isola chiamata Patmos a causa della parola di Dio e della testimonianza resa a Gesù. Rapito in estasi, nel giorno del Signore, udii dietro di me una voce potente, come di tromba, che diceva: Quello che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alle sette Chiese” (Apocalisse di Giovanni, I, 9-11).
Io, molto più modestamente, nel cuore di agosto mi trovavo nell’Alta Murgia pugliese, in una contrada di Fasano chiamata Seppannibale (a Patmos, invece, ci sono stato quasi vent’anni fa…). Ma anch’io ho avuto una visione, visitando una piccola chiesa di cui ignoravo perfino l’esistenza prima di scoprirla una mattina a colazione, sfogliando nella masseria in cui ero ospite il bel libro intitolato Puglia preromanica a cura di Gioia Bertelli per la prestigiosa collana “Patrimonio Artistico Italiano” di Jaca Book.
Dovete sapere che le contrade di Fasano – provincia di Brindisi – sono più numerose dei quartieri di New York e persino gli abitanti non sono sempre in grado di indicarvi su due piedi come raggiungere quella che cercate. Ma chi ha l’occhio pronto e sa dove guardare nel mare di ulivi che costeggia la Statale 16, a qualche centinaio di metri dal benzinaio (“dopo la benzina” potete sentirvi dire, a mo’ di indicazione) individua le due “groppe” del cosiddetto tempietto di Seppannibale: ché più che cupolette, da lontano danno l’idea di essere protuberanze di pietra. Se vi capita la fortuna di poter accedere alla masseria, varcando il cancello preparatevi a fare un salto indietro nel tempo. La chiesetta sorge isolata in un campo non coltivato, al centro di un perimetro murato e nel terreno si notano le aree che gli archeologi stanno sondando.
Il minuscolo edificio misura circa 8 metri per 8 ed è diviso in tre navatelle da due pilastri centrali e due coppie di semipilastri. Dopo aver lasciato lo sguardo libero di correre a suo piacimento, ci si soffermerà sull’iscrizione latina incisa sopra il giro dell’arco che originariamente delimitava il catino. In prima persona (“ego”) il committente si prende l’onore di aver fatto elevare questo tempio a Dio. Purtroppo gli studiosi non sono ancora stati in grado di sciogliere il monogramma che racchiude il suo nome: un’ingenuità che sponsor e finanziatori moderni mai commetterebbero! Ma soprattutto gli occhi saranno attratti dai lacerti di affreschi che impreziosiscono archi e pareti. Tra le scene più vivaci spicca quella dell’incontro tra Zaccaria e l’arcangelo Gabriele, venuto ad annunciargli la nascita del figlio Giovanni. In un’altra si intravedono un drago e una donna alata, su cui si stagliano dei candelabri: la visione della donna e del drago è il tema del dodicesimo capitolo dell’Apocalisse di Giovanni. Molto più mansueto appare l’airone bianco dipinto in un’altra zona.
Nel libro sopracitato la dottoressa Bertelli data alla fine dell’VIII la realizzazione del ciclo di affreschi che ne ricopriva tutte le pareti interne e scrive: “la datazione proposta per gli affreschi evidenzia il fatto che il ciclo pittorico deve essere considerato come una delle più antiche testimonianze dell’esistenza di rappresentazioni derivate da temi apocalittici per l’alto medioevo, rappresentazioni che, di consueto, si fanno risalire ad età carolingia”.
Davvero una bella scoperta, quella di quest’agosto. Anzi: una vera e propria rivelazione!
Saul Stucchi
Puglia preromanica
a cura di Gioia Bertelli
Jaca Book
2004, 303 pagine
Dove dormire
Masseria Serralta
Contrada Serralta 86
Locorotondo (BA)
www.serralta.eu