Questa casa di cielo di Ivan Doig (traduzione di Nicola Manuppelli, Nutrimenti editore) è tante cose insieme: un’autobiografia, un libro d’antropologia, un libro sul Montana. Questo perché partendo dal racconto della sua vita, Doig racconta cosa significhi vivere nel Montana occidentale, luogo noto per la durezza del suolo e le difficoltà che porta agli agricoltori e agli allevatori di bestiame. Dove agli inverni rigidi si sostituiscono estati calde.
Nato nel 1939, Doig è un figlio tardivo del confine occidentale. Se le ondate di progresso trasformarono il Middle West e il Sud-Ovest, queste ebbero scarso effetto sul Montana.
L’autore inizia a raccontare della sua vita dall’età di sei anni, quando sua madre muore.
A un certo punto una seconda madre, Ruth, entra brevemente nella sua vita, ma il fulcro della sua esperienza, come ragazzo e uomo, è la convivenza formata da padre, figlio e nonna. L’insolita famiglia sopravvive a tutte le difficoltà grazie all’amore per il ragazzo. Con la morte della nonna nel 1974, la storia si conclude; Ivan Doig, trentenne, è all’inizio della sua carriera di scrittore.

Doig racconta anche la vita nella cittadina di White Springs, i litigi e i personaggi bizzarri che frequentavano le bettole dove suo padre andava a bere, per cercare sollievo dalle fatiche della vita quotidiana. La vita del padre di Doig (che era un agrimensore) non è stata affatto semplice: ha lavorato in diversi ranch, occupandosi di cavalli, mucche, polli.
Lo scrittore parla della scuola e del ranch, dei lavori diversi fatti prima di dedicarsi alla scrittura e all’insegnamento universitario.
Da alcune descrizioni del Montana spettacolari si percepisce l’amore per quella terra ostile, l’amore per la cura delle pecore, anche in mezzo alla neve e nel caldo torrido.
Questa casa di cielo è un libro che si concentra molto sulla vita all’aria aperta e sulle speranze e le aspettative degli uomini. Mancano gli interni che rivelano le donne. La madre di Doig, fisicamente fragile, morta a 31 anni per asma aggravato dal clima, viene elogiata con entusiasmo dal padre per le sue doti maschili: «poteva fare tutto ciò che un uomo può fare: cavalcare, portare uno zaino, qualsiasi cosa. Sapeva persino cacciare con le trappole».
Anche la nonna è una donna indipendente, la cui vita nella prateria è iniziata quando suo nonno è arrivato lì come immigrato e ha lavorato per rendere la terra fertile. Ma che, pur perdendo la famiglia e la figlia, non solo sa cavarsela, ma fa di tutto per suo nipote.
Con la figura di Ruth lo scrittore mostra il ruolo della donna in questa vita, fatta di difficoltà e frustrazione. Il suo matrimonio può essere letto come un atto di disperazione. Nel contesto dell’esperienza di frontiera, una vita di difficoltà è parte della sfida, e offre ricompense solo ai più coraggiosi, ma alle donne questo non è dato.
Il mito della donna pioniera, si capisce presto, è una finzione creata dall’uomo. Forse molte di loro sono solo rimaste nell’ombra e non hanno potuto permettersi di vivere la vita che avrebbero voluto: ora perché a prendersi cura dei figli, ora perché ad aiutare nei lavori pesanti.
Doig è indulgente nei bisogni, nelle sconfitte subite e comprende le privazioni di suo padre, ma non tace sui sacrifici delle donne, a cui mancano opportunità. Solo la figura della nonna è considerata e rappresentata come un’icona di tenacia femminile, forse perché venerata da suo padre per la sua vita dedicata alla cura dei bisogni della famiglia.
Questo libro è forse il più introspettivo dello scrittore perché nasce quando gli è stata diagnosticata una malattia progressiva e inarrestabile.
Claudio Cherin
Ivan Doig
Questa casa di cielo
Traduzione di Nicola Manuppelli
Nutrimenti
2025, 352 pagine
19 €