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1 Dicembre 2025

Da Voland “La vita dopo Kafka” di Magdaléna Platzová

Si intitola La vita dopo Kafka, il romanzo più noto della scrittrice ceca Magdaléna Platzová, già autrice di due opere narrative dedicate a personaggi scomparsi, destini sfocati del passato. Franz Kafka ha dato vita a un mondo fatto di parole: parole sulla sua schiva vita, parole sulle sue opere, parole sue e di chi lo ha conosciuto.

Nessun vero lettore potrà non interessarsi a qualcuno di questi filoni. A Magdaléna Platzová il compito di raccontare un pezzo di quella esistenza, precocemente sottratta alla vita (Franz morì nel 1924 a Praga, dove è sepolto).

Al centro del romanzo di Platzová non c’è lo scrittore praghese, ma l’eco della loro tormentata relazione, vivisezionata nelle centinaia di lettere di Kafka, rese pubbliche nel 1967, che insegue ovunque Felice Bauer.

Il romanzo si muove lungo diverse linee temporali, tra il 1935, data del soggiorno di Felice e il marito Moritz Marasse a Ginevra prima dell’emigrazione oltreoceano, e il 1960, data della sua morte, inframmezzate a incursioni della scrittrice che sta ultimando le sue ricerche.

Se straniante può risultare il cambiamento di prospettive narrative, altrettanto complesso è il legame tra persone reali, figure reali con nomi modificati (a partire dal protagonista, il figlio di Felice, “Henry alias Joachim”) e personaggi del tutto immaginari. Attraversano così il romanzo Felice, Max Brod, sua sorella Sophie, Ernst Weiss, Margarete Bloch, l’editore Salman Schocken e altre figure minori. Sullo sfondo c’è lui, imbarazzato e avvilito: Kafka.

Platzová crea un’atmosfera. Non scrive un romanzo solo su Felice, ma su una tribù e su un mondo. Viene a un certo momento il pensiero che sia stata la scrittura a impedire la serenità e una vita normale. Ci sono le fughe, ci sono i ricordi che ritornano e tormentano e il «veleno delle lettere», impossibili da distruggere, agisce ancora a distanza di decenni.

Il romanzo, infatti, prende l’avvio da una risentita lettera di Joachim a Elias Canetti, autore di un celebre saggio su «queste lettere di una tortura durata cinque anni». È il figlio il vero personaggio principale, sballottato tra fantasmi lontani di cui non riesce a cogliere il significato.

Ricorda più volte di aver appreso del legame della madre con Kafka soltanto nel 1938, a Los Angeles, da una parente e, nella lettera, stila una diagnosi impietosa: «un nevrotico, un masochista e, per quel che riguarda il rapporto con le donne, anche un sadico».

La sua rabbia, o malcelata gelosia, è ancora più evidente nel resoconto dell’incontro con l’autrice, qui situato nel 2011. Ma nessun incontro è alla fine davvero rivelatore: La vita dopo Kafka è un continuo gioco tra ciò che rimane e ciò che si vuole o si vorrebbe che Kafka o la sua tribù avrebbe dovuto dire o fare.

C’è un’altra linea narrativa che s’insinua nel romanzo, Margarete Bloch, la Grete dei diari di Kafka, l’intermediaria a sua volta legata allo scrittore da uno scambio epistolare e irrequieta amica di Felice. Fuggita in Italia, negli ultimi anni prima della deportazione ha accreditato l’ipotesi di aver messo al mondo un figlio dello scrittore (cosa che sostiene anche Roberto Calasso nel suo libro di memorie Memè Scianca).

Al suo caso si erano a suo tempo interessati il germanista Giorgio Zampa ed Enzo Tortora, a lungo sulle tracce dei documenti contenuti in valigie conservate a San Donato Val di Comino.

Claudio Cherin

Magdaléna Platzová
La vita dopo Kafka
Traduzione di Letizia Kostner
Voland
Collana Amazzoni
2025, 272 pagine
19 €

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