Il momento utopico di W.A. Mozart coincide con il suo finale di stagione: è il Flauto Magico. Amadè (preferiva farsi chiamare così) prende il libretto del tedesco Emanuel Schikaneder (ora nella piccola Biblioteca adelphiana) e ne fa una favola meravigliosa in cui l’illuminismo abbraccia la magia, teste i misteri egizi, e s’invola verso un sogno d’amore e giustizia musicalmente altissimo.
Fu Adorno a scriverlo: “Il caso più alto di una musica assoluta fu Mozart” – il sociologo e critico vedeva esemplato nello Zauberflöte il movimento dialettico in cui il musicista, non per la prima volta, faceva oscillare la sua arte fra l’umano e il divino. Il Singspiel mozartiano (K 620) sottrae peraltro il genere al sottoscala in cui era stato relegato fino a quel momento – ma accanto al suo inarrivabile magistero occorre dare meriti all’impresario e attore Schikaneder, autore del libretto.

Massone come Mozart, Schikaneder tuttavia in quel periodo soffre di qualche perplessità nell’ambiente per via degli eccessi libertini ostentati con la moglie. Per il suo testo, pesca da varie fonti, in specie dalla fiaba Lulu e il flauto magico di August J. Liebeskind e dalle opere di Gozzi.
Come spiegato nel saggio accluso di Jurgis Baltrusaitis, l’antico Egitto e i suoi misteri s’intrecciano nell’opera con le aspirazioni della Massoneria. Tamino (nome di origine egizia), principe volenteroso ma confuso, sta scappando da un mostro quando si innamora perdutamente del ritratto di Pamina (perché nell’opera funziona così: prima vedi il ritratto poi rischi la vita).
La Regina della Notte, che parla come se avesse ingoiato un fulmine, lo manda a salvarla dal perfido Sarastro. Allo spirituale Tamino si unisce l’uccellatore Papageno, che sogna solo vino, cibo e fidanzamento stabile, possibilmente senza dover sostenere prove mortali. Per affrontare l’impresa – la vittoria del bene sul male, il trionfo dell’amore – vengono equipaggiati con strumenti musicali magici: flauto per il principe, campanelli per l’altro, e l’ordito funziona.
Arrivati nel regno di Sarastro, però, le cose non sono affatto come la Regina le aveva raccontate. E mentre Tamino e Pamina finiscono coinvolti in riti iniziatici e lezioni di saggezza, Papageno (tenerone come Amadeus sostiene Pietro Citati nella prefazione) prosegue la sua personale, disperata ricerca dell’amore.
Non diciamo il resto per uniformaci per una volta alla mania odierna del no spoiler: immaginiamo che non tutti conoscono la storia. Nella quale iniziazione ed elevazione spirituale non dicono soltanto di fantastici e avventurosi percorsi individuali, ma servono a un progetto di fratellanza universale, che disegna un orizzonte affatto diverso da quello figurato nella solita macchina tecno-razionale con cui ancora s’intende pigramente l’eredità illuminista.
Se in quel 1971 Mozart pativa la sua solitudine viennese, non è questa l’opera che più lo mostra: giocosa, gioiosa, ricca di elementi da teatro popolare, ma musicalmente inarrivabile. L’amicizia e la collaborazione con Schikaneder (che decise di ritagliarsi la parte di Papageno), stretta intorno alle illusioni di una promessa palingenetica fra riti egizi, alleggerì tra le buffonerie i mesi che precedettero quelli più cupi della fine (5 dicembre dello stesso anno).
Intanto, alla prima viennese, 30 settembre, il musicista sarebbe stato colpito dall’”approvazione muta” del pubblico (così scrisse alla moglie Costanze), interrotta solo dalle risate che proprio i due compari avrebbero provocato, per esempio con lo scherzo che il musicista, fra i templi e i palmizi di un Egitto da litografia filo-massonica, avrebbe fatto all’amico intrufolandosi sul palcoscenico suonandogli a tradimento il carillon mentre l’altro attaccava “Ein Mädchen oder Weibchen”, così mandandolo fuori giri.
Non stupisce che quella libertà compositiva, l’eterogenea disposizione di lessico e morfologia, la magnifica auctoritas dello stile avrebbero impressionato l’altro gigante che sarebbe venuto dopo di lui, il severo Ludwig van Beethoven.
Michele Lupo
Emanuel Schikaneder
Il flauto magico
Edizione con testo originale a fronte
Traduzione di Gian Piero Bona
Prefazione di Pietro Citati
Con un saggio di Jurgis Baltruyaitis
Adelphi
Collana Piccola Biblioteca Adelphi
2025, 274 pagine
16 €